Non sarà domani

di

Marina Regno


Marina Regno - Non sarà domani
Collana "I Gelsi" - I libri di Poesia e Narrativa
14x20,5 - pp. 46 - Euro 7,50
ISBN 978-88-6587-2215

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Testo vincitore del Premio di Drammaturgia “Spazio Aperto” 2012 organizzato dall’Associazione Culturale “La Teca”


Due donne si incontrano nella sala d’aspetto di una stazione di provincia, ma non si ricordano assolutamente nulla del loro passato e del perché si trovano in quella stazione, dove non vi sono né treni né persone in arrivo o in partenza. L’unico individuo che vedono è il capostazione il quale, nonostante i loro tentativi per farsi notare, pare non accorgersi di loro. Anche il tempo sembra diventato impersonale, tanto che le due protagoniste, a un certo punto impossibilitate ad avere riferimenti temporali, si disinteressano completamente ad esso. La situazione ha una svolta quando una delle due ragazze scopre, appeso accanto all’orologio della sala d’aspetto, un piccolo manifesto che riporta un terribile fatto di cronaca accaduto in un tempo imprecisato. Le reazioni sono un misto di incredulità e di rabbia per l’accaduto, nonostante i tentativi di non considerarlo, fino all’inatteso finale.


INTRODUZIONE

Spesso le introduzioni non “introducono” tutto quanto si vorrebbe dire. O si fa un testo alternativo o si legge quello che viene dopo. In questo caso la pièce. Questa pièce, che ha avuto l’onore di aver vinto il Premio di Drammaturgia “Spazio Aperto” 2012 organizzato dall’Associazione Culturale “La Teca” di Nettuno (RM), per diverso tempo è stata relegata in uno spazio chiuso, nei files di un personal computer. Eppure attraeva in maniera viscerale chi l’aveva scritta. E un giorno questa persona (chi scrive) decise di “divulgarla”. I motivi sono semplici e complessi nel medesimo tempo. Ciò rende la vita più affascinante, in un certo senso. Spesso, però, non ci basta l’esatta misurazione degli eventi. Abbiamo bisogno di complicarci l’esistenza e siamo felici così. Soprassediamo.
Il testo è veramente semplice. Per evitare ogni forma di enfasi, la trama è costruita seguendo lo schema del teatro dell’assurdo, che dà alla scrittura una percezione del reale (o dell’irreale/surreale, dipende dai punti di vista) che il teatro classico non avrebbe potuto rendere. L’assurdo uscirà leggendo la pièce. Di là di tutto i dialoghi sono scarni, essenziali… ma quello che si legge tra le righe (il paradosso è insito qui) in realtà è molto complesso, perché abbraccia i due poli dell’esistenza: la vita e la morte e ciò che sta nel mezzo.
Questa parabola, questo arco temporale, è stato vissuto realmente dalle due protagoniste. Per brevità riassumo quei fatti lontani eppure estremamente attuali. Ogni giorno c’è un accadimento di questi. Ogni sacrosanto giorno.
Le due protagoniste sono esistite, hanno vissuto e lottato fino alla fine. Nel mezzo un destino che possiamo definire, senza ombra di retorica, inclemente. Una di loro soccombette subito. L’altra la seguì, circa trenta anni dopo, morendo di cancro. Era sì un cancro, ma provocato da quell’unico episodio che rovinò la vita a due esistenze ancora acerbe. Mi riferisco alle due ragazze che furono le vittime della strage del Circeo, nell’Agro Pontino, nel 1975, Donatella Colasanti e Rosaria Lopez. Tre malfattori decisero che le due ragazze non erano esseri umani, ma semplicemente due bambole di pezza di cui sbarazzarsi a fatti compiuti. Di là del movente che può essere tutto ma è solo e semplicemente una furiosa pazzia, di là di ciò che avvenne, le due ragazze avrebbero meritato di più. Non lo dico, ripeto, per fare retorica. Avrebbero meritato più giustizia. Ed è per questo che ho deciso di pubblicare la pièce, dedicandola a loro e a chi ha subito e sta subendo le stesse violenze. Donne e bambine, donne e bambine che quotidianamente percosse dalla violenza cercano con fatica di andare avanti.

Marina Regno


Non sarà domani


A mia madre Esther


Personaggi

  • 1^ donna
  • 2^ donna
  • Il capostazione


Sala d’attesa di una stazione. Al centro della scena qualche panchina di legno. A sinistra una porta a vetri. Sulla destra una parete alla quale sono appesi un manifesto molto piccolo e un orologio. Una piccola lampadina penzola dal soffitto, illuminando debolmente lo stanzone.
Una donna è seduta su una panchina.

(entra la 2^ donna)

2^ DONNA: Buongiorno.

1^ DONNA: Buongiorno a lei.

2^ DONNA: Posso accomodarmi?

1^ DONNA: Come no. È tutto libero, non vede?

2^ DONNA: Ha ragione. Ma non ci ho fatto caso.

1^ DONNA: Non importa. Capita spesso anche a me. D’altronde sembra che non parta molta gente da questa stazione. Io sono qui già da un bel pezzo, ma non ho visto passare nemmeno un treno e lei è la prima persona che entra. C’è un tizio però (e indica la porta a vetri) che ogni tanto passa. Sarà il capostazione. Ha un berretto sulla testa e un fischietto.

2^ DONNA: È la prima volta che vengo qua.

1^ DONNA: Anch’io.

2^ DONNA: Allora non possiamo sapere… Lo sa, forse, essendo piccole stazioni di provincia, pensiamo che di treni e di persone ce ne siano poche.

1^ DONNA: Già.

2^ DONNA: Scusi (imbarazzata) ma mi sembra di conoscerla.

1^ DONNA: Oddio, sono così poco fisionomista. Una cosa almeno è certa. Se è la prima volta che veniamo in questa stazione, è chiaro che non possiamo esserci incontrate in questo posto.

2^ DONNA: (insistendo) E allora dove?

1^ DONNA: (quasi spazientita) Le ripeto, non lo so. Le persone che incontri sono sempre troppe. Ma solo poche ti stanno addosso come una seconda pelle.

2^ DONNA: Che vuol dire?

1^ DONNA: Che poche ti lasciano un segno. Nel bene e nel male.

2^ DONNA: Pensandoci bene, sono d’accordo con lei. Allora, anche se non ricordo dove l’ho vista, sono sicura che è stata positiva per me.

1^ DONNA: Caspita, che bel complimento! Mi sembra di averne ricevuti così pochi in vita mia. Credo che lei sia molto buona. Ci sono poche persone che sanno esserlo. Talvolta si nasce buoni. Talvolta s’impara, ma è difficile. Perché chi non nasce buono, cattivo resta. Già.

2^ DONNA: Fa dei ragionamenti pertinenti… insomma non fanno una grinza.

1^ DONNA: Io parlo bene, ma razzolo male. Di grinze sono piena, come un abito mal stirato. Ma non sono spiegazzature che ho fatto contro gli altri, sa. Le ho fatte addosso a me.

2^ DONNA: E perché?

1^ DONNA: E che ne so? L’ho scordato. A lei non è mai successo?

2^ DONNA: Di farmi del male, intende?

1^ DONNA: (annuisce senza parlare)

2^ DONNA: Beh, credo di sì, ma ancora oggi mi chiedo se è stata tutta colpa mia o che cosa. Se c’entrava il destino, insomma.

1^ DONNA: (pensierosa) Anch’io, dopo un po’, mi sono fatta le stesse domande. Insomma, ho iniziato a pensare che, forse, anche per me non è stata tutta colpa mia. Abbiamo molto in comune.

2^ DONNA: Le spiace se le faccio una domanda cretina?

1^ DONNA: Ma no.

2^ DONNA: È sposata?

1^ DONNA: Tutto qui? Non sono sposata. E lei?

2^ DONNA: No.

1^ DONNA: Non ha mai voluto o che cosa?

2^ DONNA: Non mi interessano gli uomini. Davvero. E non rida, per favore.

1^ DONNA: Non sto ridendo.

2^ DONNA: Non credo che gli uomini siano dei porci. Almeno, non tutti. Però, quando ci penso, mi vengono come dei vuoti nella testa. Come dei picchi, sa, quando uno c’ha l’emicrania. E mi sembra che qualcuno, un giorno, mi abbia fatto del male, molto male. Ma quando cerco di ricordare, paf, scompare tutto.

1^ DONNA: È incredibile.

2^ DONNA: Che cosa scusi? Cosa ho detto in fondo?

1^ DONNA: È come se lei avesse parlato delle mie sensazioni. Come se me le avesse lette nella testa, ripetendole pari pari.

2^ DONNA: Allora la pensa come me! Anche lei ha dei vuoti?

1^ DONNA: Sì. (si zittiscono. La 1^ donna fa cenno all’altra di guardare fuori. Si girano verso la porta finestra)

1^ DONNA: Ha visto? (con voce un po’ alterata)

2^ DONNA: No. Che cosa dovrei vedere?

1^ DONNA: E che cavolo! Non se ne rende conto? Fuori. Dentro. Non c’è nessuno. È un sacco di tempo che sto in questa fogna. Non sente che puzza di chiuso, di sporco… E guardi questa panchina… Sembra che ci abbiano pisciato sopra.

2^ DONNA: Ammetto che è inquietante, ma in fondo… posso dirlo? Non mi dispiace. È così bello stare qui con lei. Mi mette serenità, come se la conoscessi da una vita e le avessi voluto bene. Troppo. E per questo tutte e due abbiamo sofferto come pazze.

1^ DONNA: (sospira) Mi mette in imbarazzo. Le parole che ha appena detto, avrei potuto dirgliele io. Non ci capisco più nulla. Quanti anni ha?

2^ DONNA: Non lo ricordo.
1^ DONNA: Nemmeno io.

2^ DONNA: Dall’aspetto sembriamo giovani.

1^ DONNA: Pare.

2^ DONNA: Eppure non siamo sposate. Questo, almeno, ce lo ricordiamo. Lo sa? C’è gente che si sposa a quindici anni.

1^ DONNA: (fa spallucce) Affari loro.

2^ DONNA: Scommetto che non è d’accordo sul fatto che ci si possa sposare così giovani.

1^ DONNA: No. Stavo pensando a un’altra cosa. All’età. Ma che significa giovane, vecchio? A me sembrano sempre le stesse cose che ti sbattono addosso come se fossi un quadro. Sotto, a volte, ci mettono delle targhette con scritto: quadro del pittore Pinco Pallino, anno ***… Una volta ho visto una cosa del genere, ma scusami, non mi rammento altro. Solo quella targhetta che brillava… Uh, che antipatica… Sono tante le cose che non ricordo… o che non voglio ricordare. No… diciamo che le ho proprio dimenticate. Posso darti del tu, vero?

2^ DONNA: Ci mancherebbe, stavo per proportelo.

1^ DONNA: Dunque, mi dico: ma che c’entra la data? Per me è bello così. Anche se fosse dell’epoca dei dinosauri.

2^ DONNA: Hai ragione, ma loro lo fanno tanto per indicare qualcosa. In quel caso, più il quadro è vecchio, maggiore è il valore.

1^ DONNA: D’accordo, forse ho scelto l’esempio sbagliato. Prendiamo allora noi esseri umani. Tutti tendono a etichettare.
2^ DONNA: È vero.

1^ DONNA: E a me non va che mi mettano una targhetta come a un quadro.

2^ DONNA: Già. Non ci avevo mai pensato. Non hai tutti i torti.

1^ DONNA: Non posso più accettare queste cose. Le odio.

2^ DONNA: Ma adesso come stai?

1^ DONNA: Non lo so. Mi sento strana. E tu?

2^ DONNA: Uguale a te.

1^ DONNA: Ma scusa, tu a che ora devi partire?

2^ DONNA: Ti diverte se ti dico che non lo so?

1^ DONNA: Cazzo.

2^ DONNA: Cosa!?

1^ DONNA: Il divertente è che non lo so nemmeno io. E l’altra cosa strana è che non so manco dove devo andare.

2^ DONNA: Il problema è che anch’io non ho destinazioni.
(ridono)

1^ DONNA: Qualcosa dovrà pur accadere. Non staremo mica qui tutto il giorno. A proposito, che ore sono?

2^ DONNA: (tira su la manica e guarda l’orologio da polso) Sono le due.

1^ DONNA: Ma non è possibile!

[continua]


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