Prologo
Vò a parlar come feci già in passato
Di un “Don” che non è quello Manzoniano
Ma un “don” cavalier intrepido ed alla mano
Ossuto assai e… con tanta impareggiabile passion.
M’è frullato in mente non so anch’io come
D’intraprendere, pur, quest’altra avventura
Ed il “Prologo” mi fa veramente un po’ paura
Come al Cervantes che lo scrisse ai suoi dì.
Seguirò quindi, fedelmente, la traccia dei fatti
In un modo piuttosto esauriente e preciso
E su questo son proprio indubbiamente deciso
Ed è giusto, senz’ombra di dubbio, che sarà così!
Non sarà illustrato da un grande pittore
Dal pennel di Dalì dal sangue Spagnolo
Ma “da mì” che son “artista” diciam Brianzolo
Con ben altra riuscita: su questo si discuterà.
Molti dubbi lo scrittore tenea nella mente
Reputandosi d’intelletto non all’altezza dei fatti
Pur la prigion avea provata è scritto negli atti
Non è il caso d’indagare sulla sua vita di più.
Non potevo con la mia fantasia assai scarsa
Che partorir questo strano racconto, ai miei giorni
Fissazioni o fantasticherie del mondo, sì enormi
Che a nessuno verrebbe in mente di dir.
Anch’io mi metto di Cervantes nei panni
La cultura anche se non la disdegno
Voglio rammentar che son più forte in disegno
Ma non al punto d’insidiare il grande Dalì.
Non farò certamente rime colte o ricercate
Non insidierò latinisti o grandi, dalla rima sicura
Ma così, semplicemente, se volete lo giuro,
Come ùn che si diletta, ma niente di più!
Mi sentirò incoraggiato da amici fedeli e sinceri
Mi sentirò spronato senz’altro in famiglia
Di terminar “’sta fobìa” che ogni tanto mi piglia
In quest’istante e… naturalmente la dovrò assecondar.
Parlerò quindi in rima di questo gran prode
Cavaliere e del suo strano e devoto scudiero
Sancio Panza è il suo nome, purtroppo, nevvero…
Delle lor gesta un po’ folli e scriteriate, ahimè!
Sarete voi, a giudicare ’ste modeste mie righe
Ma, con cuore leggero, con indulgenza vi prego
Sento un po’ di paura, questo, non lo nego
Ma, infine se ci penso, che male vi fò?
Capitolo I
(Che tratta del grado sociale e delle abitudini del
famoso cavaliere don Chisciotte della Mancia)
Abitava in un paese qualunque, ma spero ridente,
Il cui nome non l’ha scritto davvero
Situato nella Mancia, ch’è una regione, lo spero,
Un cavaliere d’indomito coraggio, di cui voglio parlar!
Tenea per sé una lancia e pure uno scudo
Un ronzino malconcio e assai dimagrito
Un levriero da caccia ed un certo vestito
Con calzon di velluto, camicia bianca e tabarr.
Si nutriva con cibi diciamo pure frugali
Carne fredda, uova, ed alle volte il prosciutto
Ma, nei dì di festa, con qualche frutto,
Un piccioncino usava con grande gioia ingollar!
La sua età non si potrebbe davvero immaginare
Ma i cinquanta sfiorava più o meno davvero
Avea in casa una governante fissa e, foriero,
Una nipote ed un bravo fedele garzon!
Dicon che facesse, per certo, di cognome Quijana
E nei momenti di rinnovata ed esaltante pigrizia
Leggeva innumerevoli libri di cavalleria (era lo sfizio)
Che avvolgevan la sua mente, già contorta, ahimè!
Feliciano da Silva era l’autor da lui preferito:
Metteva su carta, con profusione, dei ragionamenti
Così intricati ed alle volte veramente inconcludenti
Che gli toglievano il sonno e pur la ragion.
Passava notti in ambasce e tormenti assillanti
Trascurava la caccia, vendeva terreni e beni a iosa
Per comprar libri e cercar di capire una cosa:
Che dovea far per divenire un gran cavalier.
Eccolo immerso nei duelli e sfide più audaci
Tra amori, battaglie, ferite, gemiti e trine
S’immedesimava e, con la fantasia, avrebbe scritto la fine
A lui più logica naturalmente e più congenial.
S’immedesimava nel valoroso cavaliere Cid Ruiz Diaz
Oppure in quello detto dell’Ardente Spada
Che in un sol colpo, in mezzo alla strada
Avea ucciso, con grande valore, due giganti… sarà!
Col cervello, dalle epiche letture, ormai frastornato
E… giudicatosi, con intima convinzione, gran Cavaliere
Sì errante, per volontà sua e gran giustiziere
Della patria, naturalmente, per tutti i suoi dì!
Si vedea pel suo spontaneo ed innato valore
Incoronato un dì non lontano, di Trebisonda l’Impero
E brandendo, in strenua pugna, spada e cimiero
Conquistar fama eterna, da tramandarsi, ed onor.
Ripulì con gran cura, certe armi ammuffite
Dei bisavoli o discendenti, pur lor cavalieri
Le riassettò come poté, con gran cura, volentieri
E con la spada, due fendenti, tosto, tirò.
Aggiustò la sua celata ch’era fatta ad incastro
S’andò a guardare, con cura, com’era il ronzino
Così acciaccato, malridotto, denutrito o il tapino!
Ma a lui parve “Bucefalo” e… forse di più.
Dovea dare, a questi, un gran nome d’effetto
Che accollasse stima, fama, onore, all’Errante
E gli parve che se avesse scelto “Ronzinante”
Fosse stato il giusto, sarebbe andato bene così.
Ora il cavallo o Ronzino il nome l’aveva
Ma per sé, lo pensò per tutta la notte
Io sarò il gran cavalier don Chisciotte
Della Mancia perché, com’è noto, nato son lì!
Tutto quanto è ora stabilito e perfetto
Armi, nomi, un cavallo ma, ad un cavaliere
Cosa manca, è molto importante, lo volete sapere?
Una gran dama, d’amare ai suoi dì!
Non esiste cavalier senza dama o pulzella
Sarebbe come albero morto, senza fiori né frutti
Chi vincerò (e saran molti) dovrà innanzittutto
Prostrarsi a Lei e chieder grazia così!
Si rallegrò don Chisciotte e ne coltivò l’idea
Alla mente furtiva, pressante, gli tornò il ricordo
D’una contadinotta avvenente, del paese ed, assorto:
Lei certamente è la donna fatta per me.
Si chiamava, se ben ricordo, Aldonza Lorenzo
Perché è scritto e perciò non devo temere
Ma un nome più nobil dovrà essa avere
Sarà Dulcinea del Toboso: le sue radici eran lì!
Gli sembrò il nome più musicale e prezioso
Come gli altri: il Suo e del Ronzino
Che farà adesso il nostro cavaliere… meschino
Nel seguente capitolo, certamente ve lo dirò.
Capitolo II
(Che tratta della prima uscita che il fantastico
don Chisciotte fece dalla sua terra)
Ora è pronto: con sogni armi e destriero
Sarà lui che sanerà molti torti ed offese
Già gli sembra di tardar, ed il paese,
Ha già tanto, indiscutibilmente, bisogno di Lui.
Ecco allor che sul far d’un mattino
Molto caldo, era il mese di luglio,
Senza lasciar traccia, senza dir a nessun del “garbuglio”
Con le armi, su Ronzinante, con orgoglio salì!
Non v’era alcun e, da una porta segreta,
Tutto allegro, rilassato, con propositi e senza pensieri
Soddisfatto, sicuro di sé, pensò all’ieri
E per l’oggi, veramente, altra vita sarà!
Era ormai libero ed in aperta campagna
Ma la sua mente malata ed anche meschina
Gli sfornò un gran dubbio e maligna:
Senza una grande investitura, non sei cavalier!
Per un attimo pensò di rinunciare all’impresa
Era noto che secondo la legge della cavalleria
Non dovea usar l’arme per offender, tuttavia
Contro cavaliere che quell’investitura avea già!
Sono io, e si vede, un cavaliere novello
E con l’arma bianca dovrò fare offesa
Son senza insegne sullo scudo e, l’impresa
Dovrà far guadagnare, d’ora innanzi, il mio blason.
Questo pensiero turbò assai don Chisciotte
Ma essendo la follìa giunta ormai all’estremo
Pensò di pulir l’arme con grande zelo
Finché bianche, come ermellino, dovessero apparir!
Ora l’animo s’acquieta e la mente riposa
Prosegue Ronzinante, lemme lemme, il suo cammino
Che era sol quello verso il destino
Che la fatalità e l’avventura potesse fornir.
Strada facendo si vedea già invitto e famoso
Pensava alle sue gesta, scritte “a memoria”
Io, famoso cavalier, passerò certamente alla storia…
Mentre transitava assorto e pensieroso nel territorio di Montiél.
E proprio lì Ronzinante con passo ormai allo stremo
Ridotto così da un sole implacabile e cocente
Deambulava mentre, del suo cavaliere, la mente
Farneticava e vagava inarrestabile, fra importanti pensier!
Si vedea a condur gesta spericolate e famose
Degne di bronzi, marmi, pitture ed anche scritti
Che cronisti di fama, con discorsi ed editti,
Tramanderanno agli umani futuri, esaltandone il valor.
Alla bella Dulcinea, signora di questo suo cuore,
Come se di Lei ne fosse innamorato davvero
L’incolpava d’averlo sedotto e fatto prigioniero
Umiliandolo per non goder di sua sfolgorante beltà.
Farneticava, come sempre, la sua mente imbottita
Delle corbellerie assorbite incessantemente, nel leggere i libri
Camminaron tutto il giorno così un po’ pigri
Senza incontrare nessun personaggio da doversi colpir.
Avrebbe voluto al mondo, dimostrare il suo valore
Al più presto per acquistare la fama
Alcuni dicon che Passo Làpice sia la trama
Altri ancor che i mulini a vento, affrontò.
Eran sì stanchi e morti di fame
Che cercavan al più presto un ostello,
Fosse stato qualsiasi riparo: capanna o castello
In fondo al sentiero, finalmente, una locanda spuntò.
Come un faro che guida nella notte le navi
Questa, fu una stella per don Chisciotte e destriero,
Vi arrivò ch’era ormai sull’imbrunire, nevvero:
Due giovin donne stavan sulla porta così!
Eran queste, come si suol dire: donnine di strada
Compagne occasionali e… ben disposte, di certi mulattieri
Che andavan a Siviglia, giunti sin da ieri
Facendo tappa in luogo per riposarsi un po’!
Ma, al nostro, ritenutosi ormai avventuriero e cavaliere
A cui ogni cosa sembrava, per lo meno, eccitante
Per le letture immagazzinate in ‘la mente
Quella locanda, come in sogno, un castello sembrò.
Costruzione dalle sembianze… poderosa e pure turrita
Con grande fossato, ponte levatoio a catena tirata
Quivi giunto, in arcioni, con la briglia abbandonata
Ronzinante, senza esitazione, il suo passò fermò.
Aspettava, don Chisciotte, che gnomi oppure fantasmi
Apparissero per magìa, non si sa da dove
Ma, purtroppo, e non si sa come
Alla locanda lo diresse, e comunque va ben.
Le due “traviate” ancor ferme sulla porta
A lui parvero forse come gran damigelle
In quel momento, un porcaro, diciamo, imbelle
Il suo corno, a raccolta, con potenza suonò.
Ma don Chisciotte l’avvertì come suono
Come segnal per l’arrivo dei nani
S’avvicinò alla porta e… istintivamente, le dame,
Si ritrassero furtive, ed impaurite, nel veder…
Quest’uomo alto, magro e stranamente vestito
Con armatura, uno scudo e la lancia
Che, alzata la visiera, mostrò, purtroppo, una faccia
Polverosa e secca con aspetto veramente spettral!
Avvicinatosi, le chiamò con galanteria, illustri donzelle
Ma, non avvezze, e lo credo, a simili attenzioni
Si misero a ridere, purtroppo, con grande passione
Che, del nostro, fu come arma al cor ferir!
Il suo vestir ed il linguaggio usato
Facevano crescere il riso ma pure lo sdegno
Al cavalier, che non si sentiva degno
Di venire, da due dame, trattato così!
Salvò entrambi l’apparir del padron locandiere
Che incuriosito dal trambusto in quel mentre avvenuto
Diè a don Chisciotte, il suo personal benvenuto
In un certo modo, forbito, a quei dì.
Se lei cerca alloggio, come penso, signor cavaliere
Solo cibo, purtroppo, io a lei posso dare
Perché letti, o altro, è qui da vedere
Per questa notte, a disposizione non ho!
Signor castellano, si sentì dir di rimando,
Ogni cosa da me è ben gradita…
Gli tenne ferma la staffa ed, a fatica,
Il cavalier, da Ronzinante, finalmente smontò.
Mi sistemi e rifocilli con gran cura il cavallo
Ch’è il migliore ch’esista al mondo…
Quando tornò, lo trovò ch’era pronto
A farsi toglier l’armatura, sapete da chi?
Dalle donzelle che assai goffe ed indaffarate
Gli avean tolto pettorale e pur gli spallacci
Ma la gorgiera e celata, tenute dai lacci,
Resistevan e malgrado l’impegno… non venivano giù!
Non permise lor di tagliar tutti i nodi
Passò quindi la notte con su la celata
Era la più buffa figura nel ferro inguainata
Ma dall’armatura lo riuscirono ad estrar.
Gli chiesero allor se desiderava mangiare
Certamente, avea bisogno d’ingollare qualcosa
Ma essendo venerdì, mangiar di magro, si usa…
Solo pesce, v’era pronto, è ovvio, in quel dì.
Gliene proposero cucinato, in varietà diverse
Baccalà, stoccafisso, tanto per dire e… pure salacca
Ch’è poi sempre, diciamo, la stessa… patacca
A seconda del posto in cui si va a cucinar.
Gli apparecchiaron la tavola in un battibaleno
Baccalà un po’ molliccio gli venne servito
Dovettero imboccarlo ed abbeverarlo: egli era impedito…
Da quell’elmo e celata ch’avea ancor su!
Arrivò a quel punto, mettendo piede in locanda
Un solitario e, veramente strano, castratore di porci
Che suonando una zampogna, se ricordo, ancor oggi
Convinse il meschino che lì, era un castel.
Gli mancava, purtroppo, ed era il gran cruccio
L’investitura solenne e spocchiosa a gran cavaliere
Nessuna avventura ed in nessun modo poteva affrontare
Se non l’avesse avuta proprio in quei dì!
Capitolo III
(In cui si racconta in che buffa maniera
si armò cavaliere don Chisciotte)
Con questo insistente pensiero, o grande tormento
Terminò in fretta la sua magra, tristissima cena
Chiamò il locandiere per dirgli la pena…
Ed alla stalla, rassegnato, con lui si recò.
Girata la chiave con fare distaccato e compunto
Gli si inginocchiò chiedendo con voce orante
L’investitura a grande e valoroso cavaliere errante
E… titubante, l’oste, preso alla sprovvista, acconsentì.
Non m’aspettavo altro dalla sua magnificenza…
Veglierò in arme nella cappella del castello
E domani, si compirà tutto quanto anelo:
Girerò pel mondo e la gloria alfine cercar.
Il locandiere, capito ormai che il senno
Se n’era andato, vide allor d’assecondarlo
Per divertirsi, è ovvio, e per giungere al traguardo
Disse che lui, da giovin, si comportò così!
Se n’era andato girando in cerca d’avventure
Tra i Porticati di Malaga, gli isolati di Riaràn
Con la Rondella di Granata (questi invero saran)
Posti malfamati di quelle austere e gran città.
In quei posti, compiuti molti ed efferati torti
Avea ingannati pupilli, amici e pur donzelle
Tra preture e tribunal, ci volevan pure quelli…
S’era ritirato, quindi, in questo suo castel.
Qui ospitava i cavalieri erranti di passaggio
Ma, non esistendo nel castello una cappella
Poteva vegliar la notte, così, sotto le stelle
In un cortile, da lui scelto, a volontà.
All’indomani, poi, piacendo a Dio e… al cavaliere
Si sarebbe svolto il nobil rito dell’investitura
Armandolo cavaliere nobile, contrito e senza paura
Come mai nessuno ebbe modo di far!
Gli chiese poi, se teneva con sé del danaro.
Ma… un cavalier, vivaddio, non ne può tenere…
Ciò non è scritto, obiettò allor il locandiere:
Sempre se ’n tiene, ma non lo si fa saper!
Un cavalier, porta sempre con sé danaro
Camicie bianche e pure qualche intruglio o unguento
Per guarir ferite, o altro, in qualsiasi momento
Là in un deserto, o luogo, ove niuno v’è!
In tempi passati, chi andava errando pel mondo
Teneva uno scudiero che provvedeva al tutto
Chi non l’aveva si tenea il “costrutto”
In bisaccine ben fissate al fianco del destrier.
Alfin, per dargli l’ultimo ed utile consiglio
Gli suggerì di portar sempre denaro ed unguenti
Li avrebbe usati con dovizia e senza pentimenti
Al momento giusto, è logico, ma… senza esitar.
Assicurò il locandiere, il nostro don Chisciotte
Che avrebbe eseguito, con cura, i consigli ricevuti
Si accinse quindi, ed il buon Dio l’aiuti
A far la veglia, in armi, dentro ad un cortil.
Riunitele tutte, nei pressi d’un grande pozzo
Imbracciò lo scudo e… con una man la lancia
Cominciò a passeggiar, irrigidendo la sua guancia…
S’avvicinava una lunga notte, le tenebre eran lì.
Si premurò l’oste, appena rientrato, d’avvisare
Tutti gli avventori ch’erano in locanda
Della pazzìa che ormai quell’uom, comanda,
Ed andarono a spiarlo, un poco, da lontan.
Alta la notte e l’astro, su nel cielo
Inondava di fredda luce, tutta quella scena
Il cavalier camminava senza mostrar la pena
Ma vegliando l’arme con puntigliosa assiduità.
Ùn dei mulattieri si rammentò di dare
Da bere alle bestie con l’acqua del pozzo
Doveva spostar l’arme ma, di rimando, il nostro
Gl’intimò la ferma, ma lui, non l’ascoltò.
Le prese tosto e le scagliò lontano
Mal gliene incolse, che, invocando Dulcinea
Il nostro eroe, alzò la lancia con veloce idea,
Gli diè un fendente in testa, ed a terra lo lasciò.
Se avesse seguitato, con un altro colpo
Il meschin sarebbe andato all’altro mondo
Fatto ciò, raccolse l’arme girando ancora in tondo
Con tanta calma, rinnovata lena, ed austerità.
Non passò molto che un altro mulattiere
Ignaro di ciò ch’era già accaduto
Per abbeverare i muli, spostò l’arme e… in un minuto
Si trovò la testa, aperta, come un melon.
Al rumore accorse allarmata tutta quella gente
Che si trovava, al momento, dentro la locanda
E don Chisciotte, contro “diga” che si schianta
Prese scudo e spada, per difendere il suo onor.
O signora della bellezza, dammi quella forza
Che il cavalier, tuo schiavo, or deve acquisire…
Ma i compagni dei feriti, vedendoli languire
Presero sassi e, contro lui, cominciaron a lanciar.
Il cavalier si difendeva armeggiando con lo scudo
Dalla incessante gragnòla che su di lui scendeva
Non indietreggiava, da futuro cavaliere, difendere doveva
Tutte quell’armi ch’erano ai suoi piè.
Cercava il locandiere d’imbonir le parti
Urlavano i mulattieri, ma più di lor, l’errante
Lasciate, è un pazzo, è tutto delirante…
Continuò la bolgia, ancora per un po’.
Gridava a tutti ch’eran vili e inetti
Al castellano locandiere che permetteva tutto questo
Con coraggio disinvolto, lui, diceva e, presto,
Gli altri, impauriti, si fermarono a guardar.
Fu come tregua, si ritirarono i feriti
Il locandiere, riuscì così nel suo intento
Ritornò a passeggiar, il nostro, sempre brandendo
La sua spada, con imperturbabile, silenziosa dignità.
Dopo gli scherzi dell’ospite assai strano
Pensò il locandiere d’accorciare i tempi…
Vi nominerò cavaliere, non occorrono altri esempi
Per dimostrare al mondo tutto il suo valor!
Vi farò l’investitura, anche in mezzo a un campo
In ogni luogo, anche se non v’è cappella
Don Chisciotte annuì e, bevve pure quella.
Sarebbe stato, Dio piacendo, a breve, nominato cavalier.
Chiese scusa il locandiere, per l’insolenza avuta
Disse il cavaliere d’accelerare comunque i tempi
Perché, se aggredito, non avrebbe saputo altrimenti
Come comportarsi e, secondo la situazione… reagir!
Andò subito il castellano a prendere un libro
Su cui segnava la biada e pure il fieno
Poi… un ragazzo con un mozzicon di cero
E… le due “traviate” delle quali ebbi a dir.
Lor si diressero dunque verso don Chisciotte
A cui ordinaron di mettersi in ginocchio
Leggendo in quel libro, non so quale spocchio,
Prese una spada e… solenne poi l’alzò.
Gli diè un colpo ben assestato al collo
Ed una piattonata, robusta, sulle spalle
Sempre borbottando qualcosa a quell’imbelle
Gli fè cinger la spada, al fianco e lì finì.
Non sapean come far a trattenere il riso
Ma per le prodezze che gli avevan viste fare
Si tennero molto calmi e osaron proferire:
Dio faccia di Voi un generosissimo cavalier.
Chiese alla ragazza che gli era più vicina
Come si chiamasse e poterla quindi ringraziare
Mi chiaman la “Tolosa”, lesta, ebbe a dire
Figlia di ciabattino, che a Toledo, sta.
Abita presso le bottegucce d’un Sancio Benabbia
Ed in qualsiasi posto, lei si fosse trovata,
L’avrebbe sempre servito, cerimoniosa ed educata,
L’avrebbe considerato come il suo signor.
Pure all’altra chiese poi il nome.
Sono la “Mugnaia”, mio padre è d’Autequera
Anche per voi, gentile e bella mia signora
Offro servigi, con valore e molta onestà.
Terminato il veloce, assai compunto, gran cerimoniale
Montò il nostro cavalier, sul “focoso” Ronzinante
Ringraziò quindi tutti con fare assai importante…
Non pagò il conto: lo si sapeva già!