Rudolf und Mary ed altri racconti

di

Mario Vierucci


Mario Vierucci - Rudolf und Mary ed altri racconti
Collana "I Gelsi" - I libri di Poesia e Narrativa
14x20,5 - pp. 78 - Euro 10,00
ISBN 978-88-6587-4400

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In copertina: “Fuga d’amore” di Andrea Mauro (Acrilico e smalto su tela intonacata – cm. 30 x cm 20)


Ogni riferimento a luoghi, persone e fatti realmente accaduti è puramente casuale


… Capace di conferire dignità letteraria alla materia prima allo stato informale ed astratto che attraversa la sua mente di aedo, Mario Vierucci poeta e narratore, con i suoi coinvolgenti fraseggi gioca una sorta di partita con il lettore trascinandone il cuore e l’anima in un connubio indistruttibile con il lirismo ineffabile della sua vena artistica, così prorompente da sembrar volersi liberare ad ogni momento dai freddi caratteri tipografici per imboccare decisamente la via pulcritudinis che conduce all’ultraterreno.
Non esistono, per l’opera letteraria di Vierucci, obiettivi raggiunti, ogni ultima fatica costruisce, in verità, una nuova vetta da cui spiccare il volo verso cime sempre più alte, verso quell’empireo di cui soltanto l’Eterno è arbitro e Signore nel tempo e nella storia.
Ancora una volta, dunque, regalandoci questo libretto, il poliedrico cantore sublima sé stesso. opponendosi alle miserie che soffrono “quest’atomo opaco del male” con il vigore di chi sa stupire perfino le Muse.

R. Roffi


Prefazione

Con questo nuovo libro, che comprende due brevi racconti ed alcune poesie, Mario Vierucci propone un’alternanza narrativa tra vicende storiche dai risvolti tragici e, al contempo, cerca di ammantare i racconti con atmosfere sentimentali e pervase da profonda umanità come a “cantare dell’umana tragedia”.
Nel susseguirsi delle varie fasi del percorso si avverte chiaramente la volontà di confrontarsi con la dimensione dell’immaginario o, quanto meno, con una ricostruzione visionaria di eventi che possono ricondurre alla necessità di liberarsi da una ipoteca culturale e creare una sorta di filtro che consenta la lettura critica delle emozioni-sensazioni che si alternano nel continuo gioco narrativo.
Ecco allora che la triste storia d’amore tra Rodolfo d’Asburgo e la baronessa Mary Vétzera diventa paradigma dell’amore negato, fino a condurre alla morte del principe e della sua amante nella notte del 29 gennaio dell’anno 1889.
Mario Vierucci, con acutezza, inserisce numerosi riferimenti storici e racconta le vicende esistenziali dei protagonisti con tutto ciò che ne consegue: il difficile rapporto di Rodolfo con il padre Francesco Giuseppe ed il matrimonio con l’arciduchessa Stefania e, poi, la nascita della figlia Elisabetta alla quale seguirà un lento ma inesorabile allontanamento di Rodolfo dalla moglie, fino a condurlo nelle braccia della baronessina Mary che incendierà la sua vita.
La triste vicenda viene giocata su toni discreti nonostante il fatto che rappresenti un momento storico abbastanza oscuro e pervaso da complotti e segreti custoditi con tenacia.
Allo stesso modo, nel breve racconto “La riva triste del lago Van”, la narrazione è pervasa da tristezza infinita e vede, come simbolico protagonista, uno scrittore che decide di porre fine alla sua vita lasciandosi trascinare da un’irrefrenabile ed oscura attrazione d’inabissamento nell’acqua del lago Van, nella regione del Bosforo: tale attrazione nasce dal suo desiderio di poter “ritornare” dal figlio, che è morto, durante una tempesta, proprio in quel lago.
In questo racconto, malinconico e struggente, Mario Vierucci rende palpabile e universalmente drammatico il lento inabissamento volontario di un uomo: il simbolico “sprofondamento” rappresenta il “ritorno”, un principio di nuova vita a fianco del figlio perduto.
Tutto pare disperante ma la caduta nell’oscurità non è altro che l’agognata ricerca della pace interiore, il raggiungimento della quiete del proprio animo dopo il cataclisma esistenziale.
Mario Vierucci riesce a coltivare, con coraggio, l’intenzione di ripensare a ciò che sta svanendo come in un lento declinare della vita stessa: tutto è sempre in equilibrio precario, quasi ad aspettarsi l’inevitabile scivolamento nell’oblio, la caduta d’ogni certezza, l’estenuazione del sentimento e delle “umane cose”, che progressivamente vanno perdendo il loro significato, fino a fare i conti con il misterioso aldilà.
Nel susseguirsi delle narrazioni Mario Vierucci pone come caposaldo la sua passione per la scrittura e, come strumento per alimentare tale coinvolgimento, l’intenzione di raccontare, in modo originale, la sua personale visione letteraria, sempre capace di fulminei slanci e d’inaspettata vena ironica.
Tutto ciò che racconta assume un valore più profondo, che supera il mero intreccio narrativo e la semplice descrizione e rappresentazione per immagini, catapultando in una visione parallela della realtà nella quale non manca certo lo sguardo critico pur facendo sentire, in modo chiaro, che si sta muovendo in una dimensione volutamente immaginifica.
La forza creativa e la capacità d’invenzione accompagnano Mario Vierucci quando decide di modificare, plasmare e miscelare le varie urgenze che nascono dal suo desiderio di scrivere e sempre vi mette il cuore e l’anima con sincerità e profonda sensibilità.
Le ferite che fanno soffrire i suoi protagonisti sono le “sue” ferite e gli ardori della vita appartengono alla sua esistenza, così come il profondo travaglio interiore che si avverte in tutto ciò che scrive.
La forza di Mario Vierucci consiste proprio in questa veemente ricerca del senso d’umanità: nella capacità di continuare a lottare, senza perdersi mai d’animo, senza abbandonarsi al lento dissolvimento delle sue idee, ma coltivandole con vibrante fervore.

Massimo Barile


Rudolf und Mary ed altri racconti


Ai miei nipotini Luis Athos, Sara e Sofia
con immenso affetto


Nota dell’autore

In alcuni passaggi del romanzo ho scelto di mantenere intatto il clima ed il carattere linguistico degli ultimi ’800-primi ’900, affinché il lettore s’appassioni come me alla vicenda tragica e, allo stesso tempo, romantica. Inoltre, ho aggiunto – ove possibile – sprazzi d’umorismo al solo scopo di alleggerire l’atmosferica che pervade tutta la storia.


“Nei quieti crepuscoli
La spiaggia offre uno spettacolo magico.
Le schiene delle onde luccicano di un bagliore verdastro
Accorrendo verso la riva.
I remi della barca che s’avanza lentamente
Sembrano immergersi in un liquido fuoco”

Da “Il mistero delle onde”
(Opera del Principe Ereditario Rodolfo d’Austria)


Rudolf und Mary


Introduzione

Fin dal 1889 la sorte dell’Arciduca Rodolfo d’Asburgo e della Baronessina Mary Vétzera apparve sommamente tragediabile, per dirla alla Vittorio Alfieri. Eppure il suicidio-omicidio ha affrontato da sempre un tema storico e leggendario e, allo stesso tempo, passionale e politico, intimo e privato, che commosse l’opinione pubblica dell’intera Europa. A tutto ciò contribuirono anche “romanzieri di portineria”, cronisti e giornalisti, per non parlare di quell’esplorazione critica dell’epoca che si riteneva capace di ricostruire perfino gli avvenimenti intorno al Re Numa Pompilio ed alla guerra di Troia. Poi ci fu la gente comune che per le vie e le piazze di Vienna parlava della vicenda come di un “mysterios und unschon tatsache” (un “misterioso pasticciaccio”)

***

A pochi giornalisti italiani che riempirono pagine di giornali sulla tragedia, fu riconosciuta una certa versatilità, ed uno stile vagamente dannunziano sfrondato dagli allori, anche se a volte usavano belle frasi non partorite dalle loro menti, come questa: “La storia cerca il vero e l’arte cerca il bello, ma il bello è pure un aspetto del vero”. Ve ne furono poi alcuni che si esibirono fin troppo in abbellimenti sentimentali e romantici, con dicerie raffinate o, a secondo dei casi, scandalose.
Non mi sorprese quindi il parere del mio bisnonno Franz Hofer, segretario, all’epoca, dell’Ambasciata Italiana alla Corte Asburgica. Ricordo quel giorno che fra una tirata e l’altra dalla sua pipa, mi disse: “Lo sai, nipote? Se c’è una cosa di cui io sono certo è che il sangue di Mayerling non si mischiò con tanto fango quanto le curiosità avide e corrotte avrebbero voluto”.

***

Ed ecco un particolare che mi colpì subito: per volere dell’Imperatore Francesco Giuseppe, dopo l’omicidio-suicidio dei due amanti, si fece in modo che nulla fosse certo se non la mera constatazione che fra il 29 e il 30 gennaio 1889, un Principe ed una signorina, sua amante, fossero morti di morte violenta. Ben presto venne fuori l’ignota realtà che dette il via a congiunture e deformazioni di ogni genere.

***

Il Principe Rodolfo apparve spesso come un “martire di libertà e di giustizia”. E che dire della baronessina Mary Vétzera? Di lei si parlò come di una “vittima pura” e di una “Giulietta di Shakespeare”. Nelle pagine che seguono cercherò di dimostrare che queste vaghe ed inafferrabili opinioni siano, nella sostanza, le più vicine al vero.

***

Nella filigrana dei due destini gli eventi si svolsero nel più sconcertante clima storico-romantico. È comprensibile, allora, che nella stesura di questo romanzo non mi sia stato facile controllare sempre la veridicità, le date e la dinamica dei fatti.
In primis: alle ore sette e trenta di mercoledì 30 gennaio 1889, ci si trovò di fronte ad un rebus, per così dire, in quanto furono uditi due colpi di pistola provenienti dal casino di caccia di Mayerling, e fu trovato un solo bossolo. La baronessina fu trovata distesa su un letto, uccisa da un colpo di rivoltella alla tempia sinistra e, accanto a lei, il principe Rodolfo, morto anche lui, col capo fracassato.
Al momento della tragedia, nel castello di Mayerling erano presenti il cognato del principe, Filippo di Sassonia-Coburgo, il Conte Giuseppe Hojos e il conte Giovanni Wilczeck.
Il risultato dell’autopsia sul corpo di Rodolfo non venne mai pubblicata, e per Mary Vétzera non venne nemmeno eseguita. Nel referto dei medici di corte si scrisse che il cranio del principe era anormale: quanto basta per mettere i giornalisti nelle condizioni ideali di ricamarci sopra con tutte le possibili varianti, considerando le patologie, mai accertate, del principe suicida.
Ebbe quindi ragione il Dottor Otto Ernst, autore di un epistolario dell’Imperatore, nel dire che “nessuno, forse, saprà mai, punto per punto, cosa accadde quella notte d’orrore”. Allora mi domandai (e me lo domando ancora), se non ci fosse stato il ventilato complotto, o forse qualcosa di più terribile e scandaloso, da tenere nascosto bene e per sempre, agli occhi del mondo.

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Un particolare a cui devo accennare: sembra che la notte precedente a quella in cui si svolse la tragedia, il principe l’abbia trascorsa con la grande cocotte di Vienna: la ballerina Mitzi Caspar. Questa storia, per altro, la tirò fuori anche la vedova di Rodolfo dopo la sua morte.
Purtroppo, l’incendio che i primi di marzo del 1926 devastò il castello dei Conti Taaf, ad Ellischau, in Boemia, distrusse anche i protocolli imperiali della tragedia di Mayerling.

***

Degli scrittori che s’interessarono alla tragedia, cito il barone Mitis, già direttore dell’Archivio di Corte e di Stato di Vienna, nonché autore di un pregevole volume sul Principe Ereditario, che comprende un sagace sommario critico della vita e della morte di Rodolfo.

***

Ci fu poi l’illustre Joseph Redlich, uno dei più grandi storici austriaci, il quale mi parlò di altri scrittori le cui doti erano contrassegnate in tedesco con gli aggettivi “grundlich, fein e scharfsinning”, che ebbero il merito di aver liberato la figura del principe dalle menzogne e dalle deformazioni della letteratura scandalistica.


Prima parte

Quel mattino, dunque, il trentunenne Principe Rodolfo fu trovato morto nel suo Castello di Mayerling, umile villaggio di pochi abitanti, a pochi chilometri da Vienna.
Un particolare mi lasciò perplesso per il fatto che esistevano due versioni della tragedia: nella prima (la più accreditata), Rodolfo uccise Maria Vétzera e poi si tolse la vita. Nella seconda, invece, lei morì dissanguata e il principe, vedendo l’amata in quelli condizioni, decise di farla finita. Trovai strano, inoltre, che in poco tempo fossero saltate fuori tre ipotesi sulla morte del principe: “un incidente di caccia”, “un eccesso cardiaco” (Herz-schag o coup de sang) ed “un suicidio in un momento d’alienazione mentale”. La seconda ipotesi fu quella fatta accreditare da Francesco Giuseppe in tutte le Corti d’Europa. Si scrisse, fra l’altro, che l’Imperatore avrebbe fatto passare un bel po’ di tempo prima di far sapere al mondo che la donna trovata morta nella stanza era la giovane baronessina Mary Vétzera.

***

Molte leggende fiorirono intorno a questa bellissima diciottenne dai lunghi capelli neri e il nasino rétroussé, come quella secondo cui non fosse morta, ma sopravvissuta col viso orribilmente sfigurato, e quindi portata in condizioni pietose in un convento. (E non furono pochi a crederci!)
Secondo altri, invece, la salma fu messa di notte in una carrozza, e poi le fu legato dietro la schiena un pezzo di legno affinché la sventurata sembrasse viva. Quindi fu portata di peso in un vecchio ed isolato cimitero, e qui fu seppellito velocemente, e in modo orribile, il corpo coperto di sangue di Mary Vétzera.

***

Cenni storici

Il nome di Rodolfo fu dato al Principe Ereditario in onore di quel Rodolfo I che nelle strette gole svizzere aveva costruito il nido dei suoi antenati, portando assai lontano il destino della razza asburgica. Con lui ebbe inizio la continua ascesa fino all’avvento di Carlo Quinto, figlio di Philipp e di Giovanna La Pazza, che forse alcuni di noi ricorderanno. Da questo sfortunato incrocio ebbe così inizio la “degenerazione progressiva” della famiglia degli Asburgo. Qui di seguito trascrivo alcuni versi, passati alla storia, di “Giovanna La Pazza”, ex regina di Castiglia, andata in sposa a Philipp il Bello, Arciduca d’Austria:

“…Ed io sono la pazzia… la terza fata – dice –
E son della morte innamorata.
La bara per il talamo ho scambiata,
E solo nel cataletto io posso amare”

***

Con Rodolfo II (1552-1612), pronipote di Giovanna la Pazza, iniziò dunque la decadenza degli Asburgo. Egli fu un grande benefattore di Kaplero, famoso astronomo e matematico. Fu sua anche una certa velleità di rivolta protestante. Morì mentecatto e idropico, il che vuol dire “patologica e visibilissima raccolta di liquidi nella cute”.

***

Ma il declino vero e proprio dell’Austria cominciò dopo la nascita del Principe Ereditario Rodolfo, quando Francesco Giuseppe (detto in Italia “Cecco Beppe”) perdette la Lombardia (1859). Seguirono la battaglia di Sadowa e la perdita del Veneto, con la vittoria dell’Esercito Italiano a Vittorio Veneto(1), appunto.
Passato del tempo, fu ucciso a Queretaro l’Arciduca Massimiliano (fratello di Francesco Giuseppe), considerato l’Effimero Imperatore del Messico. Fu un vero peccato perché era il migliore della sua generazione. Era alto, molto bello, ma turbato, a volte, da malinconie, e sconvolto da miraggi comuni a quasi tutti gli Asburgo. Questa sventura, purtroppo, s’impresse nella mente di Rodolfo quand’era molto piccolo.

***

Il castello di Miramare, a Trieste, fu costruito su desiderio dell’Arciduca Massimiliano. A chi l’osserva per la prima volta, si rivela come un Valalla del cattivo gusto, simile a tante altre fastosità approssimativamente wagneriane di quei tempi. Osservandolo con attenzione, mostra all’interno i segni di un segreto delirio: valletti romantici con le torce in pugno, scalini così diseguali che non è possibile salirvi se non tenendosi a destra delle scale. Vi sono anche lastre di vetro dalle quali traspaiono i pavimenti sottostanti, facendoli sembrare dei trabocchetti. Non passano poi inosservati i vetri colorati alle finestre per mostrare il mare truccato in rosa e in indaco.
Il lusso nei salotti, nelle camere e nei saloni immensi è, a dir poco, squilibrato. E fra tanta luce, v’è un non so che di funereo. Se poi alziamo gli occhi al soffitto di una sala, vediamo che con ignaro sarcasmo v’è dipinta una bellissima messicana ignuda che offre all’Imperatore Massimiliano l’ananas e i tesori della sua terra, mentre lui, il biondo sire, erra con lo sguardo lontano, cercando il suo Adriatico.

***

[continua]




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