«Le parole non sono di questo mondo»
Eugenio Borgna
a Martin McLaughlin
sruth
il migrante è un fabbricante di colore
con l’azzurro oltremare la memoria
tinge di siena bruciata o giallo limone
esulta l’ocra verde del fiume gli alberi
un blu disunito poi prende il carminio
di garanza ché arte e scienza sono terra
e altrove ché il colore è meteora il senso
di una stella in uscita dal letto marino
plancton
il dirupo della buganvillea spezza l’aurelia in due il piano
inclinato dei fiori la curva inseguita dell’asfalto scende
il viola grandine di petali e una nuvola
palme come campanili sommersi
così torno a scrivere in apnea penso al corpo
prosciugato di una madre alla forma svuotata ora
riempita in attesa gli azzurri due vele scavano
linee d’ombra il riflesso del cielo a mezzogiorno come
può essere buio il sole? ancora uno scatto e poi
terra torna a tenerci diritti il vero movimento è
impercettibile non si sa scrivere la morte una volta
era percezione vagheggiamento lusso per esiliati
o degli alienati ora è il risvolto parole spremono
un sorriso dai corpi
dimettono dal ricovero dei volti appestano virus
domani era
disturbare l’acqua col rumore il clamore delle gambe
non conta c’è chi respira doni miracoli detriti spiriti
del mare camminano come uomini come uomini vivono
d’aria per aria chiudono gli occhi niente trattiene
ma tutto prega il torrente ricicla i miei cari eravamo
cocci di bottiglia vedevi dentro le mie linfe
danzavano coi flutti la poltiglia degli dei
poesia o no poco importa il presente dipingeva
uno scoglio mezzo asciutto si sedeva i miei occhi
due crostacei attaccati al sole e persi
schiudevano come frutti schiumavano perle
prezioso è il passo in entrata e il passo di uscita
nel mare le donne non si curano
è tornato il sole e l’acqua pesa azzurra
io voglio inventare una parola per lo scambio
di gradiente quello dei colori che passano
dall’ombra alla luce e dalla luce all’ombra
il negativo di una poesia foto in itinere prima
dell’immagine c’è il segno la magia l’aritmia
dei cactus imbalsamati dall’eterno dicono
di restare in piedi in ascolto vedo una coda
di sirena forse è una vela la squama del sole
piccolo fuoco lontano brucia le tappe
di là dalle ciglia l’aria passa dentro
sotto e sopra la mano
di un’amante ancora triste
mare di sopra cielo di sotto
poi la curva porta dentro un cortile
occhi allucinati di anziani azzurri ricalcati
sopra la tela sola sterzare formare fermare
pietra bianca croste in superficie
la radice di dieci anime parate davanti al tempo
la posizione da cui eri più felice forse una capra
con le orecchie a mare un orizzonte il tuo
braccio centrifuga di tutti i miei abissi tu
la cosa più ovvia da toccare ma toccare
è impossibile alla fine le scelte ti scelgono
appaiono come muse
il mare è un sentimento
«yearning è un concetto che detesto tradurre
in italiano, perché si perde tutto il disfacimento
dello yearn, il filo, tutto quel desiderio che si sfalda
come una matassa di lana, o come le viscere
che si srotolano quando ci si innamora»
Claudia Durastanti
novembre porta i miei amori
attrazione a un polo soltanto
sbagliata la sfera del mare rimasta
mi baci su un braccio dicendo
sfiorarti non posso
il vento disperò spogliò
il desiderio di darti avrei
passato con te anche la notte
più confusa scogli parati davanti
al tempo e il tempio del giorno
l’isola scoscesa il trapezio delle
spalle l’ulivo il tronco del corpo
non parla la sua lingua di fuoco
voglio darti mare sconosciuto
tu dentro una penna io traccio
per bene da fuori isole distese
invece detta tutto il tuo corpo
neanche l’inchiostro è rimasto
a separare ghiandole liquidi
cervello sdoppiato a unire
sono pazza di un attimo folle
dello schianto contro i nostri spazi
di una strada senza asfalto
di una danza perfetta insieme
col buio mi tenevi
perché il nero non sparisse
tagliava la roulotte non il legno
la mia barca andava per le vigne
e bruciava le serie come un
uccello di fuoco
[continua]