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Compagni di vita - racconti
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In copertina: «Varenna con salice» fotografia di Rosalba Bettacchi
PREFAZIONE
Sono appena dieci questi racconti di Milena Boldi, e per di più anche brevi, tanto da mettere in dubbio il tipo di pubblicazione, se in volume o in opuscolo; e non solo, se non sono pure pochi, per una lettura critica attendibile. Riserve legittime, ma fino a un certo punto, perché questi racconti hanno dalla loro il pregio di non chiudersi mai alla fine di ogni lettura, ma di avere un seguito nelle riflessioni del lettore.
Premetto che l’idea che anche il lettore partecipi alla creazione dell’opera d’arte non deriva tanto da una mia personale intuizione, quanto da un aforisma di Conrad, che l’autrice aveva apposto a mo’ di esergo, alcuni anni prima, in una sua precedente raccolta, ancora di racconti brevi, che recitava: Si scrive soltanto una metà del libro / dell’altra metà si deve occupare il lettore.
E in effetti, quanto afferma lo scrittore polacco, naturalizzato britannico, porta a considerare il libro “come un raddoppiamento dello stesso testo dove, da una parte, c’è il pensiero del suo autore e, dall’altra, la deduzione “commentativa” che ne fa il lettore.”
Ora, tra i racconti di questo volumetto, ce n’è uno, in particolare, che pare andar d’accordo con questi miei pensieri, ed è «Compagno di vita», nel quale un personaggio davvero singolare ci parla delle sue riflessioni quotidiane; e ogni volta, con una cronaca attenta e puntuale, non solo, quando la padrona di casa o qualcuna delle sue amiche che passano a trovarla, si intrattengono con lui, ma pure, quando se ne tengono lontane.
Un tipo acuto, accorto e meditativo, si direbbe, che sente gli aromi del caffè, le voci della televisione, “il rumore di stoviglie, di una bottiglia che viene stappata, dell’acqua che scende quando, alla fine, lei sta lavando i piatti”; insomma, riflette tutto, anche le emozioni e i sentimenti, su quanto gli è dato vedere, ascoltare e sentire. Riferisce, addirittura, di essere rimasto lusingato dalle parole di un’amica: “Che bello questo…! Sta proprio bene col resto dell’arredamento. Lei mi ha guardato compiaciuta, io lo ero ancora più di lei e in quel momento mi sono sentito davvero orgoglioso.”
Orgoglioso, quanto può ritenersi un libro, proprio per la sua forza di mettere scrittore e lettore uno di fronte all’altro, ciascuno con le proprie ragioni: lo scrittore – si diceva – esponendo il suo pensiero e il lettore la sua “deduzione commentativa.”
E la scrittrice sembra volerci dire proprio questo: che quello strano personaggio è come un libro; come il suo – beninteso – che contiene racconti in cui s’intrecciano vicende ricche di sorprese, che danno vita a pagine di varia intonazione, ora serena, ora contrastata e finanche drammatica: ad esempio, di una madre e una figlia, in conflittualità permanente, almeno fino a quando non si rendono conto entrambe che non possono vivere lontane l’una dall’altra; di genitori, sessantottini anticonformisti, che acconsentiranno al fidanzamento della figlia, senza chiedere nulla sulla condizione della famiglia di lui; di Alberto e Amanda, protagonisti di un amore impossibile.
Sono racconti dove Milena, pur parlando di sé e di cose che la coinvolgono in prima persona, riesce come a sdoppiarsi, ma senza mai dimenticare se stessa. E con se stessa, ovviamente, fa rivivere tutto un mondo ormai perduto, che lei si limita a rappresentare oggettivamente, senza toni celebrativi, anche se non può nascondere la nostalgia delle dimensioni più umane che esso consentiva al vivere quotidiano.
Il lago di Lecco, per esempio, “descritto (un tempo) dal Manzoni ne I promessi sposi – scrive l’autrice – era lì, placido, con i riflessi del sole che lo illuminavano, creando bagliori di luce che quasi ferivano gli occhi, increspato là dove lambiva le rive”; e alle sue spalle, anche “il Resegone, con le sue punte che formano una specie di enorme sega, ancora leggermente bianche di neve, nonostante l’imminente arrivo della primavera.”
E non solo, anche figure rievocate sul filo del ricordo personale o dell’altrui testimonianza: come Paolo, imprenditore incredulo, mentre riceve l’elemosina da una distinta signora, davanti a un supermercato, non per altra colpa se non dei suoi abiti dimessi; o come Andrea, un senza fissa dimora, e un clochard, Mattia, che vivono, come per magia, un giorno da signori in un hotel, grazie a una vincita insperata col Gratta e vinci.
Questo per dire che, tra i punti di forza della sua narrativa, non c’è solo quello di saper toccare tasti comuni a tutti gli uomini e a tutte le donne, traendoli fuori dalla banalità del luogo comune, c’è anche e soprattutto quel planare dell’io errante dell’autrice, ora nel ruolo di cronista incredula di eventi quotidiani, ora di fatti pubblici e privati, che a una rivisitazione attenta e partecipe svelano il loro carattere di paradossalità, di stravolgimento della ragione del mondo.
Colpisce in questi racconti l’apparente semplicità, risultato spesso di una dialettica che l’autrice riesce a far viaggiare sotterranea, tenendola lontana dagli occhi del lettore, grazie a una poetica – si diceva – dello specchio, che ne smussa i contrasti e le contraddizioni, fino a far apparire quasi sfuggente la trama delle vicende narrate, sempre sospesa fra realtà e sogno; e a uno stile, mai aspro, rude, fatto di frasi tristi, ma dolce, elegante e gentile, deliberatamente a sostegno dell’idea che il bene della vita si possa salvaguardare solo stando opportunamente dalla parte del cuore. E dell’amore, che la scrittrice sente come unico rimedio al disagio di vivere.
Così, ne «L’airone grigio», l’unico racconto maturato in tempo di coronavirus; così, anche, in «Una grande amicizia», dove l’autrice, può affermare in modo perentorio questa volta, che la vita non si arrende: nel primo, raccontando di un commovente incontro in riva al lago fra un airone grigio e Alex, un pescatore, che tutte le mattine provvede al pasto del volatile e di un gruppo di gabbiani, portandogli piccoli pesci sfuggiti alle reti dei pescatori (una storia che continuerà anche dopo che le forze dell’ordine vieteranno al pescatore di uscire di casa); nel secondo, della fiduciosa attesa di Giovanna, rimasta vedova e con due figli, che l’arrivo di un nipotino possa farle ritrovare la serenità perduta.
Il tutto in questo testo, di cui, ancora appena all’inizio, mi chiedevo se così pochi racconti e, per di più, brevi, potessero bastare per un giudizio critico accettabile. Ne sono bastati, eccome! E questo è quello che più mi piace tra le cose che ho scritto, perché smentisce un mio pregiudizio e finisce per dare più giusta luce alla massima di cui s’è detto: Si scrive soltanto una metà del libro / dell’altra metà si deve occupare il lettore, che non vuol dire che scrittore e lettore sono diventati due autori, ma più semplicemente che un libro moltiplica le sue pagine se un lettore vi si riflette dentro.
Giuseppe Leone
Compagni di vita - racconti
Io probabilmente nella scrittura ho trovato un modo di guardarmi da fuori.
p>. (Levante)
COMPAGNO DI VITA
Come ogni giorno, anche questa mattina è qui di fronte a me e mi fa delle smorfie con aria ancora un po’ assonnata.
La osservo lavarsi il viso.
Com’è bella! Sono felice di essere io il primo che vede ogni mattina.
Si sofferma a guardarmi con insistenza, poi si allontana.
Sento che sta preparando la colazione, mi giunge l’aroma del caffè.
Più tardi la rivedo, mentre si trucca e si pettina con cura.
Un ultimo sguardo d’intesa, poi si allontana. Sento la porta d’ingresso aprirsi e richiudersi e so che non sarà più con me per molte ore.
Finalmente, verso sera, eccola tornare.
Sono già emozionato quando sento la porta aprirsi, avverto i suoi passi nel corridoio e, quando è di fronte a me, l’emozione quasi mi soffoca.
Ha l’aria affaticata, è leggermente spettinata e il trucco è un po’ sfatto, ma la sua bellezza non ne risente, è sempre uno schianto.
Quando lei è in casa, io mi sento un re.
Ho riposato tutto il giorno, ma adesso che lei è qui torno ad essere perfettamente sveglio ed efficiente, pronto a svolgere con soddisfazione il mio ruolo.
Si è messa in libertà, indossando una vestaglia di colore azzurro.
Si strucca lentamente, con gesti misurati e precisi.
Infine sospira, quasi a scaricare la tensione accumulata in una lunga giornata di lavoro.
Nonostante l’aria stanca, appare serena.
Oggi le cose devono esserle andate bene e sono felice per lei.
Poi prepara la cena, sento rumore di stoviglie, di una bottiglia che viene stappata, dell’acqua che scende quando, alla fine, sta lavando i piatti. Arriva anche l’eco della televisione, sta seguendo un film con George Clooney.
Più tardi passa ancora da me. Si mette la crema da notte e, dopo un ultimo sguardo, spegne la luce e va a dormire. Allora anch’io mi appresto a riposare, sognando già il momento in cui, domani mattina, la rivedrò.
Ogni giorno è così e io mi sento pienamente appagato per questa vita.
Ma ho raggiunto l’apice della felicità quando un’amica è venuta a trovarla e, passando accanto a me, le ha detto: “Che bello questo specchio! Sta proprio bene col resto dell’arredamento del bagno.”
Lei mi ha guardato compiaciuta, io lo ero ancora più di lei e in quel momento mi sono sentito davvero orgoglioso.
UNO STRANO CASO
Paolo si trova fuori dal supermercato, in attesa che la moglie termini di fare la spesa ed esca, come d’accordo, dalla porta principale, portando i sacchetti con i viveri che lui provvederà a caricare sull’automobile.
È vestito in modo trasandato, in quanto reduce da un’ora di jogging.
Porta la tuta, è accaldato e spettinato, ma non si preoccupa del suo aspetto.
Non appena rientrato a casa si farà la doccia e si sistemerà.
Sta iniziando a scendere una pioggia leggera ma fastidiosa. Paolo cerca riparo sotto la tettoia e, distrattamente, si appoggia al bidone della spazzatura che si trova accanto all’ingresso.
Poco distante da lui, sulla sua destra, un ragazzo nero presenta la merce che cerca di vendere: accendini, collane, braccialetti. Non ha molta fortuna, non sono in molti a comprare e qualcuno gli dà semplicemente una monetina.
Paolo decide di riempire il tempo di attesa rilassandosi e osservando questo spaccato di realtà: una ragazza sbocconcella pezzetti di focaccia, non badando al suo cagnolino che fa i salti per averne un po’.
Due giovani amoreggiano, incuranti di quanti passano loro accanto.
Una coppia discute animatamente circa la merce appena acquistata.
All’improvviso accade una cosa del tutto inaspettata.
Una signora di mezza età, vestita in modo elegante, gli si avvicina e, timidamente, gli tende una banconota da cinque euro.
Paolo la prende, non rendendosi ancora bene conto di quello che sta succedendo e, quando la signora con un sorriso benevolo lo saluta e si volta per andarsene, comprende di essere stato preso per un mendicante.
Pensa, allora, che avrebbe dovuto occuparsi del suo aspetto che, evidentemente, in quello stato, non rappresenta la figura dell’imprenditore, quale lui è.
Sopraggiunge la moglie, spingendo il carrello carico di sacchetti della spesa e lo trova che, ancora interdetto, fissa la banconota che tiene in mano.
“Cosa fai con quei cinque euro?” gli chiede.
“Ti stavo aspettando, quando una signora me le ha messe in mano. Credo pensasse che stavo chiedendo l’elemosina, come quel ragazzo nero.”
“Non mi dire” risponde lei, e ride divertita.
“In effetti non sei molto presentabile, ma non importa, anzi ti spingerò più spesso a fare jogging e a sostare fuori dal supermercato… così diventeremo ricchi.”
Paolo sorride, ancora incredulo e, passando davanti al ragazzo nero, gli fa scivolare nella mano la banconota.
[continua]
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