A Francesca e Fabio
	
	2008
	
	
		Papaveri a febbraio
	
	Sulla sinistra, dopo pompe
di benzina, 
aggrappati a un burrone 
centinaia di bocche rosse 
fanno pensare a piccole 
buste di plastica 
intrappolate da spine. 
Sono papaveri. Papaveri a febbraio?
Non ho mai visto papaveri a febbraio.
Il loro colore sanguigno
evoca pomeriggi assolati,
sonnellini per sfuggire alla calura.
Ma fa freddo.
Questo contrasto assomiglia a cambiamenti 
improvvisi che arrivano 
quando meno te l’aspetti, 
ma brevi per essere duraturi.
Già rispunta la pigrizia.
Si prova disagio a guardare 
i papaveri, non solo perché è inverno. 
Hanno osato troppo.
Sembrano finti.
Ma stanno ancora lì, 
aggrappati nonostante il temporale, 
il gelo. 
Si reggono su steli robusti, 
qualcosa che, in questo momento, 
non ci appartiene.
	Febbraio 2008
	
	
		Piume
	
	Hai preso le vecchie scarpe da ginnastica 
che volevi buttare e le hai messe
nella sacca in macchina,
prima di partire. 
“Facciamo quattro passi, è da tanto 
che non camminiamo”, mi dici mentre 
chiudi la portiera.
Arrivati a destinazione, t’infili 
le scarpe, ma in collina c’è ancora 
del fango; ti metti a calpestare 
le orme di persone che sono passate e che non vedi,
per ritrovare la strada.
“Mi domando dove siano andate”.
“Da qualche parte”, rispondo camminandoti a fianco.
Ti fermi e giri lo sguardo attorno. 
Da lontano si vedono paesi
sfibrati dalla foschia.
Chiazze di neve stonano
sotto alberi di pesco fioriti.
“Non so perché, ho ripensato a mio padre,
a quello che mi sussurrò anni fa”, mi dici 
guardandomi negli occhi. 
“Prima che riposi, portatemi
da qualche parte, basta che veda 
il mare”.
Non ho risposto, non ho voluto sapere 
se poi ci è mai stato.
“Andiamo”, ho detto subito dopo.
“Sta per nevicare”.
Ma non erano fiocchi di neve
quelli che mi arrivavano sul viso,
erano piume,
una nuvola di piume apparsa 
da chissà dove.
	Aprile 2008
	
	
		Briciole
	
	I passeri, sul davanzale, cercano 
briciole cadute dal piano di sopra. 
Uno, si rannicchia nelle sue piume. 
Poi raccoglie la mollica e la sposta 
a destra e a sinistra del becco, 
ma non riesce mangiarla. 
Così si allontana, volando via 
e l’abbandona. 
Una formica cerca di spostarla,
ma il pezzetto è così grosso 
che dopo un po’ l’abbandona.
Il gatto è sazio.
Ha appena finito di mangiare, dalla sua ciotola,
bocconcini di carne. 
Annusa, annoiato 
e l’abbandona. 
Sono briciole, briciole che finiranno 
nella pattumiera e che non vuole nessuno.
Come certi giorni, certi anni, 
come una crema andata a male. 
	Maggio 2008
	
	
		Sole che acceca
	
	Dalla televisione, nessuna buona notizia. 
La solita (triste) guerra, i ragazzi
che vivono altrove, il prezzo del petrolio
che sale. Questi mucchietti d’ossa, 
questa carne che ci portiamo addosso,
sembrano esplodere in mille scricchiolii, 
diventano bombe
sotto il peso di eventi che subiamo.
La finestra è spalancata
e dal giardino arrivano i profumi dei fiori.
Il sole più che scaldarci, sembra ci accechi. 
	11 Settembre 2008
	
	
		Progetti
	
	È quasi mattina. Con gli occhi sbarrati 
ti giri e rigiri nel letto
aspettando il sonno che non arriva. 
In questa attesa hai coinvolto anche me. 
“Saranno stati i caffè
o il pepe nella carne, non sopporto il pepe 
nella carne”.
Non lo dici, ma hai paura di invecchiare,
hai paura che gli anni che ti restano 
tu possa spenderli male, 
così ripassi gli anni come una lezione. 
“Ti ricordi quella volta…”
Cambi fatti, eventi, situazioni, 
e nomi, vai avanti senza che ti contraddica.
I giorni che hai maledetto, in passato, 
diventano primizie.
Chissà cosa sognavi ieri notte?
Parlavi di partite, di dadi, di tempo rimasto.
“Oggi ho messo via i ferri da lana, 
quest’anno niente maglioni per l’inverno.
Ho voglia di vedere città, 
paesaggi mai visti”.
“Sì”, mi rispondi, mentre ti giri
dall’altra parte e ti abbandoni al sonno,
che sta arrivando.
	Ottobre 2008
	
	
		In treno
	
	Andando da New York
a Wilmington in treno,
ho visto correre la campagna americana.
L’ho vista scorrere 
con uno sguardo appena accennato. 
Sono scomparsi gli alberi, 
i ponti, le insegne delle città, i boschi,
come altrove. 
Nella notte, la neve ha provato a cadere.
Si è ammucchiata ai lati delle strade, 
fra i tetti delle case vittoriane,
nei giardini recintati. 
Dopo grappoli di case, 
dei fuoristrada partivano 
con bambini a bordo, 
come altrove.
La tentazione di scendere 
alle stazioni per vedere le città, 
era la stessa, come altrove. 
Dei ragazzi, nel corridoio del treno, 
ridevano, distogliendo gli sguardi 
delle persone, dal finestrino. 
Ridevano e parlavano con uno slang stretto, 
forse newyorchese. 
Sono spariti nell’altro scompartimento. 
Tutti e quattro, due bianchi e due neri, 
indossavano un giubbotto di pelle nera, 
con il ritratto di Obama.
	Novembre 2008
	
	2009
	
	
		Schermaglie
	
	Don Juan ha il piede pesante. Non danza 
più come prima e Don Chisciotte ha 
smarrito Sancho Panza. 
A chi racconterà i suoi incontri,
le sue visioni, i suoi combattimenti,
le sue follie? I suoi lugubri giorni?
Qualcosa è cambiato.
Forse non è più il tempo delle schermaglie,
dei sogni che valgono solo un mattino.
	
	
		Giardino
	
	La neve ha sfinito il giardino. Hanno retto 
solo dei rampicanti e oleandri addossati al muro.
I gerani non hanno resistito al gelo. 
Se ne indovinano le foglie già ridotte in cristalli.
Chiazze nere punteggiano la coltre 
che rimarrà intatta per giorni, forse per settimane. 
Bisognerà aspettare maggio perché qualcosa affiori.
I bulbi, piantati ad ottobre, esploderanno più tardi.
I lavori di sistemazione sono stati 
fatti troppo in anticipo. Non si possono 
prevedere le gelate improvvise. Non si 
possono prevedere i cambi di vento. 
E’ inutile toccare il giardino. Metti da parte 
gli attrezzi da lavoro nel fondaco,
e prima di andartene, chiudi il cancello, 
in punta di piedi. Fallo dormire. 
Lascia solo le impronte sulla neve e aspetta.
Aspetta che venga il disgelo.
	Marzo 2009
	
	
		Pulizia
	
	Ti ostini a non buttare niente.
La tazza sbreccata ai bordi
è diventata un portafiori,
le foglie nascondono piccole crepe.
I vestiti tornano sempre di moda,
ma aprendo le ante dell’armadio ti accorgi 
che non li indosseresti neanche per un ballo 
in maschera.
Due spade, due armi da difesa,
sono le vecchie scarpe a punta,
in bilico sul ripiano.
Quando le butterai?
Ti lasci circondare dagli oggetti,
t’invadono come cavallette,
con fatalismo lasci le cose
come sono e non scegli.
Troppo impegno nel decidere 
cosa far rimanere per farli vivere
e chi condannare all’oblio.