La conta
Da vecchio ti ritrovi
a tener conto,
se dei tuoi giorni,
che vissuto hai,
son stati tuoi,
o agli altri,
tu l’hai dati.
E pur la gioia,
se ti viene,
è nel pensar
che hai dato,
più che nel ricevere.
Nel vano e caduco
dell’esistenza,
conterà il ricordo
ed il sorriso
di chi non può più
far presenza.
Roma li 06-06-2005
Nella Valle
Nella Valle sono passato,
nessuno se ne è accorto.
Con altri ho viaggiato,
ma tutti ho dimenticato.
Da Lassù, siamo partiti,
del resto come tutti sanno,
Nel pullman troviam vissuto
nell’inceder peregrinato.
Lassù rimasto il Cuore
non ti pone condizione,
ma osserva il polverone
sin fine dell’escursione.
Lassù ai monti ritorna,
la Valle di te non ricorda,
ma nella Grandezza di Dio
il tuo essere apporta.
Ogni dato ritorna Lassù,
lì origine ed opposto,
dentro il moto circolare
siamo stati, prima che fu.
Labico 25-04-2005
Il sonno
Credi soltanto in Dio,
con tanta forza, pensalo.
Sempre, nel dormiveglia,
da figliolo, parlaci.
Tu corri, salti e voli,
anche se tu, non lo dici,
ma in cuor tuo, sai
di essere immortale.
Se inizi un progetto
e non lo finisci,
tanto, non ti preoccupi,
sai che lo finirai.
Tu non puoi morire,
se non lo vuoi.
Ogni buon traguardo,
raggiungere puoi.
No. Oltre non illuderti.
Mi spiace, non è così.
Sì, tu niente puoi,
se in breve ci rifletti.
Sonno che il Buon Dio
ci ha dato, è grazia
sì, la più preziosa
per lo intero Creato.
Quando il sonno
arriva, la coscienza
perdi, aleggiando
senza corporea forza.
Perché sol pensiero
ridimensiona l’io,
tal ti senti figlio
in man del Padre Eterno.
Roma li 18-06-2003
Giardino che gioia
La gioia, mi dai Signore,
in tutto quel che fai vedere.
Tu potresti anche abbandonarmi,
perché, non ho saputo meritarti.
Eppure, seguiti a spalmare
intorno a me, tutto lo amore.
Scendo in giardino dopo mesi,
svegli tutti germogli, come speri.
Penso tanti nomi in sintonia,
iniziale, come Gardenia.
Poi Giacinto, Giaggiòlo,
Giorgina, Giglio, Gladiolo.
A proseguir con il Geranio,
Gerbèra, Garofano, Gloxìnia.
Intenso giallo del Girasole,
la Ginestra. Altro la Graziòla.
Sono valide per la medicina,
Ginepro, Glicine e Genziana.
Per questo fine, certo benigno,
apprezzo molto, anche la Gramigna.
Roma li 28-04-2004
Terra mare cielo
Puntavam dritti al mare,
conoscere non è dato.
Sulla terra ci son nato,
ciel pronto a mirare.
Lambretta, Babbo in sella,
filavam strada Regina,
rettifilo della zona.
Vinghiato alla pelle.
In cuor, avevo fretta,
colmo tutto il mistero.
Saper del mondo intero
da conoscenza diretta.
Sentivo forte mancanza
dalle fonti imprecise,
venivan conferme schive.
Sapere… spinto oltranza.
La strada è lì finita,
su quella costiera,
per me, nulla più c’era.
Babbo, lì ferma la moto.
Nel silenzio conduce,
vedi chi ti accompagna.
Perché vedere insegna.
Non vedo. Il dubbio duce.
Ecco il mare. Ma dove?
Lì, lì… a noi di fronte.
Oh! Ma non vedo niente.
Il dosso, vuoto s’ode.
Superata la ferrata,
vedo solo il cielo,
a piè, teso il telo.
Mistero. Vita calata.
Con Babbo trovo conferma,
se quel che provo, vale
per altri, esser normale
senso, di vita eterna.
Roma li 18-05-2004
Ed il cuor ti dole
Anche quando
sei inquieto con tua madre,
chiamala nel sonno,
che venga a lenire il tuo malore.
Quanti difetti troverai
e per essi fastidio proverai.
Ma quando non potrai
che ad un ricordino dare importanza,
quel cattivo odore verificar non puoi
ed il tuo cervello ricorderà solo fragranza.
Allora il sospetto,
se tutto fosse dovuto
sì, ad un difetto,
ma del tuo olfatto.
Dunque, non far ritegno
all’impulso dell’ardore
tanto, dappoi, col tempo,
brucerai d’amore per il genitore.
a Federico
Labico li 17-04-2003 h. 02,30 (i dolori della colica renale)
Il ceppo grande
Mi è ritornato in mente,
solo questa mattina. Chissà
perché si era, nei meandri,
perduta. La memoria sveglia,
l’immagine che ritorna.
Nel cammurittu, dietro la
cucina, appena subito
dopo il piccolo gradino,
sulla destra, più di un muro
fisso, il ceppo troneggiava.
Diametro, più del metro.
Quando son nato, lì l’aveo
trovato. Mi era amico
quanto il Colle Antico,
lì di fronte alla finestra.
Or quanto mi fantastica
l’idea che, da secoli,
stava lì a far le sue
funzioni, aspettar colpi
di mannaia spacca ossa.
Ma sì, certo, secoli, perché
lì, per le montagne intorno,
non ci sono alberi grandi
così. Nemmeno a dire che,
fosse il trasporto, facile.
Quelle dimensioni sì
straordinarie, mi fanno
un effetto sì intrigante.
E corro con la fantasia,
ieri, vicino casa mia.
Roma li 26-09-2003
Commento a: “Il ceppo grande”
L’a. si sorprende, a 65 anni, nel ricordare un oggetto di Famiglia, il ceppo gigantesco.
La definizione di grande, qui sott’intende la presenza di altri ceppi, di varie misure, per i vari scopi di mattazione animali, ad uso cucina di Locanda.
I locali della Vecchia Osteria, sono gli stessi che ospitarono l’Antica Locanda del 1200, con Stazione per Postiglioni e scambio di cavalli. Il grande portale per le carrozze con il portone a quattro ante in quercia. Pur essendo questa struttura antica, ben più lo è tutta l’ala che si estende alla sua sinistra, quindi a Sud, e che trovasi posizionata perfettamente frontale rispetto alla Antica Pieve. L’importanza del luogo, nel tempo passato, lo si deduce dal ripetersi, in modo speculare, del servizio alberghiero. Come se l’aumentato transito dovuto alla posizione di crocevia degli interessi del Ducato dei Varano, del Ducato di Spoleto e la via per Roma, avesse portato, ad un certo momento, al raddoppio di quelle strutture.
Perché la logica, lo porta a pensare, dopo tanti anni che lo ha perso di vista. Non chiedendosi dove è andato a finire, bensì, da dove è provenuto.
I luoghi natii, li ricorda molto civilizzati. Pieve Torina, un fiore all’occhiello della Provincia Maceratese. Con strade, orti, giardini, campi ben curati. E poi, boschi, sì, ma con fusti grandi e non giganteschi.
Il pensiero va nei secoli, indietro. Il trasporto a quei tempi, non era agevole. Da ciò deduce che quel ceppo è stato ricavato lì vicino.
Allora s’incanta, meravigliato, ad una suggestiva visione. E conclude che lì, ove tutto è giardino, dovevano esserci boschi secolari con querce gigantesche.
Tra una nebbia atavica, volteggiano tutte le figure che la letteratura d’avventura ha radicato nel pensiero.
In quelle Fosse Ardeatine
Del tuo sangue vivo, la terra
imbevuta. Arrossata, la vedo.
Del tuo urlo, le mura di tufo
hai pregnato. Di notte, lo sento.
Di imbavagliarti speravano,
per questo, ti hanno lì ucciso.
Invece tu, dal Cielo non taci,
mi parli ancor. Di notte mi gridi.
E che anche io grida, grida per te.
Volto non c’è, ma vedo lo sguardo.
Di notte, perché anch’io grida,
a qualcuno domani. Dopo me.
Roma li 24-05-2004
Dedicata a Giuseppe BOLGIA, Alfiere dell’A.N.F.I.M. (Associazione Nazionale Famiglie Italiane Martiri) nel caro ricordo di suo padre MICHELE, trucidato fra i 335 Martiri, alle Fosse Ardeatine.
Per il 60° Anniversario della cruenta storia del 24 marzo 1944.
Un giorno destinato a rimanere nella memoria, incisa a lettere di sangue.
Giuramento
Caserta 22 Dicembre 1955
Quanta acqua
sul giuramento
quella mattina.
Sul gran piazzale
a lato Reggia,
un velo d’acqua.
Sotto i piedi
sembrava avere
poggio soffice.
I battaglioni
come grossa massa
si muovevano.
A quella massa,
giovani Avieri
si marmellavano.
L’acqua scorreva
sotto la divisa.
Li evaporava.
Segnando il passo,
ammassati tutti
sotto porticati.
Tutti si sentivan
belli asciutti,
anche immortali.
Portavan calore
d’asciugar nubi
il pensare casa.
Più del chinino
che lì passavano,
cautelativo.
Roma li 21-01-2004
Pensando a Giacomo Matteotti
Che stratosferica distanza,
tra chi usò quei banchi
per difender l’indipendenza,
e chi, agli affari, presta i fianchi.
Chi ebbe un cuor per denunciare,
i soprusi a chi è più debole,
sapendo del rischio di morire,
nella Società dal grilletto facile.
Ma da dove, si potrà riprendere,
il senso della misura,
per abbassar lo sport del pretendere?
Perché oggi, tutto, è contro natura.
Siam messi, tutti, uno contro l’altro,
ognuno di noi è un’arma, pronta ad esplodere.
La strada certa è sola dello scaltro,
e chi in Cristo crede, non può altro che cedere.
Roma li 02-06-2005