Alla mia mamma
che da cento anni
prende parte alla vita
di questa valle.
VOCI NEL BOSCO
Il folto ombrello verde
dell’altissimo pino
ch’estende i propri rami
sopra una larga ombra
vibra ed oscilla,
ecco ora cade
rovinando al suolo
avvolto in una nuvola
di note spezzate.
Un’onda d’infinita nostalgia
percorre la valle.
Un vento
carico di emozioni
scuote i rami degli alberi
sibila fra i cespugli
solleva gridi di sgomento.
Perforata da fili di paura
l’anima procede incerta
nel rifiuto inconscio della Grazia.
Mentre muovo i passi
per un’ampia radura
percepisco l’essenza
dell’erba calpestata
e scorgo
oltre un verde
intreccio
di rami
la fiamma delle ciliegie
brillare dov’erano nubi
di candidi fiori.
Il rosso, il bianco,
il verde
il rosa, l’oro,
esalano dalla tavolozza del bosco
formando il volto
e l’ornamento
che rendono perfetta la tua immagine.
Del luogo il panico incanto
esaurisce ogni sentire,
mi sdraio sopra una pietra
levigata dall’acqua e dal vento
fiorita di ricami bianchi e rosa
di silicio e di calcio
abbandonandomi al sonno.
Mi risveglia una pioggia notturna
che discende come un dono
e placa la sete di vero
dentro un umido manto di silenzio.
Verdi giganti
alzano al cielo
braccia odorose di muschio
lucide foglie gocciolanti
muovono nel vento
onde di pensieri.
Dai fili d’erba
dai cesti di stipa
dai teneri arboscelli
dalle chiuse corolle dei fiori
da tutto il bosco,
e dalle lontane strade
delle città tentacolari
inondate di ruote e di rumori,
dai remoti
abissi,
da ogni parte della terra
e del cielo lucente,
infiniti viventi
aprono bocche assetate
cercando sollievo.
E intanto l’acqua che cade
placando l’arsura
inonda l’anima
e libera la mente
dai fantasmi
dell’insicurezza
e della paura.
I DONI DELL’AMICIZIA
Com‘è dolce abbandonarsi al sonno
mentre lampi e tuoni
scuotono il velo della notte,
la pioggia cade improvvisa
frusciando nell’aria scura
e rimbalza sopra gli embrici del tetto
come dita sulla cassa della chitarra,
così è la presenza di un amico
in mezzo alle tempeste
che scuotono l’esistenza.
La sua voce
è musica che accompagna il cammino
la sua lontananza
attesa fondata sulla certezza
amarlo
è voler bene con gratitudine e pace.
Essere libero
gioire dell’altrui gioia
non affaticarsi ad ascoltare,
condividere i pesi
salire insieme nella fiducia:
ecco i doni
dell’amicizia.
O Signor
O Signor del ciel turchino
umilmente a Te m’inchino
e Ti dico la mia pena:
ogni di son pesticciato
da chi al mondo m’ ha educato.
Son maestri, professori,
suore, preti, genitori,
tutti colmi di esperienza
e deserti di sapienza
che mi gridano sul viso
un programma assai diviso
dal qual io non so capire
se riuscirò a sortire.
Questi adulti incompetenti
sono tanti e son potenti:
sanno sempre far del danno
sia col ver sia con l’inganno,
oh Iddio! prendili in gloria
e cancellali dalla storia.
Ma se poi non è possibile
se è troppo futuribile
liberarci da coloro
che sviliscono anche l’oro,
dacci sempre puro il cuore
e una fonte dell’amore
che a noi piccoli dell’uomo
dia da bere a tutte l’ore.
Al vento
L’innamorato
O amata sopra ogni cosa
non lasciarmi a lungo sostare
davanti alla tua porta chiusa,
la mia anima si smembra
nel pensiero di quando
le donerai l’amore:
con la tua bocca gioiosa
cogli benevola
il dono della mia essenza.
L’amata
O amico diletto
che avvolgi l’anima mia
col fuoco dell’amore
scosso dal vento dell’impazienza,
se m’ami
allontana da me
la fiamma
dei sensi:
lascia che io possa godere
la pace che mi hanno recato
il silenzio e l’oblio.
L’innamorato
Se il fuoco del mio amore
richiama un antico dolore
lo coprirò di rugiada
e cullerò il tuo oblio
con nubi di pollini vaganti.
Non stringerò la tua carne
coi cerchi della passione
poserò davanti al tuo cammino
i ponti dell’arcobaleno.
L’amata
Tu che prometti assai più
di quanto si può mantenere
e muti il fuoco dei sensi
in pensieri di luce,
lascia che ancora un poco
io viva di solitudine
e m’abbandoni libera
al vento che soffia nell’anima.
Nella sera
Nella sera
che avanza per l’umida Brana
l’aria di Primavera
esala fragranze
di salvia e rosmarino
e reca il tuo ricordo,
mentre un vento leggero
trasporta fino a me
il gorgoglio dell’acqua
che scivola sui massi.
A lungo t’ho rincorsa
per il pendio del prato,
poi rotoliamo ansanti
sopra il verde tappeto,
avvinghio le braccia
alle tue svelte gambe
e poso la mia testa
in mezzo ai tuoi ginocchi.
Respiro profondamente
odor di malva
e di viole selvatiche
assaporo il profumo di donna
delle tue cosce, pallide
affusolate appendici
del corpo di bambina
abbandonato sopra l’erba.
Ne tocco con le labbra
la nudità splendente,
copro di baci
la loro carne ignara,
l’esploro in punta di lingua
lasciando un’umida scia
che sale
fin sopra l’orchidea
del tuo essere donna.
Sfioro il profondo talamo
dall’umide pareti
più delicate
di petali di rosa
che premon la mia lingua
mentre si erge
una lucida perla.
Or m’abbandono al ritmo
dei tuoi sussulti
e dentro d’essi sento
l’energia delle onde
modellare la spiaggia
odo l’altalenante
sciacquio della risacca.
La speranza ed il tormento
Sospinto
dal vento della rabbia
forato dal succhiello del dolore
salgo per l’erta
cercando di fuggire
il pensiero assillante
dei fanciulli abusati
e di quelli
resi schiavi od uccisi
da adulti scellerati,
o tormentati da tempeste
che educatori
e genitori incompetenti
radunan senza accorgersene
sopra le loro teste.
Un lontano latrare
che mi raggiunge familiare
fa volgere lo sguardo:
sotto un velo d’ombra
vedo giù in basso campi
fioriti d’allegria
e scorgo
in fondo
ad un breve orizzonte
il sole tramontare
carezzando le spalle
dell’olivato colle
che chiude ad Occidente
lo spazio della valle.
Le immagini di quiete
della sera che avanza
allentano le sbarre dell’angoscia
che mi stringe:
ora scorgo
di là da esse
i lumi di speranza
e i pensieri di bene
che accenderanno
il cuore dei fanciulli
tutte le volte che l’amore
sosterà loro accanto.
Un usignolo
nascosto fra le fronde
alza il gorgheggio limpido
penetrante come una preghiera.
Abbandono il mio cuore
all’armonia del canto
appendo la speranza ed il tormento
ai rami della quercia
che s’innalza
sopra il sommo del bosco.