Chi si guarda nel cuore
Sa bene quello che vuole
E prende quello che c’è.
Ha ben piccole foglie
La pianta del tè
(Ivano Fossati)
GENIUS LOCI
Omaggio
(ad un’artista scomparsa)
Fa caldo, è tardi, appare evanescente
la linea d’ombra persa nel pioppeto
teso sul riso e la melega riarsa.
Il bieco ferire dell’estate
colpisce cieco, e cieca è questa luce
che dal meriggio porta ad altra sera.
Dissemina la resa del ricordo
una pallida cappella di campagna;
la ruvida cascina d’altri tempi
(indifesa al passar delle stagioni)
è ormai irriconoscibile e straniera.
L’erba tagliata è il segno del distacco:
non lascia scampo, richiama alla memoria
altre piccole, inesorabili scomparse.
Il testimone muto d’altri riti
si stringe alle parole ed ai ricordi
racchiusi in questo libro un po’ salmastro
– a Santa Margherita mi trattengo –
e nelle tele, gelose del tuo tratto.
Storie e pennelli, incontri già dissolti
nell’affrettarsi di un borgo ormai città
(e cala anche il silenzio sulle stanze
senza più nome, da anni ormai tradite)
una pagina aperta, appena un verso
accennato come un gesto d’altri tempi:
e lo sbocciare tardivo della rosa
– splendida icona – è l’epitaffio.
*
Riversi le preghiere nel tuo grembo,
lasci giocare liberi i miei gesti
nella luce di marzo, senza fine
la promessa fedele degli affetti
strenua custode dei segreti sacri
che sveli solo ai passi del ritorno
mi scuoti dolcemente nella brezza
per farmi raccontare un brutto sogno
sorridi alle parole impronunciabili
che tento di ghermire con le labbra
il cuore della sera è già un annuncio,
piano lo cogli e lo proteggi, come
facevi un tempo, mamma, col mio cuore.
In Lomellina
I
Non amarti è impossibile,
non fosse altro per il biondo riso
piegato dalle piogge e ora spavaldo
per poco tempo solo,
nell’ottobre corrucciato, dove le nubi
squarciano veloci e inconsistenti tregue.
E per il fiume che scorre incollerito,
ma esuberante agli occhi di una mattina
come questa; e anche per essa amarti
è difficile e penoso, ma inevitabile.
II
Le anatre migranti già sul filo
dell’orizzonte, il pronunciarsi caldo
dei pomeriggi, audaci scommesse
dell’autunno… Gira e si posa
il grido rauco degli aironi sopra i campi,
e le rose dei boschi son lontane
a tessere le favole degli altri.
Noi ci teniamo stretti ad uno sguardo
sul fiume,
ed alle chiome dei pioppi ormai dispersi.
III
Nulla, mai nulla ricevemmo
che non fosse scritto in queste
umide terre;
e con furore vorremmo attraversarle,
ed inseguiamo nelle curve
che s’inarcano
nell’attesa che la nebbia le sprofondi.
Ed il presente modula i suoi passi
incerto tra la luce e la tempesta,
perduto tra la terra e l’acqua.
Temporale
Lo sguardo d’aprile si trasforma
nella luce violenta del mattino
sferzato dalla tempesta,
acceso nella grandine
e nel vento.
Urlano nella corsa e turbinosi
s’aggirano i pensieri, incompleti
come le foglie giovani e spezzate,
e come l’acqua (Dio, quanto piove!)
che t’acceca, rovesciata contro i vetri
e inutilmente detersa,
ancora tesa
ad altra acqua inesorabile.
Prima che tu possa dire:
“Tra poco passerà,
si placherà il temporale,
avrà respiro la pioggia
nel cielo rasserenato”
è la violenza del nubifragio
a scuoterci,
è l’acqua che ci inzuppa,
il vento che fa tremare
ogni nostro muscolo,
è il lampo inafferrabile
sbalzato sull’orizzonte,
il tuono che fa breccia
nella pioggia che cade
e batte senza fine sull’asfalto.
[continua]