In limine - poesie

di

Paola Comelli


Paola Comelli  - In limine - poesie
Collana "Le Schegge d'Oro" - I libri dei Premi - Poesia
15x21 - pp. 40 - Euro 8,00
ISBN 9791259513137

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In copertina: fotografia dell’autrice


Pubblicazione realizzata con il contributo de Il Club degli Autori per il conseguimento del 1° posto nel concorso Città di Monza 2023


PREFAZIONE

C’è un filo sottile che tesse la vita delle persone attraverso insospettabili coincidenze, nei corsi e ricorsi della storia piccola e grande.
Ci siamo solo “sfiorate” – l’autrice ed io – nella partecipazione ad un lontano concorso letterario; poi ritrovate colleghe e a coltivare, con condivisa sensibilità e similare passione, “l’arte della poesia” affrontata con umiltà, quella scrittura fatta di suggestioni ed immagini tradotte in segni che sono più di semplici parole, fin dal titolo…

“In limine”:
c’è un momento in cui quella soglia va oltrepassata,
un momento in cui, con inarrestabile flusso, i pensieri sfuggono alla censura del timido riserbo.
C’è un momento in cui la memoria sente l’urgenza di trovare le parole per dare voce a “quell’inesauribile segreto” che la profondità dell’essere coltiva e custodisce.
Ed allora quel limitare apre a nuovi orizzonti, diventa “andare oltre”, spazio d’incontro e soprattutto dono fecondo.
Questo sono le liriche della raccolta: di verso in verso il ricordo celebra luoghi, volti, voci tracciati con la graffiante sicurezza dettata dall’averli impressi negli occhi e nel cuore.
L’autenticità dell’ispirazione si innesta in quella “sapienza narrativa” che connota la capacità lirica dell’autrice e si traduce nell’equilibrata architettura dei singoli componimenti come dell’intera silloge, scandita in due tempi percorsi in realtà da un’unica sensibilità, volta a scrutare le pieghe più intime della memoria.
Lo “spirito” del luogo e quello del tempo prendono forma ed il comporre diventa così espressione della consapevolezza che “nulla, mai nulla ricevemmo che non fosse scritto in queste umide terre”. Perché di terra e di nebbia sono fatte le ossa di chi vi è nato e persino “il bieco ferire dell’estate” si fa poesia nel cuore: un luogo non è mai solo uno spazio, in esso rimane chi lo ha vissuto, chi da millenni lo abita.
Nel cogliere l’essenza del tempo, in cui si fonde l’esperienza umana, l’autrice si rivela acuta osservatrice. Con sottile tratto, dipinge lo sconcertante torpore di quel vivere inconsapevole un’inutile teoria di “giorni informi”, propone l’immagine di una scuola “stanca” tanto quanto l’indifferenza di chi tra quelle mura “non teme nemmeno l’ignoranza”, condanna l’inutilità di una cultura lontana nella sua accademica solitudine. Ed ancora sferza la vanagloria delle convenzioni sociali; con originale ispirazione si addentra poi alcune metafore enologiche per delineare la delusione del tradimento.
Cos’è lo spirito del tempo se non la vita di cui è intessuto, quel retaggio di secoli bisognoso di una bussola più che di un orologio per scandirne l’andare?
Il suo potere è implacabile, mite e generosa la sua capacità di consolare, di rendere “l’attesa operosa”, di placare la nostalgia e riaffermare la verità...
“Scrivo per non morire, scrivo per vivere adesso”: ecco il senso che l’autrice attribuisce all’antico gesto e la raccolta avvalora la convinzione che fare e leggere poesia non è semplicemente abbandonarsi al ricordo stemperato nel vano rimpianto, è piuttosto rivalutare l’intensità del pensare e darvi voce nella sonorità di parole curate, che non si limitano a dire cose. Perché – come sostiene Cesare Pavese – leggere è ritrovare “quei pensieri già pensati, che acquistano sulla pagina un suggello di conferma” ed hanno radici “in una zona già nostra”.

Maria Elena Tacchini
poetessa, docente di Lettere


In limine - poesie


Chi si guarda nel cuore
Sa bene quello che vuole
E prende quello che c’è.
Ha ben piccole foglie
La pianta del tè

(Ivano Fossati)


GENIUS LOCI


Omaggio

(ad un’artista scomparsa)

Fa caldo, è tardi, appare evanescente
la linea d’ombra persa nel pioppeto
teso sul riso e la melega riarsa.
Il bieco ferire dell’estate
colpisce cieco, e cieca è questa luce
che dal meriggio porta ad altra sera.
Dissemina la resa del ricordo
una pallida cappella di campagna;
la ruvida cascina d’altri tempi
(indifesa al passar delle stagioni)
è ormai irriconoscibile e straniera.

L’erba tagliata è il segno del distacco:
non lascia scampo, richiama alla memoria
altre piccole, inesorabili scomparse.
Il testimone muto d’altri riti
si stringe alle parole ed ai ricordi
racchiusi in questo libro un po’ salmastro
– a Santa Margherita mi trattengo –
e nelle tele, gelose del tuo tratto.
Storie e pennelli, incontri già dissolti
nell’affrettarsi di un borgo ormai città
(e cala anche il silenzio sulle stanze
senza più nome, da anni ormai tradite)


una pagina aperta, appena un verso
accennato come un gesto d’altri tempi:
e lo sbocciare tardivo della rosa
– splendida icona – è l’epitaffio.


*

Riversi le preghiere nel tuo grembo,
lasci giocare liberi i miei gesti

nella luce di marzo, senza fine
la promessa fedele degli affetti

strenua custode dei segreti sacri
che sveli solo ai passi del ritorno

mi scuoti dolcemente nella brezza
per farmi raccontare un brutto sogno

sorridi alle parole impronunciabili
che tento di ghermire con le labbra

il cuore della sera è già un annuncio,
piano lo cogli e lo proteggi, come
facevi un tempo, mamma, col mio cuore.


In Lomellina

I

Non amarti è impossibile,
non fosse altro per il biondo riso
piegato dalle piogge e ora spavaldo
per poco tempo solo,
nell’ottobre corrucciato, dove le nubi
squarciano veloci e inconsistenti tregue.
E per il fiume che scorre incollerito,
ma esuberante agli occhi di una mattina
come questa; e anche per essa amarti
è difficile e penoso, ma inevitabile.


II

Le anatre migranti già sul filo
dell’orizzonte, il pronunciarsi caldo
dei pomeriggi, audaci scommesse
dell’autunno… Gira e si posa
il grido rauco degli aironi sopra i campi,
e le rose dei boschi son lontane
a tessere le favole degli altri.
Noi ci teniamo stretti ad uno sguardo
sul fiume,
ed alle chiome dei pioppi ormai dispersi.


III

Nulla, mai nulla ricevemmo
che non fosse scritto in queste
umide terre;
e con furore vorremmo attraversarle,
ed inseguiamo nelle curve
che s’inarcano
nell’attesa che la nebbia le sprofondi.
Ed il presente modula i suoi passi
incerto tra la luce e la tempesta,
perduto tra la terra e l’acqua.


Temporale

Lo sguardo d’aprile si trasforma
nella luce violenta del mattino
sferzato dalla tempesta,
acceso nella grandine
e nel vento.

Urlano nella corsa e turbinosi
s’aggirano i pensieri, incompleti
come le foglie giovani e spezzate,
e come l’acqua (Dio, quanto piove!)
che t’acceca, rovesciata contro i vetri
e inutilmente detersa,
ancora tesa
ad altra acqua inesorabile.

Prima che tu possa dire:
“Tra poco passerà,
si placherà il temporale,
avrà respiro la pioggia
nel cielo rasserenato”

è la violenza del nubifragio
a scuoterci,
è l’acqua che ci inzuppa,
il vento che fa tremare
ogni nostro muscolo,

è il lampo inafferrabile
sbalzato sull’orizzonte,
il tuono che fa breccia
nella pioggia che cade
e batte senza fine sull’asfalto.

[continua]


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