Opere di

Paola De Lorenzo Ronca


Il colore della verità

La bianca verità
è un brivido nel vetro,
fingere il suo controcanto

Giorno dopo giorno
oscilla
corda pendula
di impassibile ombra

Forse cerco remissione
in una croce di rose.


L’errante spirito

Cammino,
passo dopo passo
vivida luce
diventa il buio
dentro di me

Sola,
nel fraterno silenzio
un moto ondoso
vitale
sinuoso
invade e annulla
il cliché della mia vita

Attimi,
vortici di sabbia
cristalli di tenebre
tra gli anfratti della memoria
e le ginestre in fiore
odo
il poetico canto

Le corse veloci nel vento
sul giallorosso tappeto dei campi
e le danze velate di sogno
tra il fruscio di antichi sentieri

Stanze fiorite
risuonanti di fresche risate
tra scintille morbose di fuoco
e grappoli biondi di uva.

Fragorosi
esplodono
frammenti di parole
colorati scendono
lievi
si posano
sul foglio bianco
dell’anima mia

Giace
esausto
l’errante spirito
che avido corrode
la falsa quiete
del mio monotono vivere.


E le carte raccontano…

Vecchie carte ingiallite,
stinte, celate, rapprese,
ho trovato, frugando,
nella casa perduta
dell’antica famiglia

Quella casa è lì, ora estranea,
ma conserva i ricordi
d’un passato sfumato
della gente che fu,
e che, poi, se n’è andata

Me ne vengono volti
me ne vengono voci
che mi portono l’eco
di quei giorni lontani,
quando anch’io nella casa
ero insieme con gli altri

Quelle carte sono ora
a me accanto, vicine,
e raccontano un mondo
che per quasi di fiaba,
di una musica che il tempo
non ha reso più pallida

Il tempo non tutto
ha distrutto e travolto,
sono rimasti i ricordi
e le risa e i miei pianti
e il profumo di mamma
che ancor sulla pelle mi porto

Tante volte sono tornata
nella vecchia mia casa,
ancor prima che non fosse più mia,
a ritrovar quel mondo
che sembrava narrasse
una favola antica

Dalle righe un po’ sbiadite
sgorga ancor quell’amore
che al mio cuore di fanciulla
dava senso ad ogni cosa,
e che la vita, lentamente,
mi ha strappato tra le dita.


Settembre

È aria di settembre;
soffia di un vento tiepido
che fa vibrare il mio
corpo e il mio infinito.

Volano i passi sul selciato caldo
e il sole inonda i miei capelli chiari
ed invade il mio cuore silenzioso e stanco

Una tenerezza insolita
scende giù nelle vene e, piano piano
arriva alla mia anima e la riscalda.

Un tepore di casa, di camino
acceso e voglia di un amore
che non c’è e che vorrei aver…

Che bello abbandonarsi!
Anche se per un solo attimo
che sfiora l’eternità.

Che bello sentirsi viva!
Anche se in tanta luce che
mi circonda, non mi sento più io.


… E tacque la terra mia!
(30° anniversario del terremoto in Irpinia)

Era fine autunno:
mite dintorno la lunare aria
quella sera,
il torchio i grappoli
pigiava e profumava il mosto

in su l’aia il muto aratro,
e nel tenue chiarore
tra l’umida paglia
lo scampanio flebile
degli stanchi buoi

su, nel cielo
un luccichio di stelle…

d’un tratto… buio diventò;
la terra il cielo
nel suo tremor attrasse
e scese morte
sui lavorati campi


e tacque la terra mia!

è di nuovo sera
quest’oggi,
l’ululato del vento
ha coperto le vecchie macerie
e l’odore dei morti

è autunno di nuovo
e le stelle riluccicano in cielo,
ma è freddo dintorno:
soltanto qualcuno
singhiozza al ricordo


Nebbia
(a Trevico)

Mi scuote
l’ampio respiro del mare
fin qua su
dove il vento
percuote le ginestre
e serpeggia tra le case nebbiose

anch’io accetto
di essere nebbia,
senza ansia
senza dovermi comprendere,
così per paura

ombre lunghe
pensieri veloci
sui muri pietrosi,
profumi che arrivano
all’anima
dapprima indistinti
e poi
si sciolgono in pianto

la mia entità:
nessuna
libera come libellula
dal copro sgraziato e pesante

respira l’anima
l’aria frizzante
densa di erba e di paglia
e una pace pacata
spiazzante
mi avviluppa e riscalda:
non mi sono più estranea.


Il vestito strappato

Per Dio,
sono ancora io
per la strada
a mendicare amore

io,
nascosta dietro un cuscino,
illuminata da luci scomposte,
come un Pierrot
dal vestito strappato

sulla tela bianca
della quotidianità
dipingo
pennellate violente
con mano rabbiosa

poi
ad occhi chiusi
butto giù due righe,
lamento dell’anima,
(sarà forse poesia?)
e
dimentico…
di esistere


Profumo di terra

Scivolo…
verso il ricordo
in un’atmosfera brechtiana
un’aria bigia eppur tersa
si respira
e un profumo sempre nuovo
di terra umida e rimossa

non so se sia la mia ombra
a trascinarsi lenta
su questa landa infinita
che è la vita
a volte però
ma non sempre

nascono impensate
le viole
tra il grigior del niente
e presto da una sorriso
un prato verde ed infinito

nascosta, dietro i vetri,
e un po’ furtiva
la mia anima canta
la sua ultima poesia:
fuga verso un tramonto
o eclissi di una vita?


Munnì e Ninà

Erano ombre
soltanto due ombre
Munnì e Ninà
lì nella soffitta
umida e buia
del palazzo antico

Vagavano
silenziose e bianche
tra polverosi arredi
al di là della vita
già priva di sole

Una porta
sempre chiusa e cadente
sbarrava parole
e tratteneva risa
al di là
silenzio disperato
tra le persiane socchiuse

Esitava
il mio passo curioso
sulla soglia vietata
e sui volti smunti e scarniti
vedevo io bimba
la morte

Cosa mi resta
dell’inafferrabile matassa
di un ricordo
mai sbiadito,
di un rammendo di memoria
mai scalfito,
dell’eterno mio rammarico
di non aver dato amore?

Un fruscio di passi
silenzioso e stanco
e
il profumo di Dio



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