Opere di

Pasquale Iannucci



Con questo racconto è 2° classificato al Concorso Città di Melegnano 2005, sezione narrativa


Marie

La conobbi una domenica mattina.
Quello che mi colpì di lei furono gli occhi. Azzurri, languidi, gelidi. E i capelli, rossi. Come il fuoco.
Come la passione.
E di passione, infatti, mi ammalai. Ma, quella mattina, non andammo oltre i convenevoli. In realtà, avrei voluto dirle un sacco di cose. Tempestarla di domande. Per giorni non pensai ad altro. Fu lei a cercarmi. Un laconico sms di congratulazioni per il mio nuovo lavoro. Io, stupito e confuso nella mia lusingata ingenuità. Quando, tempo dopo, le chiesi come avesse fatto ad avere il mio numero la risposta fu gelida e laconica, come quel primo sms.
«Se voglio qualcosa, me la prendo».
«Ma io non sono una cosa».
«Sai dirmi, tesoro, qual è la differenza?»
Inutile continuare. Di fronte a tanta, tracotante, indifferenza, non seppi far altro che chiudermi in me stesso.
Sognando libertà.
Non le risposi. Passarono altri giorni in cui mi trastullai con le mie vuote masturbazioni, mentali e no.
Alla fine, mi chiamò.
«Uè,» mi disse, «ma il mio messaggio l’hai ricevuto?».
«Certo».
«E allora, mi spieghi perché non mi hai risposto?».
Mi fermai a pensare. Volevo soppesare le mie parole e il suo tono di voce. Quando giunsi alla conclusione che non c’era rabbia, parlai.
«Sai, sono stato molto felice del tuo messaggio. Ma, e questa è la verità, non avevo la minima idea di cosa dirti. Volevo, lo volevo davvero tanto…».
«Oh, povero! Sapessi quanto adoro le persone timide… Voglio vederti. Il prima possibile».
A questo punto, tracimai. Il cuore mi batteva impazzito dal petto alle tempie, le vene ribollivano di desiderio e impazienza.
«Lunedì sera, alle dieci».
«Perfetto! Ti passo a prendere io. So dove abiti. Ciao».
«Ciao».
Felice come un bambino la notte della vigilia di natale. Era, più o meno, questo lo stato d’animo in cui versai per tutti i giorni seguenti.
Poi, venne lunedì.
Non andai a lavoro e passai la mattina a fantasticare. Mi vedevo già sposato, con i bambini e tutto il resto. Restavo un po’ indeciso su dove comprare la casa.
E saremmo restati in Italia o ci saremmo trasferiti all’estero? Il resto della giornata, lo trascorsi preparandomi. Feci tredici docce, andai a tagliarmi barba e capelli, mi comprai un vestito nuovo e le presi un regalo.
In questo, a dir la verità, mi trovai piuttosto scontato. Ma preferii pensare a me come ad un gentiluomo del passato.
Comunque, le presi delle rose. Un mazzo di venticinque rose in colori assortiti. Alle sei di sera aprii il mio secondo pacchetto di sigarette.
Dovevo calmarmi. Andai al pub a farmi una birra.
Trovai un posto vicino all’ingresso e mi sedetti. Volevo tenere d’occhio la strada. Nonostante mancassero più di tre ore all’appuntamento non volevo perdermela, nel caso in cui avesse deciso di arrivare in anticipo.
Feci in tempo a bermene quattro, di birre. Mi fumai quasi tutte le sigarette e mi venne sonno.
Pagai il conto e andai a fare quattro passi. Con mio grave disappunto, mi accorsi che i miei vestiti puzzavano di fumo e fritto. In più, dovevo avere un alito da urlo.
Non male, pensai, non male Giacomino. Come primo appuntamento sarà uno sballo. Sei quasi sbronzo, puzzi di fritto e hai fumato così tanto che, se per caso, doveste baciarvi, la poverina potrebbe beccarsi un cancro ai polmoni. Ma, forse, è sufficiente che parli un po’ con te. Bravo, bravo stronzo!
Ad ogni modo erano solo le otto e, quindi, avevo tutto il tempo di riprendermi.
Alle dieci, ero in perfetta forma. Controllai che il citofono funzionasse. Poi, passai al telefono e al campanello. Fumai, tanto. Dopo ogni sigaretta, correvo in bagno a lavarmi i denti.
Finalmente, arrivò.
Splendida visione sexy nella fredda notte metropolitana.
Bacini, bacini. Le rose. Andiamo a bere qualcosa? Certo.
Lunghe, lisce gambe in seta nera. Piedi proporzionati in lucide scarpe con tacco. Gonna, poco sopra il ginocchio. E seno, prosperoso e nudo, sotto il maglione di cotone blu.
Tanta grazia, tutta assieme, non l’avevo mai vista. Ogni passo era perfettamente sincronizzato con tutto il resto. Armonia, ecco cos’era. Una totale, precisa armonia di gesti, sguardi e parole.
Nel corso della serata parlammo, tanto e di tutto. Io, facevo un po’ di fatica perché non riuscivo a levare il mio sguardo dal suo seno. Lei parlava. Io, la guardavo un po’ in viso, cercando di soffermarmi sugli occhi. Ma poi, inevitabilmente, la caduta.
Mi scoprivo a non ascoltarla più. Fantasticavo. Sesso, sesso e sesso.
Lo capì. Ad un certo punto mi prese per mano «Andiamo» disse.
Non andammo a casa mia. Nemmeno da lei. Volle farlo in macchina e in pieno centro.
Quando compresi quello che stava accadendo era troppo tardi. Mi ritrovai sdraiato, con lei che si dimenava sopra di me.
Venne una volta. Due, tre.
«Basta, – implorai, – non ce la faccio più».
Maligno luccichio nei suoi gelidi occhi blu.
«Un po’ scarsetto… eh?».
Non dissi nulla. Umiliato, mi rivestii e scesi dalla macchina. Tutt’intorno, il deserto della città alle tre del mattino.
Semafori lampeggianti.
Chiamai un taxi e tornai a casa. Quella serata non avrebbe avuto seguito. Ne ero certo.
Mi sbagliavo. La mattina dopo, mi chiamò in ufficio. Tre quarti d’ora a raccontarmi di quanto era stata bene, di quanto le mancavo e di che persona fantastica ero. Della nostra performance neanche un accenno. Come mai accaduta. Volle rivedermi. Pensai fosse pentita e acconsentii. Iniziammo a frequentarci assiduamente. Io le telefonavo di continuo. Lei, un po’ meno.
Un giorno, mi disse che era finita. Mi disse che voleva qualcosa di più e che io non volevo darglielo.
«No, io ti amo. Ti ho amata dal primo momento che ti ho visto. Dimmi che devo fare…. e io lo farò. Ma ti prego, non lasciarmi».
«Vieni a vivere con me. Come marito e moglie».
Non chiedevo altro. Mi trasferii da lei il giorno dopo. La mia casa, la vendetti ad una coppia d’immigrati libanesi.
Purtroppo, la convivenza creò alcune divergenze. Quando volevo fumare mi costringeva ad andare sul balcone. Poi, pretese che io smettessi. Per lei e per me.
Non voleva ritrovarsi vedova ancora prima di sposarsi.
Smisi di fumare. Ingrassai e cominciai a perdere i capelli. Mi mise a dieta. Idroterapia. Tre bicchieri d’acqua al giorno. Per i capelli, diede la colpa al lavoro.
Così, mi licenziai.
Iniziai a diventare ansioso e geloso. Nonostante non fosse mai sazia di sesso e non mi si negasse mai. Anzi, di continuo, ripeteva di amarmi.
Io, continuavo a dimagrire. La calvizie incipiente.
«Sai caro,» mi disse una sera, «giovedì vorrei invitare degli amici a cena. Ti dispiace?».
No che non mi dispiaceva. Anzi, vedere altre persone ci avrebbe fatto bene.
Sorrise maliziosamente.
Ormai, non uscivo più da casa. Non avevo più amici e non ne avevo alcun bisogno. Avevo Lei, la mia dolce Marie.
Calvo e felice.
Felice, che una donna tanto bella e attraente stesse con me.
La mattina andavo a comprarle il giornale, me lo mettevo in bocca e correvo per la casa, abbaiando e muovendo il sedere, come se scodinzolassi.
Lei rideva, applaudiva e le brillavano gli occhi. Il mio cuore traboccava d’amore.
Venne giovedì.
Marie mi disse che quella sera, a cena, ci sarebbe stato anche il suo capo. Il suo capo non sapeva di lei e di me. Il suo capo era bigotto e odiava le donne che convivevano nel peccato. Se la nostra relazione fosse stata pubblica l’avrebbero licenziata.

Volevo io che tutto ciò accadesse? Volevo rovinare la reputazione, e la vita, alla mia cara, dolce Marie?
«Certo che no, potresti dire che sono tuo fratello».
Impossibile. Il capo di Marie sapeva che era figlia unica.
«E allora, che dovrei fare?».
Mi guardò a lungo. «Riesci per una volta a mettere da parte il tuo egocentrismo?» disse, dopo un po’.
«Ma che dici, – risposi, – io non sono egocentrico».
«Sì che lo sei! E te ne freghi delle esigenze degli altri» quindi scoppiò in lacrime.
Non sapevo che fare. Solo allora, mi resi conto di quanto fossi stato egoista e crudele.
Singhiozzò che non l’amavo, che ero come tutti gli uomini. Un animale, insensibile e arrapato.
Mi si spezzò il cuore. L’avevo fatta grossa. Come avevo potuto essere così meschino?
Lei mi aveva dedicato giorni e si era data. Anima e corpo. E io?
Io, niente. Avevo guardato solo i miei interessi.
Quando riuscii a calmarla le feci la mia proposta. Quella sera, sarei uscito a cena.
«Davvero?». «Certo». «No, non ce n’è bisogno, fuori ti ammalerai. Ho un’idea».
Al collo aveva una catenina. Dalla catenina pendeva una chiave.
Per mesi mi ero interrogato su quella chiave. Adesso, inaspettatamente, mi giungeva la risposta.
Marie spostò l’armadio. Dietro l’armadio, una porta a muro.
L’aprì e mi fece entrare. All’interno c’erano un letto, una sedia e un tavolo. Nascosti dietro una tenda, un lavandino e un water.
Odore stantio di muffa e qualcos’altro. Non c’erano finestre né luce elettrica.
Chiesi a Marie il significato di quella stanza ma non volle rispondermi. Non c’era tempo, gli ospiti sarebbero arrivati a momenti.
Disse che, durante la serata, mi avrebbe portato il mio bicchiere d’acqua e una candela.
Dopodiché, chiuse la porta e se ne andò. La sentii rimettere a posto l’armadio.
Dal mio nascondiglio, potevo ascoltare i suoni confusi della sala pranzo. La risata inconfondibile di Marie e le voci di altre persone.
Sapere di essere l’artefice della gioia di Marie, mi commosse profondamente. Dio, quanto l’amavo.
Mi sdraiai sul letto e mi addormentai.
Quando riaprii gli occhi la vidi china su di me. Sorrise.
Io scoppiai a piangere e le chiesi perdono. Per quello che ero e per averla fatta soffrire così tanto.
Avevo ragione, ma non dovevo essere così drastico, mi disse, lisciandomi la pelata. Cercai le sue labbra.
«Vedi? Sei sempre il solito porco. Non pensi ad altro. Uomini! Tutti uguali…».
«Io veramente, volevo solo baciarti».
«Il tuo problema è che non capisci l’animo femminile. Noi abbiamo bisogno dell’atmosfera. Romanticismo eccetera eccetera. Sai, quelle cose lì…».
Tentai, invano, di scusarmi.
Si vestì e andò a lavorare. Prima di uscire, mi informò che quella sera i suoi genitori erano a cena lì.
Sapevo come la pensavano a proposito delle relazioni non benedette dal Signore.
Quindi, che volevo fare? Sarei stato il solito egoista o iniziavo a cambiare?
Al suo ritorno, mi feci trovare già nello stanzino. Lei, dovette solo coprire la porta con l’armadio.
Marie mi ama. Marie, ogni tanto, mi fa uscire dal mio nascondiglio e mi lascia passeggiare in stanza da letto.
Mi ha portato un quaderno e una penna.
«Scrivimi delle poesie. Dimostrami il tuo amore» e io scrivo. Ma non se ci sono ospiti. Il rumore della penna, sulla carta, potrebbe tradire la mia presenza.
Ed io, non voglio assolutamente che Marie si arrabbi e soffra. L’ho già fatta soffrire abbastanza.
Adesso non facciamo neanche più l’amore ma è giusto così.
Nella sua infinita bontà mi concede di guardarla, mentre si spoglia o si lava. Così, perché si sa che, noi uomini, siamo tutti bestie.
Infatti, cedo e subito dopo corro in bagno a toccarmi. Ma sto migliorando. L’ultima volta ho aspettato dieci minuti.
Marie sta facendo carriera.
Lei è felice e io un po’ meno. Ma è colpa mia.
«Ti manca la grinta» mi dice. Ed ha ragione.
Così, è lei che si occupa di tutto. Ad ogni successo, grande o piccolo, si sente sempre un po’ più sicura.
Marie non teme nessuno. Soprattutto gli uomini. Marie è una donna libera.
Mia cara, adorata Marie.


Il Club degli Autori - Concorsi Letterari - Montedit - Consigli Editoriali - Il Club dei Poeti
Chi siamo
La Rivista
La voce degli Autori
Tutti i nostri Autori
Per iscriversi
ClubNews
Il notiziario gratuito
Ultimi inserimenti
Homepage
Avvenimenti
Novità & Dintorni
i Concorsi
Letterari
Le Antologie
dei Concorsi
Tutti i nostri
Autori
La tua
Homepage
su Club.it