‘A sapi ‘a lapa - Modi di dire, proverbi e filastrocche calabresi

di

Renata Ceravolo


Renata Ceravolo - ‘A sapi ‘a lapa - Modi di dire, proverbi e filastrocche calabresi
Collana "I Girasoli" - I libri di Poesia dialettale
14x20,5 - pp. 60 - Euro 7,50
ISBN 978-88-6037-8668

Libro esaurito

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In copertina e all’interno fotografie di Renata Ceravolo
In copertina elaborazione grafica di Luigi Castelvetere


L’uso di locuzioni, motti e aforismi, arricchito dall’armonico intercalare di esclamazioni ed epiteti, imprime al linguaggio popolare calabrese una peculiarità fonetica e polisemica che ne determina quell’unicità, per la quale qualsiasi decodificazione risulterebbe arbitraria e snaturante.
In ogni espressione si assiste ad un allegorico gioco di materializzazione di suoni e parole e, dal simbolico balletto di similitudini e metafore, condito con tocchi di saggia ironia, traspare la forza di un popolo che lotta per liberare la propria dignità dalle catene della povertà e sottomissione.

Ivana Pascale


Prefazione

È accaduto e accade. Che cosa? Semplicemente questo: ogni qualvolta il discorso cade sulla letteratura popolare, c’è un garbato volger di spalle verso la letteratura in lingua, dunque, colta. In una parola, la letteratura per definizione. Unica letteratura. Oddio, non è a dire che alla letteratura popolare si faccia il viso delle armi come quando Vincenzo Padula pubblicava negli anni Settanta dell’Ottocento i suoi studi di poesia popolare e a Monteleone, l’attuale Vibo, Luigi Bruzzano fondava nel 1888 il periodico «La Calabria. Rivista di letteratura popolare».
L’acqua sotto i ponti passa anche per la letteratura, persino per la letteratura popolare. I dissodatori del tesoro sepolto possono, con fierezza e orgoglio, farsi avanti, lavorare, ricercare, pubblicare. E tra i dissodatori infaticabili non c’è legittimo dubbio che occupi un posto di egregia, esemplare, creativa fatica Renata Ceravolo.La quale, già attiva nel campo della scrittura creativa, offre il profilo di una intellettuale innanzitutto legata al luogo, al suo paese di Benestare, al sacro peculio dell’unica cultura, a tutti aperta, che non conosce, parzialità, faziosità, esclusioni: la cultura popolare. Un patrimonio di tutto il popolo e, nel nostro caso, del popolo calabrese, invariabilmente unitario e unito nel modo di pensare il suo rapporto di vigilanza con la realtà circostante. Si assomigliano i modi di dire, si assomigliano i proverbi, si assomigliano le filastrocche, si assomigliano i racconti, anche se questi nella raccolta non compaiono racconti. L’unica variante è il dialetto. Ciò vuole dire che la letteratura popolare sfugge al localismo e al municipalismo, riflette la conoscenza e la coscienza di tutto il popolo calabrese e così finisce per toccarsi con le altre culture popolare d’Italia. Insomma, letteratura nazional-popolare.
Per questo l’opera restauratrice di Renata Ceravolo non è semplicemente trascrizione fedele di un patrimonio, destinato ad arricchire i materiali della letteratura popolare. Non è semplicemente ricerca, che aumenta la conoscenza. E’ qualcosa di più: è la battaglia d’idee per restituire al popolo di Benestare, da cui non prende distanza, la sua cultura non futile, la sua cultura utile, la cultura operativa. Cioè, un sapere, che contiene tutti gli assi per orientarsi nel mondo in cui si vive e rispetto al quale, come si conviene alla società della penuria, attrezza i mezzi per la sopravvivenza: con i suoi canti, che ricreano la forza-lavoro, con le sue formule di scongiuro, che allontanano le malattie dell’invidia, con i suoi modi di dire che tolgono la musoneria della storia e restituiscono sorriso. Se non mi sbaglio, è la prima volta che in una raccolta di materiali della vita letteraria popolare compare il sentimento dell’ironia e dell’autoironia.Nuovi manufatti verbali, dunque, in questo lavoro Renata Ceravolo, che ha pure l’immenso pregio di avere disposto le carte del popolo per blocchi tematici.
Siano rese grazie alla ricercatrice dal polso pieno. Ma per mettere insieme un materiale di questo genere, non basta sapere. occorre un cuore. Non un cuore qualunque. Ci vuole un cuore intonato con l’essere e il modo di essere di Benestare e della Calabria. Tale il cuore di Renata Ceravolo. per credere che così sia, basta tastarlo quel polso e non vi sarà chi non senta il battito del petto della Calabria, che ha un cuore antico. Un infinito passato, che prepara un presente infinito.

Pasquino Crupi


Introduzione

L’innocenza è diversa dall’ingenuità.
Recita un antico detto: “Ignoranza è
non sapere nulla ed essere attratti dal
buono. Innocenza è conoscere tutto,
ed essere ancora attratti dal buono”.
…………………
Meglio sarebbe portare con noi
un’innocenza vigile, e tenercela stretta
per averne calore.

Clarissa Pinkola Estés
«Donne che corrono coi lupi»

Ci aveva avvertiti, responsabilizzati, condotti, attraverso la parola, verso formule di saggezza affinché, gregge ignaro, sviluppassimo la consapevolezza del pericolo (l’ingenuità può essere letale), dell’intrigo, non diventassimo cibo succulento per i predatori: Ecco, io vi mando come pecore in mezzo ai lupi: siate dunque prudenti come i serpenti e semplici come le colombe (Matteo 10-16).
I lupi da cui Gesù ci esortava a prendere le dovute distanze, estraendo dall’inconscio intuitivo e salvifico le opportune cautele, non sono certo “I lupi d’a Sila” (con i quali si può felicemente correre o ballare secondo un istinto primordiale) ma i furbastri, coloro che devastano la bellezza e i sogni, che fanno scempio là dove si è creato , costruito, seminato, i TINTI (NO’ MI TI MENTI ’NT’A BBUGGIA), quelli che tirano con arroganza, prepotenza, ’I BRASI P’A VIA LORU, CHI VANNU C’A MALIZIA (CU’ VAJI C’A MALIZIA ’U SIGNURI ’U PìZZICA!), ’I FUNDI (non nel senso che brillano nella profondità dell’anima) in quanto subdoli, diabolici, quelli che ’A SANNU ’A LAPA!, che hanno imparato appieno l’arte di fregare, di raggirare il prossimo. L’Ape è la metafora della vita, non è mai troppo presto o troppo tardi per imparare a guidarla con saggezza senza alcun bisogno di far ricorso a prevaricazioni ed alleanze con i lati più oscuri e infimi della psiche. Mai mettersi alla guida ’MPISTUNàTI, C’A PELLICCIA (scomoda e antitetica) duri com’a ‘na rella o comu ’na pinneglia ’i stoccu, ’mpionacàti, belli fatti fatti, in pericoloso stato di ebbrezza. Guidare l’Ape è un’arte, una tecnica da seguire col cuore caldo e bontatusu e lucidità mentale, belli ’rrigagghJATI,, sereni e determinati, fiduciosi, in un percorso zen valido a seminare chiunque cerca di mettere il bastone fra le ruote, rombando nel silenzio dei campi, e se si pone il caso, si può anche decidere di volare, LAPA compresa, come in un sogno o in un poetico quadro di Chagall.

Renata Ceravolo


‘A sapi ‘a lapa - Modi di dire, proverbi e filastrocche calabresi

…rafforziamo il nostro legame
con la nostra natura intuitiva
ascoltandoci dentro a ogni svolta
di strada. “Prendo questa o quella
direzione? Mi fermo o proseguo?
Devo correre via o incontro?
Questa persona, questo evento,
questa avventura sono veri o falsi?

Clarissa Pinkola Estés
«Donne che corrono coi lupi»

Sono gli anni che hanno spazzato via
il Comunismo. Che ci hanno dato
benessere e frivolezza. Cosa ne resta?
Grande avidità. Intolleranza.
E una fede cieca nella furbizia.

Nicla Vassallo
«D di Repubblica» 11/10/2008


Il 1° dicembre 1949 nacque l’Ape.
L’asino si sentì, finalmente, alleviato dai pesanti in-carichi.
Dietro, sull’Ape, il contadino portò nei e dai campi: capre, maiali, legna, masserizie e molte volte anche amici e parenti; “ho visto anche degli zingari felici” trasporate ’A SUMERA (PARI ’A SUMERA D’I ZINGARI si dice di una donna bardata a festa piena di ninnoli e monili) e venditori ambulanti con l’Ape strapiena: ’U CAPIGLIARU, ’U PISCIARU, ’ARGAGNARU.
’A LAPICEGLIA è la piccola dell’Ape.


EMOZIONI DEL CUORE:

Se provo una forte emozione ‘U CORI MI FACI CAVAGLI, stupenda metafora che sta a significare che il cuore scalpita come tanti cavalli a briglie sciolte nelle verdi e sconfinate praterie dell’anima;
se provo dolore ’NDAJU ’U CORI STOCCàTU, ho il cuore spezzato oppure ’NDAJU ’U CORI TAGGHJàTU, ho il cuore tagliato, FRINGHI FRINGHI, sfilacciato, oppure ancora ’NDAJU ’NA CAJA ’NT’O CORI, ho una piaga nel cuore, ma se i colpi che mi sono stati inferti sono numerosi ’NDAJU ’U CORI ’NCAJàTU, nel cuore è un proliferare di piaghe;
se sono particolarmente lamentosa SUGNU ‘NU SPINNU ‘I CORI, ‘NU CRAMULU, ‘NU PICCIU I CORI, MI MENTU ‘A PICCIU e sono insopportabile;
MI ‘CCUPPA ‘U CORI e ‘NDAJU ‘U CORI ‘CCUPPùSU, se sono in uno spazio angusto o prigioniera di rapporti sterili e asfissianti e MI VENI ‘A CUMPUSìONI ‘I CORI;
se provo angoscia MI SCURA ‘U CORI, il cuore è oscurato da nuvole nere, pesanti, una cappa che ostruisce la reale visione delle cose;
se gioisco MI LAPRI ‘U CORI, finalmente uno squarcio d’azzurro;
se sono crudele, malvagia, ‘MPESTATA ‘I CATTIVERIA, ‘NDAJU ‘U CORI CH’I PILI, ho il cuore con i peli;
se incontro persone perfide, pungenti, MI GUASTU ‘U CORI;
se sono particolarmente lieta MI SCIALU ‘U CORI;
se sono terrorizzata, MI ‘FFRIDDA ‘U CORI, ‘NU CULURI MI VAJI E UNU MI VENI oppure MI ‘NGHJACCIA O MI SARTA ‘U CORI;
se desidero fortemente qualcosa, M’A TIRA ‘U CORI;
se sto sempre imbronciata senza ragione perché ho una vita serena sono MUSSU AFFRITTU E CORI CUNTENTU, muso afflitto e cuore contento;
se sono TURDA, RIZZA, TURDùNA, insensibile, sono CORAZZùNA;
se sono vittima di un’ingiustizia MI BRUSCIA E MI DOLI ‘U CORI;
se provo disamore per una determinata persona MI CADI D’U CORI E D’A MENTI, mi cade dal cuore e dalla mente, FAZZU CRUCI E NUCI;
se mi vedo bersaglio di crudeltà e cattiveria, MI ‘NDURI ‘U CORI, il muscolo cardiaco diventa di ferro;
MI CADI ‘U CORI se sono deboluccia e mi cade anche di fronte alla stupidità umana, devo raccoglierlo da terra;
se mi ritengo offesa FAZZU MALUCòRI;
se a ingiustizia e cattiveria reagisco con parole taglienti M’I TIRANU ‘NT’A D’U CORI, e MI CACCIàRU D’A VUCCA;
M’U DICIA ‘U CORI, il cuore e l’intuito presagivano l’evento;
NON M’U ‘PPORTA ‘U CORI, il cuore non vuole agire, non se la sente è caparbio;
MI ‘SSACCàU ‘U CORI, ‘NTASSAI, il cuore ha avuto una pericolosa battuta d’arresto ma se bevo una tazzina fumante di caffé MI RIANIMIJA ‘U CORI, mi rianimo, rinasco, torno in vita;
‘U SIGNURI VOLI ‘U CORI, NO ‘A CORàTA, il Signor vuole la parte migliore, il cuore;
se sono altruista ‘NDAJU CORI PA TUTTI e se ho la tachicardia ‘NDAJU I NERVITTACCATI ‘O CORI.


CARATTERI:

SBRADU. Sboccato.

CARZICALÀTI. Codardo. Sottomesso.

SCUNCHJUDUTU. Privo di struttura morale. Illogico. Sconclusionato.

SCORNÙSU. Timido. Molto introverso. SI PARI ‘U SCORNU, si vergogna.

LONGORIU oppure ANIMA LONGA. Eccessivamente alto.

SAMBALUNI. Alto, massiccio, un po’ grezzo, non si SMARRA facilmente, poco duttile, difficile da levigare.

POSALAPIANU. Eccessivamente lento. Flemmatico.

NDRACAMOGLIA. Parente stretto del flemmatico. Molliccio.

SCÀMBIGLIU. Strambo.

PISCINDRÒNGULU. Alto, dinoccolato e amorfo. Inetto.

SCIANCARRÀMI, SCIACQUALATTùCHI E ‘RRACAMUTÀNTI. Fratelli gemelli, sono dei buoni a nulla.

CILINDRÙNI. È cugino del SAMBALÙNI. Un po più secco, cialtrone e cilindrico.

BONTATUSU. Colmo di bontà: ‘NA LAPA ‘I MELI.

NACCHIRU. Bonaccione. Credulone. Innocente.

SGALIPÀTU. Sgangherato.

SCANCARÀTU. È lo SGALIPàTU che si è irrimediabilmente spezzato in due o più parti.

SCJUMPÙTU. Inconcluso.

PISCHIGLIUSU. Lo è chi cerca il pelo nell’uovo.

PIDOCCHJÙSU. Avaro: “L’inverno uccide chiunque come un avaro”(Paul Eluard). I PIDOCCHJUSISCIANU D’I PILI COMU ‘E CUNIGGHJA, pisciano dai peli come i conigli.

PICCIUSU. Lamentoso. Molto lamentoso.

GARGIÀLI o GARGIÀZZA. Spaccone.

SCIAMPARÀTU. SCIONDùLU e SCIUNDÙTU. Tre fratelli trasandati, stropicciati, alla deriva esistenziale.

LANDRÙNI. Molto sporco.

FETÙSU. Molto sporco e puzzolente: FETI.

PAPARAGIANNI. Spocchioso.

RIZZA. Persona molto insensibile, completamente sorda alle emozioni.

TINTU. Moralmente gretto, imbroglione.

RUGNÙSU. Meticoloso fino all’esasperazione. È un tormento per lo spirito.

MBRÙSCINU. Disordinato, privo di stile, arruffone.

…e c’è chi è ‘NU BELLU NESPùLU, ‘NU BELLU STOGGHJU, BELLU SCISCIA, BELLARROBBA, BELLU PISTùNI, BELLU CAMPIùNI, BELLU CRASCIOMùLU, N’ATTRU D’I BBONI, ‘N’ATTRA TILA DI ‘DDUI.
…e anche chi non è TANTU DUCI I SALI. TUTTI BELLI!!! Tutti caratteri asprigni, CHI NON’ENNU TANTUCIVULI, teneri, NON’ENNU TANTUSPRENDENTI, poco splendidi, poco luminosi.

Dimenticavo ‘U MAMMULìNU che ha invece un carattere dolce e accogliente come una madre.

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