Benedetto, uno di noi - Le misteriose origini dell’antelami dictus sculptor e i suoi primi passi sulla strada della fama

di

Rosa Maria Corti


Rosa Maria Corti - Benedetto, uno di noi - Le misteriose origini dell’antelami dictus sculptor e i suoi primi passi sulla strada della fama
Collana "I Salici" - I libri di Narrativa
14x20,5 - pp. 128 - Euro 15,00
ISBN 9791259513236

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In copertina: Formella Bronzea “Benedetto Antelami” autrice Sabina Capraro
1° Premio Concorso “Benedetto Antelami” Centro Valle Intelvi 2024 vincitrice Rosa Maria Corti fotografia dell’autrice


All’interno: fotografie dell’autrice ad eccezione dell’immagine di pag. 75 e di pag. 78 di Andrea Priori


PREFAZIONE
a cura del Professor Giorgio Terragni

Rosa Maria Corti, “Cacciatrice di storie”, così come l’aveva definita, qualche anno fa, Rina Carminati Franchi, “genius loci” della Valle Intelvi e grande depositaria e divulgatrice delle sue tradizioni, torna con un’opera particolare e certamente molto interessante. È noto che il territorio compreso tra Como e il Ticino, che fino a tutto il 1800 faceva parte delle diocesi di Como e di Milano, espresse nei secoli a cavallo tra il Mille e il Milleduecento una vitalità artistica e religiosa straordinaria. Nulla di realmente concreto e certo ci è pervenuto circa le biografie dei grandi “Magistri” di quel tempo tutt’altro che oscuro e quindi anche del più grande fra loro: Benedetto Antelami. L’autrice, vera “Sherlock Holmes” del passato, ha saputo ricostruire un Medio Evo non più ferino e buio ma pieno di vitalità e di creatività. La Valle Intelvi, il Lario, la Provenza, ossia i luoghi più cari a Rosa Maria Corti che li conosce e frequenta da sempre, fanno da sfondo all’avventura umana e artistica, ben inteso senza pretese di storicità accertata, del giovane Benedetto Antelami delle cui origini ben poco si sa. L’autrice però ha cercato, coniugando fantasia e rigore storico, di azzardare un’ipotesi sulle origini del grande architetto e scultore e sui suoi anni di formazione giovanile. Chi leggerà queste pagine, dunque, si troverà a viaggiare in un mondo reale, località e date citate non sono frutto di fantasia ma sono storicamente e geograficamente ineccepibili, in un mix di ricerca storica e sogno che lasciano la voglia di andare oltre… Benedetto, “uno di noi”, con grande curiosità intellettuale, ambizioni, ma anche debolezze, è un personaggio che l’autrice fa sembrare vero, nei pregi e nei difetti che tutti possiamo avere. Dunque la vicenda si snoda dalle montagne del Lario alla Valle Intelvi, alla Provenza… Non diciamo oltre, lasciando al lettore il piacere di seguire passo passo il racconto di Rosa Maria Corti che dimostra la sua conoscenza dei periodi trattati e dei luoghi descritti, una conoscenza però non disgiunta da un sincero amore e una vera passione.
Buona lettura.


NOTA DELL’AUTRICE

Molto viva, nell’immaginario di alcuni Intelvesi, è la figura di Benedetto Antelami, celebrato come un grande scultore. Lo si vuole nato intorno al 1150 (qualcuno ha ipotizzato a Ponna Intelvi che, in quel periodo, era soggetta al monastero del San Benedetto in Val Perlana) ed emigrato giovanissimo in Francia. Diversi studiosi, infatti, per molto tempo, sono stati concordi nel dire che soggiornò e studiò in Provenza e che non è da escludere che il suo apprendistato si sia svolto ad Arles nella cattedrale di S. Trophime e, successivamente, nell’Île de France. “Desidero conoscere e sperimentare”, faccio dire a Benedetto, “apprendista girovago”, che, secondo alcuni esperti si sarebbe spinto fino a Perpignan e a Santiago de Compostela, nonché, stando a recenti ipotesi, anche nella penisola balcanica. Personalmente, partendo dal fatto che le uniche notizie scritte sullo scultore sono l’iscrizione datata del 1178 e quella del 1196, che l’artista ha lasciato a Parma, anziché propendere per questa o quell’ipotesi o dissertare in merito alla presenza di un unico artista capace di variare il suo registro linguistico a secondo dei personaggi e del contesto in cui questi sono inseriti, o a quella di un gruppo di aiutanti (qualcuno ne ha azzardati otto), o, ancora tentare analogie stilistiche (ho avuto il solo ardire di confrontare un capitello osservato nel chiostro della cattedrale di Aix-en-Provence con un capitello ora presente nel Complesso della Pilotta di Parma, per via dell’analoga foratura puntiforme che si trova anche nella “Deposizione”), ho preferito arricchire di particolari la leggenda di un artista che è anzitutto un uomo, con le sue debolezze, con il desiderio di imparare, di viaggiare e tanta nostalgia per la terra natia, la Valle Intelvi, che non dimentica, anzi riesce a renderne imperituro il ricordo raffigurando nel ciclo parmense dei Mesi il suo simbolo: la rapa.


Benedetto, uno di noi - Le misteriose origini dell’antelami dictus sculptor e i suoi primi passi sulla strada della fama


“L’oggi e l’ieri sono le pietre
con le quali costruiamo il domani”.

Henry Wadsworth Longfellow


“Chi è che quando osserva statue e quadri
non si forma immediatamente un’idea
dello scultore e del pittore?”

Filone di Alessandria
(Alessandria d’Egitto, 20 a.C. circa-45 d.C. circa)


Capitolo 1
LA PROFEZIA

A. D. 1150: nei boschi della Valle Intelvi

Sui monti del terziere superiore della Valle Intelvi, dove gli inquisitori non si sarebbero mai avventurati, viveva una donna che si diceva fosse stata colpita dalla lebbra. I pochi che si addentravano nei boschi per far legna, cacciare selvaggina o raccogliere funghi, si guardavano bene dall’avvicinarsi alla sua capanna, ma c’era chi, in gran segreto, pur temendola, non avrebbe mai rinunciato ad ascoltare i suoi consigli per la cura dei mali del corpo e dello spirito. Si diceva che il sapere di costei fosse immenso, anche se lei si definiva una povera donna e che le sue profezie si avveravano sempre. Fu così che Sisinnia, che stava vivendo una gravidanza problematica, temendo un parto ancor più difficile, si mise in marcia verso il misero abituro. L’avrebbe riconosciuto facilmente perché chi vi si era già recato l’aveva descritto ornato di corna, mandibole e crani di capriolo. Sisinnia si acquattò nei pressi di un faggio timorosa di farsi avanti. Cessato il fruscio delle foglie smosse dai suoi piedi, per un po’ non ci furono altro che gridi di uccelli e battito d’ali. Poi una voce da far accapponare la pelle.
“Ti vedo, resta dove sei!”. Sisinnia s’immobilizzò e per alcuni istanti ritornò il silenzio. Quindi una sorta di tintinnio, uno sfregamento di legnetti e una cortina di fumo, prima rada poi sempre più densa, nascose alla sua vista anche la capanna. Di quel che successe in seguito la donna non ricordava quasi nulla. A distanza di qualche giorno però, accasciatasi in preda alle doglie presso le radici poderose di un faggio secolare, le tornarono in mente brandelli di frasi pronunciate con tono ispirato dalla guaritrice. “Partorirai con dolore ma ti sarà risparmiata la sofferenza della lontananza. In loco qui dicitur de cavra morta per ventura, la sorte sua futura lontano si apparecchia. Partire si conviene là dove sorgon campanili, lasciando ogni cosa sì diletta caramente. Giù per lo mondo sino al mare, visione di fortuna nell’arte sua a me si manifesta”. E “Cavra morta e profezia” furono le ultime parole pronunciate da Sisinnia morente dopo aver dato alla luce il proprio figlio.


Capitolo 2
Il SOGNO DELL’ABATE


Stella caudata in caelo apparuit supra
ecclesiam parastris ornatam


La stagione, secondo il suo ritmo consueto, portava ormai giornate sempre più corte e l’abate Pietro, per la poca luce prodotta dal lume a olio, alzò gli occhi affaticati dal libro dei contratti sul quale aveva appena terminato di registrare la donazione al suo monastero di alcuni terreni oltre il Passo di Boffalora, nella valle comunicante detta degli Antelami1. L’abate, a ragione, era soddisfatto, aveva, infatti, ottenuto assicurazione circa la presenza di riserve d’acqua, cave di pietre, prati da fieno e dolci declivi erbosi per il pascolo da Omobono, un fidato converso proveniente da quelle terre ma residente da alcuni anni nel convento di San Benedetto al Monte Altirone2 in Val Perlana. Qualcosa però turbava la mente del prelato, come quelle nubi autunnali, piatte ed estese che, dopo aver oscurato il sole, scendono lungo i pendii della montagna e ristagnano nelle valli a guisa di nebbia. La causa dello smarrimento del dominus abbas non risiedeva nella necessità di una conferma per le recenti possessiones de Antellamo in quel di Curtànego, di Segadino e di Aspinezo3 da parte dell’abate di San Carpoforo in Como; il monastero de Sancti Benedicti godeva, infatti, i frutti di quelle terre sine omni contradictione e frumento, segale, panìco, orzo, miglio, insieme a lino, canapa, rape e castagne, garantivano all’esigua comunità di monaci benedettini e ai conversi la possibilità di vivere, seppur modestamente, nell’abbazia posta più in alto nella diocesi di Como, a ottocentoventicinque metri di quota. A ingenerare una certa apprensione nell’abate era la stella codata apparsagli in sogno la notte precedente. Una stella cometa nei sogni è un evento raro, come eccezionale è il fatto di vederla. Sognare una cometa poteva forse indicare un evento particolarmente importante nel quale il suo monastero, o lui stesso, sarebbero stati coinvolti a breve. L’abate Pietro era ben conscio del ruolo del suo convento non solo come centro di studi biblici e di formazione nell’arte edificatoria, ma anche quale importante avamposto nella difesa della valle sottostante solcata dal torrente Perlana e da altri torrentelli, in caso di attacchi provenienti da nord. Da quella parte, però, egli non temeva nulla, piuttosto lo impensieriva l’eco dei venti di guerra tra Milano e Como, la famosa guerra decennale che si era svolta sul lago e nei territori circostanti; paventava, infatti, una ritorsione dei Comaschi contro castro insula, l’unica isola del lago di Como che intratteneva stretti rapporti con il monastero. Ciò che lo stupiva maggiormente però era il senso d’incanto, di gioia e di felicità che si accompagnavano al senso iniziale d’insicurezza, paura e sorpresa generati dal sogno. Non restava che pregare e attendere senza preoccuparsi tanto, poiché, alla fine, a nessuno di noi è dato di soggiornare a lungo su questa terra.


1 Antelami. Vallis Antelami. Valle Intelvi. In alcuni documenti dell’anno 799 e 804 si trova la più antica attestazione del nome della Valle Intelvi: “Antellaco” (abl. di Antellacus). Nel X secolo, nel diploma di Ugo di Provenza che conferma una concessione fatta da Liutprando, re longobardo, al monastero di Pavia per l’uso di carpentieri intelvesi, si trova la forma “Antelamo”. Dopo il mille si attesta la forma “Intelavo” (con la variante “Antelavo”) dal cui genitivo deriva il termine attuale “Intelvi”. (Da “Riflessione sul termine Antelami”, a cura di Marco Lazzati, 2022).

2 San Benedetto al Monte Altirone. Monastero benedettino fondato nel 1083 circa.

3 “Curtànego, Segadino e Aspinezo”. Antichi nomi di Ponna Bassa, Ponna Mezzo e Ponna Alta.

[continua]


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