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In copertina: fotografia di Sandra Frenguelli
Pubblicazione realizzata con il contributo de IL CLUB degli autori in quanto Autrice prima classificata nella sezione narrativa del concorso letterario Marguerite Yourcenar 2010
Prefazione
La raccolta di racconti, dal titolo “Piume”, di Sandra Frenguelli, costituisce uno scrigno narrativo pervaso da fascino sottile, sovente, legato ad amorevoli ricordi del tempo passato e a profonde esperienze esistenziali, a squisite rappresentazioni letterarie di atmosfere, immagini e luoghi, nonché all’estrema delicatezza nel rendere, in modo efficace, le caratteristiche dei protagonisti delle storie.
Senza dubbio si può osservare che questi nove racconti rappresentano delle gemme incastonate su un tessuto emozionale, stupendamente illuminate, amorevolmente risplendenti la personale visione, profondamente sentita, della concezione dell’esistere, di cosa significa “vivere veramente”.
La “gemma” iniziale è il racconto “Mai bello come me”, che apre la raccolta e la orienta verso la visione esistenziale pervasa da una profonda umanità, mette in piena luce il rapporto tra due fratelli: il più giovane è un ingegnere aerospaziale, professore d’università, dotato di una formidabile “intelligenza scientifica” ma, purtroppo, costretto in un letto d’ospedale con diagnosi di leucemia mieloide acuta; il fratello più grande è il “presunto ritardato”, il fratello che “non avrebbe potuto badare a se stesso”; il fratello che “era stato causa di frustrazione”, di una condizione vissuta come ingiustizia e come “pesante problema” durante il periodo dell’infanzia: la realtà della vita dimostrerà, chiaramente, che il fratello “diversamente abile”, si rivelerà un raffinato artista del legno, amato da tutti e capace di “prendersi cura” del fratello malato grazie al suo ennesimo gesto d’amore.
Durante la lettura dei racconti di Sandra Frenguelli si assiste ad una deflagrazione di emozioni.
Le narrazioni prendono il via dallo slancio vitale che riconduce alla magia della vita, alle molteplici manifestazioni del vivere che si rapportano, in alcuni casi, alla realtà vissuta al giorno d’oggi come, ad esempio, nel racconto dedicato allo sfruttamento del lavoro minorile che, simbolicamente, diventa “messaggio di libertà nel mondo globale”, dopo che una donna trova, casualmente, all’interno di una tasca di un paio di pantaloni acquistati al banco dei cinesi in uno dei soliti mercati, un biglietto sul quale è scritto un monito per l’acquirente di quel capo d’abbigliamento.
Proseguendo la lettura si ritrova il racconto “L’orologio senza tempo”, che rappresenta un sommesso ricordo della strage avvenuta alla stazione di Bologna: ed è quello stesso orologio “senza tempo” che, dopo il boato dell’esplosione, diventerà simbolo di dolore e di morte… a imperitura memoria.
E poi, il racconto “Lo spirito di Camilla”, ragazza un po’ grassa che risponde per le rime agli insulti di due ragazzi stupidi e, con gran classe, ironia ed intelligenza, riesce ad umiliarli e farli sentire “piccoli piccoli”.
Di diverso sapore, ad esempio, il racconto avvolto dal profumo del tempo e da amorevole recupero memoriale, che riporta la storia del mitico Zio Caffè, grande sarto per passione, chiamato così perché, nella sua bottega, “non mancava mai una tazza di caffè” per i clienti, amici od ospiti occasionali: durante il racconto della storia emergerà anche il segreto della bravura sartoriale di Zio Caffè che, essendo ammalato di poliomielite, dopo aver cucito i pantaloni per sé, poteva cucire i pantaloni per gli altri “ad occhi chiusi”.
Ecco allora che si può ben avvertire come i racconti che compongono questa raccolta di Sandra Frenguelli, sono ammantati da emozionante susseguirsi di umane verità, come ad indagare ciò che è nascosto sotto la superficie del vivere, come a scandagliare le pulsioni dell’animo umano e le contraddizioni del vivere, fino al lento avvicinamento a ciò che può considerarsi il segreto intimo della vita, all’autentica essenza di ciò che “significa vivere”.
Sandra Frenguelli, grazie alla sua scrittura così avvolgente, scalda il cuore, coinvolge ogni fibra e pervade l’animo: riesce a far vivere le sue storie di luce propria, recupera sempre la memoria, esalta il gusto dolce-amaro del passato e miscela gli ingredienti con mano sapiente.
Dolce ed intensa, autentica e profonda, ammaliante e struggente, penetrante ed avvolgente, Sandra Frenguelli offre le sue storie in un pieno fluire degli stati d’animo, tra esistenza stessa e lirismo, dal palpito intimo all’ispirazione legata alla realtà.
La “parola” di Sandra Frenguelli è luminosa e, con la sua sensibilità magica, aiuta a vivere.
Massimo Barile
Piume
Ad Alessandro
Lo spirito di Camilla
Passando accanto a Camilla seduta sullo sgabello di fronte al bancone del wine bar, i due ragazzi appena entrati nel locale, senza nemmeno preoccuparsi troppo che Camilla sentisse o meno, non riuscirono a trattenere sorrisi ironici e battutine il cui senso era: “in questo posto oltre alle botti di vino ci sono anche quelle di carne, povero sgabello, certo non immaginava di dover sostenere una botte di quel tipo!”
Camilla seguì con lo sguardo i due ragazzi che continuavano a ridacchiare tra di loro mentre sceglievano il tavolo dove sedersi. Quello con gli occhiali, alto e slanciato, camminava con un’andatura dinoccolata, l’altro di corporatura piccola aveva dei capelli rossi tutti impiastricciati di gel. Una volta che li vide accomodati, Camilla prese tra le mani il calice di Sagrantino che stava sorseggiando, si alzò senza tentennamenti, li raggiunse al tavolo, posò delicatamente il calice e gli si sedette di fronte. Quello con gli occhiali con aria spavalda e canzonatoria le disse “qualche problema cicciona?”, mentre l’altro aggiungeva ridendo di sottecchi “…vuoi provare se anche questa sedia è a prova di botte?”. Per poi scoppiare entrambi in una risata rumorosa compiacendosi della battuta.
Camilla con un’aria nient’affatto turbata gli rispose “nessun problema, la sedia regge i miei oltre 100 chili, non preoccupatevi. Volevo anzi dirvi che mi sembra molto interessante il vostro parallelo con la botte”. I due ragazzi iniziarono ad essere stupiti ma non ebbero il tempo di replicare perché Camilla continuò. “Vi faccio una breve panoramica dei modi che potevate scegliere per descrivere il mio peso, probabilmente per nessuno di questi mi sarei seduta qui, poi vi dirò perché quello della botte mi interessa in modo particolare tanto da farvi onore della mia compagnia”. Camilla si aggiustò i capelli lunghi e castani dietro le orecchie, eresse il busto, assunse un tono teatrale e cominciò: “modo Zoologico – non sapevo che una specie di elefante marino avesse le gambe al posto delle pinne – Descrittivo – è un tendone da circo o un dirigibile? Aggressivo – se avessi per pancia una mongolfiera come quella me la bucherei sulla pubblica piazza. Pratico – avrà pensato a fornire generi di conforto a chi volesse mettersi in cammino per girarle intorno? Amichevole – quando si immerge per fare il bagno le ci vuole la piscina olimpionica? Cortese – avrà certo pensato a convenzionarsi con una gru per rialzarsi quando cade. Curioso – quei prosciutti li hanno appoggiati su uno sgabello perché appesi avrebbero schiantato il soffitto? Premuroso – per farsi un abito le ci vuole la stoffa che serve per un paracadute? Ammirativo – oh, quel bignè gigante al posto della faccia, che splendida pubblicità per una pasticceria! E infine Catastrofico – se dovesse mettersi a dieta andrebbe in crisi la produzione alimentare del pianeta!”.
Camilla depose il tono stentoreo, sorseggiò il Sagrantino e riprese fiato. Con i suoi profondi occhi neri fissò alternativamente lo sguardo dritto negli occhi dei due ammutoliti a cui la bocca si era semi aperta in un’espressione demenziale. Con la sicurezza di chi domina la scena, Camilla continuò pacatamente: “A tutti questi modi avete aggiunto quello Enologico: ma paragonarmi ad una botte pone la questione tra il contenitore e il contenuto. Le nostre dimensioni fanno certo dire che io sia una botte e voi delle esili, affusolate bottiglie: ma per quale vino?”.
I due, storditi prima ancora che sorpresi, erano ubriachi delle parole di Camilla che sicura e meno che mai irritata riprese. “Ovvio dunque che io contenga vino grasso, capace di sensazioni di pienezza e fluidità, e voi magro ovvero un vino privo di picchi qualitativi. Per suo stesso aspetto la mia botte custodisce un vino rotondo, pieno e morbido, mentre all’interno del vetro opaco delle vostre bottiglie deve esserci un vino secco ove non sono percepibili sensazioni di dolce. L’espressione ebete che avete da quando siete entrati dice che, rispetto al mio vino brioso, giovane, fresco, leggermente spumeggiante, il vostro deve essere piatto, privo di qualsiasi carattere. La vostra incapacità di emettere un solo commento al mio eloquio dice che il mio vino sia etereo, caratterizzato da eleganza e sottigliezza, ed il vostro acerbo, ovvero non ancora affinato, disarmonico che deve ancora maturare. Con assoluta certezza so poi che il mio vino è persistente, lascia infatti a lungo i sentori del suo spirito, mentre il vostro è senz’altro corto, non lascia alcuna traccia del suo passaggio. L’occhio da triglia che vi ritrovate parla di un vino filante ovvero insipido, oleoso e opalescente, niente a che vedere con il liquido amaricante che custodisco io che lascia gradevoli sensazioni dolci e amare. A starvi vicino emanate l’odore di un vino maderizzato sgradevole, molle e sfatto, riuscite almeno a sentire quale effluvio fresco sia sprigionato dal mio vino ricco di profumi di fiori e di sapori di frutta appena colta? Ah, cari quattrocchi e rosso malpelo, mie povere bottiglie colme di un vino passato che ha già compiuto il suo ciclo vitale e che sta degenerando senza speranza!”. Così dicendo Camilla bevve l’ultimo sorso di Sagrantino, quindi si alzò fiera, prese in mano il calice vuoto e afferrandolo dalla parte dello stelo, distese il braccio verso i due malcapitati come se avesse in mano una spada e, qual Cyrano in ampia gonnella, soggiunse: “Tante cose avreste potuto dire anonime bottiglie dalla forma umana, ma voi di spirito, tristissimi individui, non ne possedete un atomo, quanto alla cultura non ne avete abbastanza da mettere insieme più di sette lettere, quelle che formano la parola cretini!”.
Ciò detto fece rotolare il calice sul tavolo, con un tocco deciso al mento di entrambi sollecitò la chiusura di quelle bocche aperte, si girò bruscamente e li lasciò lì a smaltire l’ubriacatura.
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