Capitolo uno
Seneca morale
…e vidi Orfeo
e Tullio e Livio e Seneca morale
(Dante, Inf. IV.140,141)
Ogni ricerca sull’uomo deve cominciare dall’uomo stesso, dal suo agire, dai suoi pensieri. L’uomo infatti contiene in se stesso, nella sua interiorità l’essenza dell’universo ed è quindi vano cercare altrove. Anche la religiosità è dentro l’uomo, fuori di lui ci sono le tante religioni. Spesso noi ci soffermiamo con maggiore attenzione su ciò che ci colpisce immediatamente e quello che adesso mi fa pensare a proposito degli uomini di pensiero sia che si tratti di filosofi o letterati è che molti di essi parlano bene ma razzolano male. L’uomo dovrebbe essere considerato per quello che dice e non per quello che fa, ma un fatto è certo che parecchi offrono al prossimo delle verità che poi forse non vivono. Questo comunque non impedisce agli altri di viverle e farne tesoro. Quello che si dice, per esempio, dello stoico Seneca, è che predicava la morale, i buoni costumi, la rettitudine d’animo e nel privato accumulava beni materiali senza scrupoli. Seneca fu senza dubbio uno spirito inquieto e come leggevo in un vecchio testo di Storia della letteratura latina “Seneca non ha mai preteso di mostrare se stesso come realizzazione del suo ideale o come modello esemplare da imitare. Anzi ha diffusamente parlato delle sue contraddizioni, della lotta tra desiderio e ragione, tra realtà e ideale, tra pratica e teoria; e in lui la filosofia ha avuto proprio il compito… di perfezionare l’imperfetto e di guidare l’incerto.”
Per altri Seneca visse la crisi che investì la stessa filosofia stoica nell’ambiente romano del suo tempo. Egli fu certamente uno dei testimoni del turbamento delle coscienze e dell’evoluzione interiore della società nel periodo cruciale della crisi neroniana ed uno degli anticipatori della grande crisi politica e morale che investì a poco a poco tutto il mondo antico.
Sappiamo che intorno agli anni 58 e 59 d.C. Seneca tende a staccarsi dalla corte di Nerone, in pratica ha voglia di abbandonare il suo incarico nella politica attiva e dedicarsi all’otium. In effetti Nerone era già cambiato, non c’era più traccia in lui del giovane imperatore di belle speranze, carico di buona volontà e desideroso di realizzare grandi cose per l’impero, ma anche Seneca era cambiato. La sua filosofia si allontanava sempre più da quella realtà politica, il divario tra lo stoicismo di Seneca e l’atteggiamento di Nerone che manifestava comportamenti di crescente crudeltà si faceva sempre più profondo. Si era creata, in poche parole, una sorta di incompatibilità oramai incolmabile tra il vecchio precettore e l’illustre allievo. Eppure l’atteggiamento di Nerone non era stato sempre così crudele e intransigente. Infatti, “per tutta la prima fase, finché ebbe al suo fianco Seneca, proseguì la politica di benevolenza verso i Cristiani che era stata di Tiberio. E il Cristianesimo a Roma si espanse anche nell’ambiente senatorio e intellettuale, soprattutto fra gli “Stoici” con i quali i Cristiani avevano un rapporto di stima reciproca”.
Dalle opere del nostro filosofo di quegli anni affiora con maggiore consistenza una moralità più profonda, aleggia nei suoi scritti una nuova spiritualità non molto distante dalle idee del primo Cristianesimo che proprio in quel periodo si diffondeva a macchia d’olio nella città di Roma e nelle sue province.
Naturalmente Seneca non se la sentiva più di occuparsi degli affari dell’imperatore, ma Nerone costituiva il potere assoluto, un potere sottolineato da un dispotismo crescente che tendeva a legare il nostro filosofo alla sua corte con una costrizione che aveva, a mio parere, tutto il sapore di un controllo diretto sull’uomo che non approvava più le sue scelte ed il suo modo di agire. Tutte le congetture sono infatti possibili, forse Nerone cominciava a nutrire il sospetto che le idee del suo filosofo di corte, espresse – come già detto – nelle sue opere di quegli anni, si accostassero un po’ troppo a quelle del Cristianesimo nascente.
Il timore che quel diffondersi di un pensiero carico di una spiritualità e moralità diverse dal suo modo di vivere fomentasse movimenti pericolosi per la sua politica e soprattutto per la figura di imperatore, lo costrinse quasi certamente a tenere a bada il suo vecchio precettore e questo fino al 62 d.C. quando Seneca, nonostante le pressioni di Nerone, decise comunque di ritirarsi a vita privata e dedicare il suo tempo agli ultimi suoi scritti.
La crudeltà di Nerone lo raggiunse ugualmente in occasione della Congiura di Pisone. Seneca fu accusato di averne fatto parte e ci viene spontaneo ritenere che, per Nerone, non ci fu occasione migliore per togliere di mezzo una figura scomoda come quella di un filosofo moralista e fustigatore dei cattivi costumi.
Sono molteplici le opinioni di critici e pensatori che nel corso dei secoli hanno sottolineato nel bene e nel male gli aspetti della moralità di Seneca ma di queste farò cenno più avanti quando parlerò delle testimonianze sulla sua vita e le sue opere.
Adesso mi limiterò a rispondere a taluni attacchi alla moralità di Seneca con le parole di Max Pohlenz uno studioso del nostro filosofo e dello stoicismo in genere: “…è facile dare addosso a Seneca, additarlo come l’uomo dei compromessi, peggio, come un’ipocrita.”
Più difficile rendergli giustizia, cogliendo le diverse tendenze – spesso radicate nella realtà storica dell’epoca – che si scontravano nel suo animo. Seneca stesso espresse questo giudizio su Mecenate: “Aveva un animo grande e virile se non lo avesse snervato la fortuna”. – Anche per Seneca il favore di Nerone rappresentò un pericolo.
“Ma egli indubbiamente sfruttò il periodo in cui fu in auge per compiere grandi cose a vantaggio dell’umanità. Nessuno può negare l’onestà delle sue intenzioni.
Il fondamento morale lo trovò nella fede stoica. Non sempre riuscì ad impostare la sua vita in armonia con la dottrina stoica. Ma da stoico seppe morire. E in faccia alla morte poté dire ai suoi amici che la più bella eredità che lasciava loro era l’esempio della sua vita. Certo non è stato solo lo scintillio del suo stile a procurare tanti lettori, attraverso i millenni, alle sue opere.”
È certo che lo stoicismo contribuì non poco ad infondere nell’animo di Seneca sentimenti e pensieri che erano più prossimi alla sfera etica dell’uomo che a quella speculativa, come ci suggerisce A. Ronconi nel suo profilo storico della letteratura latina pagana: “Accanto a Cicerone ha validamente contribuito a dare universalità al pensiero antico, ha temperato lo stoicismo con le sue affermazioni rigorose e lo ha rinvigorito con un chiaro senso di umanità, che lo ha fatto sentire vicino al Cristianesimo.”
Esistono sostanziali differenze fra lo Stoicismo ed il Cristianesimo. La filosofia stoica si caratterizza per una sua interiorità e rettitudine morale di fronte ad una Divinità che resta comunque al di fuori dell’uomo, nel Cristianesimo l’interiorità si lega strettamente ad una trascendenza ed un’immanenza divina nell’uomo. “Ma un confronto delle due visioni del mondo – come suggerisce Eckard Lefevre – potrebbe essere remunerante, giacché la vita dello stoico fondata moralmente è determinata da un’etica paragonabile a quella della vita devota del Cristiano.”
[continua]