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Alle radici dell’Europa
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Sergio Benedetto Sabetta - Alle radici dell’Europa
Collana "Le Querce" - I libri di Saggistica e Diaristica
14x20,5 - pp. 250 - Euro 11,50
ISBN 9791259512970
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In copertina e all’interno: fotografie dell’autore
PREFAZIONE
Sergio Benedetto Sabetta propone un nuovo interessante saggio di storia del diritto in relazione alle radici dell’Europa, attraverso un complesso excursus che ripercorre la nascita dei sistemi giuridici, miscelando elementi di storia giuridica ed economia politica, con alcuni riferimenti al diritto internazionale e al diritto canonico.
Il saggio prende avvio dall’esegesi delle fonti del diritto e si dipana attraverso un complesso intreccio tra le discipline giuridico economiche: ecco allora il riferimento alle opere che hanno dato inizio allo ius civile, come il “Liber Actionum” di Gneo Flavio ed il primo manuale di storia giuridica che è stato l’”Enchiridion” di Sesto Pomponio, al quale seguirono i “Commentarii iuris civilis” di Gaio, le famose “Istituzioni”.
L’attenta analisi di Sergio Benedetto Sabetta parte dalla nascita del negozio giuridico romano e dai documenti giuridici privati in età giustiniana, oltre alle relative compilazioni, per giungere fino alle fonti del diritto occidentale ed al sistema del diritto moderno.
Durante la trattazione emerge chiaramente che la complessità del sistema rendeva indispensabile la necessità di una sistemazione e di una regolamentazione con la conseguente formazione d’un sistema di diritto comune.
Da tale processo vengono evidenziate l’importanza dei glossatori che “riuniscono la tecnica filologica con l’esegesi giuridica” e la nascita, dalla metà del XVIII secolo, dell’illuminismo giuridico e, a seguire, l’inizio della codificazione moderna con brevi cenni al contesto storico del costituzionalismo in Italia che fece i conti con le problematiche territoriali, le diverse prerogative d’un paese fortemente diviso e regionalmente distinto e diversificato.
Un ruolo fondamentale rivestono le codificazioni giuridiche della Chiesa che esercitarono una profonda influenza nell’evoluzione del diritto anche in relazione al rapporto tra Stato e Chiesa, a cui seguirono, di pari passo, l’affermazione dei diritti della persona.
Nel saggio in esame le varie scuole di pensiero giuridico vengono esaminate e confrontate ponendo l’attenzione sulla necessità d’una interazione con l’agire politico: viene sottolineata la necessità di una “salda forma democratica” e come le scuole di pensiero giuridiche debbano dialogare con altre discipline per dare sostanza all’agire politico.
L’attuale crisi europea assume un ruolo decisivo nelle diverse fasi dell’analisi delle problematiche e delle criticità del sistema giuridico, e viene sottolineata l’importanza d’un intervento da parte dei giuristi che è diventato ormai urgenza non differibile.
Sergio Benedetto Sabetta offre un corposo e dettagliato saggio di storia del diritto che mette in risalto le “radici” storiche e giuridiche dell’Europa e cristallizza le concezioni degli istituti giuridici che sono alla base della dottrina del diritto e della nascita della “comunità europea”.
Durante la trattazione delle tematiche in oggetto emerge la capacità di proporre un’attenta analisi strutturale e giuridica anche grazie alla cospicua documentazione relativa alle teorie di numerosi studiosi che hanno affrontato tali problematiche e, infine, alla completezza della ricerca bibliografica.
Sergio Benedetto Sabetta, grazie alla sua scrittura lineare e precisa, indaga tali processi evolutivi e le conseguenti dinamiche giuridiche, con una costante appassionata indagine, fissando le evidenze critiche e le interessanti considerazioni sulla concezione strutturale del diritto.
Massimiliano del Duca
Premessa
Nell’elencare la cause dei livelli di “stabilità” tra l’Italia e altri paesi, Cassese, nel “risalire all’origine stessa dello Stato, alla sua incompletezza di strutture, alla sua scarsa rappresentatività”, fa un preciso riferimento, tra l’altro, “all’assenza di élite amministrative e alle carenze di quelle politiche”, ma richiama anche “la debolezza di chi dovrebbe colmare il divario” (8-9, S. Cassese, lo Stato introvabile. Modernità e arretratezza delle istituzioni italiane, Donzelli ed. 1998).
Osserva Zagrebelsky che “la professione del giurista è funzione dell’idea che si ha del diritto”, tanto che “la storia del diritto e della riflessione teorica su di esso è una continua tensione tra il lato del diritto come legge, cioè come forza messa per iscritto, e il lato del diritto come giustizia”.
Nella sua riflessione osserva, inoltre, che anche “i regimi più dispotici pretendono di appoggiare le loro leggi alla giustizia, la loro giustizia”. (49, G. Zagrebelsky, La virtù del dubbio. Intervista su etica e diritto, a cura di G. Preterossi, Laterza ed., 2008).
In questo è pur vero che “il processo può dar diritti a chi non ne ha e toglierne a chi ne possiede” (65, S. Satta, Il mistero del processo, Adelphi, 2013), in questo rientra l’osservazione che il giudice pone il problema della sua autorità, che non può fondarsi sulla sola autorità del “Principe”, se non si vuole rischiare la libertà, bensì anche sul “charisma”, come afferma Satta, il quale non essendo più di origine divina non può che fondarsi sulle più prosaiche “scuole di pensiero”, aventi radici sul prestigio di Istituzioni indipendenti.
Qui nasce il problema sia del “Principe”, che identificandosi nella democrazia con il “popolo” nella realtà si rifà ad una élite, che delle “scuole”, le quali nel temperare il “Principe”, con i suoi eccessi non possono non essere influenzate da forme di controllo indirette, quelle che già Sartori definiva come “video-democrazie” e “video-politica” (G. Sartori, Ingegneria Costituzionale Comparata, Il Mulino 1995), oggi ulteriormente evolutesi con l’informatica.
Emerge chiaramente la necessità, in una salda forma democratica, di avere coscienza della necessaria presenza di grandi e riconosciute “scuole di pensiero giuridiche”, che dialogando con le altre discipline, diano limiti e sostanza all’agire politico. Scuole che non possano che rifarsi e sostenersi su istituzioni sostanzialmente indipendenti, per organizzazione e finanziamenti.
Ecco il richiamo all’esegesi delle fonti, che possano fornire le basi per nuove “scuole”, in un continuo dialogo con le altre discipline, economiche, sociologiche, psicologiche, matematiche, biologiche e naturali.
Come osserva Gallo della Loggia, vi è attualmente una crisi europea delle élites, dovuta al fallimento delle promesse degli anni ’80/’90 del ’900, tale circostanza crea un ulteriore urgenza di rendere credibile e autorevole l’intervento dei giuristi, non riducendosi questo agli aspetti puramente estemporanei e particolari, dovendo in pratica supplire e nel frattempo formare nuove élites, che solo la forza e il prestigio di grandi “scuole” può rendere credibili.
(E. Galli della Loggia, Gli errori delle élites globali, Corriere della Sera, 10/1/2019).
Dobbiamo considerare che mentre l’Illuminismo accumulava certezze attualmente l’I. A. genera un accumulo di ambiguità, creando sbando, isolando l’individuo in una apparente socializzazione, mentre la globalizzazione ci lascia in eredità uno squilibrio enorme, favorito da una espansione finanziaria esasperata (G. Arrighi – B. J. Silver, Caos e governo del mondo, Bruno Mondadori, 2010).
Alle radici dell’Europa
CAP. I
LE FONTI DEL DIRITTO ROMANO
Età Repubblicana e Alto Impero (Principato)
Età Repubblicana
L’età del Volumen: tipo di libro in uso fino al III secolo d.C., la sua forma era un rotolo di papiro su cui era scritto, in una serie di colonne, il testo. Presentava due inconvenienti:
1. L’estrema fragilità del materiale che ne sconsigliavano un uso troppo frequente.
2 La difficoltà per il lettore data dalla mancanza di punteggiatura.
La prima opera filologica importante in Roma fu quella di Sesto Elio Peto Cato che, tra il III e il II secolo a.C., stabilizzò il testo delle XII tavole, infatti, si possono notare in alcuni frammenti elementi della lingua arcaica con tipi rapportabili solo al III secolo.
Le opere che diedero inizio all’interpretatio laica, e quindi allo ius civile, abbattendo la supremazia dei pontefici, furono il “liber actionum” di Gneo Flavio e il “de usurpationibus” di Appio Claudio Cieco, il quale riformò l’alfabeto latino.
Ma fino al II secolo a.C. la giurisprudenza rimase una scienza aristocratica, come del resto lo era il governo romano, fondata sull’auctoritas del giurista e sulla libertà di decisione, che era basata sull’oralità e sulla segretezza dell’interpretazione. Solo dal II secolo iniziò ad essere non più fondata sul semplice commento delle norme ma su una propria razionalità, infatti Pomponio afferma che lo ius civile fu fondato da tre giuristi di questo secolo: Publio Mucio, Bruto e Manilio.
I giovani romani uscivano dalle scuole di retorica con una conoscenza pratica del diritto, che serviva loro per essere lanciati nel foro quali uomini politici o amministratori. Per una conoscenza scientifica del diritto ricorrevano al tirocinium fori, ossia all’apprendimento presso un giurista di grido.
Nell’epoca di Cicerone inizia l’integrazione dell’insegnamento pratico con quello sistematico, i primi autori che si sforzano di compiere una certa sistemazione giuridica sono Quinto Mucio Scevola e Servio Sulpicio Rufo.
Aquilio Gallo fu il più noto giurista del primo secolo ma la sua attività non si espresse in libri, bensì negli scritti dei suoi allievi che ne raccolsero i suoi insegnamenti.
Il principale allievo di Gallo fu Servio Sulpicio Rufo, il quale non fu avaro come scrittore, purtroppo la sua opera è andata perduta a causa della tecnica libraria non progredita e dei riassunti dei suoi allievi che hanno soffocato le opere originarie del maestro.
Nell’età di Cicerone vennero introdotte nuove tecniche librarie che migliorarono la trasmissione dei testi, nonostante ciò esisteva la possibilità di confusione derivante dalle introduzioni dell’autore stesso che diversificavano le copie di una stessa opera.
I manoscritti trovano difficoltà alla loro circolazione per l’enorme travaglio politico del I secolo a.C., che fece sì che i giuristi tentassero il dominio degli avvenimenti per mezzo di una interpretatio evolutiva della lex (es. Nexum, Furtum).
I miglioramenti conseguiti nel I secolo a.C. si riflettono anche nell’ambiente dei non specialisti influenzando i programmi di governo. Indicazioni sulla accresciuta conoscenza degli scritti antichi sono le rimostranze di Cicerone su una mancanza di pubblicità e conservazione delle leges pubblicae e sulla necessità di una semplificazione dello ius civile, analogo proponimento ebbe Giulio Cesare.
Per spiegare la circostanza che entrambe le parti politiche si proposero la stessa esigenza si deve considerare l’assoluta mancanza di volontà di riforma, accompagnata dal desiderio di mantenere immutate le strutture politiche, soddisfacendo però al contempo le esigenze sopra elencate.
Alto Impero o Principato
Se con il I secolo d.C. vi fu un risveglio culturale che portò alla raccolta di antichi manoscritti e alla pubblicazione di nuovi libri, nel II secolo d.C., in presenza di una decadenza della produzione letteraria, vi fu una ripresa di interessi arcaicizzanti ed un conseguente sviluppo della filologia.
Molti testi vennero corretti e ripubblicati, non portando tuttavia questo alla scomparsa delle pratiche causanti la diffusione dei testi non conformi al volere dell’autore (vedere il caso di Quintiliano e della sua “Istitutio Oratoria” contrapposta all’apocrifa “Artis Rhetoricae”).
Data l’importanza dei testi giuridici e il miglioramento conseguito in quegli anni nella tecnica dell’editoria ci si dovrebbe aspettare una conoscenza stabile delle leggi e dei testi di commento, ciò in realtà non avviene.
Dividiamo il problema in due settori: – il primo riguardante la conservazione e la diffusione dei testi di legge; – il secondo sugli effetti che ebbero le esigenze scolastiche e i progressi editoriali sulla trasmissione delle opere di commento.
1. Le leggi non erano trascritte fedelmente dagli archivisti che commettevano facilmente errori di copiatura, inoltre esistevano difficoltà di visione delle medesime. Questo stato di cose si protrasse fino al I secolo dell’età imperiale, quando con Vespasiano fu iniziata la ricostruzione dei testi delle leggi andate distrutte. Infine si può affermare con sicurezza che, a partire da Augusto, le leggi furono conservate con maggiore accuratezza.
Anche l’editto del Pretore urbano fu unificato e stabilizzato da Salvio Giuliano per incarico di Adriano, la sua fu una “edizione riveduta” del testo precedente e non una “codificazione”, questo non tolse che circolarono per molto tempo gli “edicta veterum praetorum”.
A loro volta le costituzioni imperiali non circolavano correntemente e non in forma corretta se Ulpiano le cita spesso a memoria, d’altra parte, come dimostra una lettera scritta a Traiano da Plinio, governatore della Bitinia, questa situazione si riscontrava solo nelle province, esistendo a Roma l’archivio imperiale.
Per quanto riguarda i senatoconsulti sorprende la scarsa conoscenza che ne hanno i giuristi, tanti più che esistevano norme precise per la loro pubblicazione risalenti all’età repubblicana. Questa circostanza porta a concludere che forse i giuristi consideravano la propria attività interpretativa pratica preminente rispetto alle altre fonti e a un eventuale commento del testo.
2. La classe dei giuristi venne progressivamente integrata nel sistema imperiale a partire da Augusto. In questo periodo i maestri prendono ad occuparsi dell’organizzazione della scuola stimolati dal Principe, il quale provvede ad assicurare loro degli stipendi, la riforma dell’insegnamento privato in pubblico è terminata nell’età di Vespasiano.
La sistemazione scientifica dello ius civile, iniziata da Quinto Mucio e Servio Sulpicio, viene portata nelle scuole ed impartita accanto all’insegnamento pratico.
Augusto mediante lo “ius respondendi” legò al suo regime molti giuristi, contribuendo alla creazione di una classe di giuristi burocrati, che venne affermandosi con la fine della dinastia Giulio-Claudia e in opposizione ai giuristi repubblicani legati all’aristocrazia senatoria, questi giuristi entrarono come maestri nelle scuole di diritto sovvenzionate dallo Stato.
Si crearono due scuole i Sabiniani e i Proculiani, contrapposte ma influenzate dalla volontà imperiale, per mezzo di queste due scuole venne formandosi un ceto di giuristi legati all’autorità imperiale.
Con l’età di Adriano la centralizzazione della vita giuridica era avvenuta ed i giuristi muniti di “ius respondendi” furono impegnati in attività amministrative, delegando all’insegnamento i sostituti talché le scuole persero importanza e prestigio decadendo.
Per le esigenze della scuola venne inventato il “manuale”, o corso di lezioni a carattere elementare, che più tardi prenderà il nome di Istituzioni.
Il primo manuale di Istituzioni fu quello di Masurio Sabino (da cui prese il nome la Scuola dei Sabiniani) che divise lo ius civile in tre parti: testamenti, beni mobili e loro circolazione. Questi libri vennero pubblicati dai suoi allievi dopo la sua morte e furono la base delle compilazioni fatte da Paolo, Ulpiano e Pomponio tra il II e il III secolo e presero i nomi di Commentari ad Sabinum.
Il primo manuale di storia giuridica fu l’**Enchiridion** di Sesto Pomponio, infine vi furono i Commentarii iuris civilis, o Istituzioni, di Gaio. Questo fu il manuale che giunse fino a noi, aggiornato nelle epoche successive, grazie alla semplice esposizione dello ius civile in tre parti: personae, res, actiones; questi testi scolastici ebbero varie riedizioni a causa dell’uso che se ne fece nelle scuole.
Nel complesso la documentazione delle leges e dell’editto pretorio era certa, mentre l’informazione sui senatoconsulti e sulle costituzioni imperiali era molto labile.
La letteratura giurisprudenziale circolava in forme abbastanza libere, questo fatto era dovuto all’uso scolastico che si faceva dei testi, recuperati con paziente lavoro filologico durante l’età degli Antonini e contemporaneamente aggiornati continuamente alla situazione giuridica del momento.
Tale fenomeno deve esse spiegato con due ordini di considerazioni:
1. L’impossibilità di stabilire quale è l’opera originale tra più manoscritti, che possono essere tutti autentici della volontà dello scrittore. Le cause delle possibili variazioni sono: A) la stessa edizione antica era soggetta ad ogni possibile accidente; B) una volta pubblicato un libro, l’autore poteva migliorarlo e farlo ripubblicare; C) possibilità dell’esistenza di altre stesure compiute dai suoi allievi; D) ripubblicazione delle opere del maestro dopo la sua morte.
2. Con l’introduzione dello ius respondendi augusteo gli scritti dei giuristi, muniti di questo privilegio, divennero fonte legislativa e furono perciò studiati e rielaborati. Quindi la strumentalizzazione del pensiero degli “iuris conditores” (creatori di diritto) è causa della difficoltà di restauro dei testi originali.
Questa varietà di materiale giurisprudenziale tuttavia cessò nell’età dei Severi quando Papiniano, Paolo, Ulpiano, Modestino resero definitivi i testi giurisprudenziali aiutati dal prestigio che veniva loro per essere alti funzionari imperiali.
Questi giuristi vanno anche ricordati perché furono l’estremo tentativo di controllare e disciplinare l’apparato militare necessario per il controllo dei confini dell’Impero. Dopo essi inizia un’epoca di decadenza, in cui la scienza giuridica sopravvive nell’anonima cancelleria imperiale.
[continua]
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