Nel primo Novecento: “Dalla guerra dell’Asse alla guerra di Liberazione nelle memorie di una famiglia sui vari fronti”

di

Sergio Benedetto Sabetta


Sergio Benedetto Sabetta -  Nel primo Novecento: “Dalla guerra dell’Asse alla guerra di Liberazione nelle memorie di una famiglia sui vari fronti”
Collana "Le Querce" - I libri di Saggistica e Diaristica
14x20,5 - pp. 94 - Euro 9,50
ISBN 9791259512208

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In copertina e all’interno: fotografie dell’autore


Alla ex SAUSA (Scuola Allievi Ufficiali Sottoufficiali Artiglieria) di Foligno, al 97° Corso A.U.C. di artiglieria e alla mascotte “Congedo”, così chiamata dagli artiglieri, un cagnolino “soldato volontario” zoppicante con solo tre zampe, essendo la quarta lesa, che negli anni ’70, come ricordato, dal Generale Arteritano, nostro Capitano nella 3a Batteria, e dal Generale Cesaretti, suo Vice Comandante, accompagnava gli allievi alla libera uscita, abbaiava alle macchine affinché si fermassero e, ritornato in caserma, li aspettava al rientro.
La domenica andava alla vicina stazione per accoglierli, accompagnandoli in caserma ed assisteva tutte le mattine all’alza bandiera.
Faceva la fila per il rancio, saliva, dopo che tutti gli allievi erano saliti sui camion per le esercitazioni, sull’ultimo C.M. e nelle visite ufficiali finiva in guardina, agli arresti, per la giornata, finché un giorno non tornò.
(Raduno del 13 ottobre 2019 per il 40° del 97° A.U.C.- Foligno)

“Ogni società presuppone un ordine e ogni ordine esige un potere e un diritto; restano da discutere la natura e le forme di questo diritto”
(Gaudemet J., Storia del Diritto Canonico, Ecclesia et Civitas, 1998, 46)

Si ringrazia il Gen. Dott. Massimo Coltrinari, Presidente del Centro Studi sul Valore Militare dell’Istituto del Nastro Azzurro fra Combattenti Decorati al Valore Militare, per la sua preziosa collaborazione. Prefazione


Premessa

Oggetto della presente pubblicazione, nata da una tesi, è l’indicazione delle vicende dei componenti della famiglia Sabetta partecipanti alle vicende militari dell’Italia nel Novecento. I limiti di spazio sono teatro di operazioni o zone di guerra in cui sono stati coinvolti e i limiti di tempo sono individuati in quello che viene definito il secolo breve.
L’iconografia allegata integra il testo.


Prefazione

Il libro di Sergio Benedetto Sabetta racconta le vicende di alcuni membri della sua famiglia che si sono verificate durante i due conflitti mondiali e la sua scrittura coinvolgente accompagna il lettore durante i vari avvenimenti militari che vengono raccontati con tono sereno e grande attenzione.
In relazione alle vicende della famiglia Sabetta durante i due conflitti mondiali, l’interesse di Sergio Benedetto è nato qualche tempo fa ed ora ha scritto questo interessante libro di memorie familiari, che diventa intenso diario memoriale relativo agli eventi che hanno interessato alcuni componenti della sua famiglia che hanno preso parte alle guerre che si sono svolte in Italia, dislocati in diverse zone e con la partecipazione in numerose operazioni militari.
Durante la narrazione, sempre alimentata da una Parola coinvolgente ed appassionata, ecco allora avvicendarsi una galleria di protagonisti della famiglia Sabetta: a partire dal nonno Bernardo, classe 1883, che ha partecipato, nel 1916, alla Prima Guerra Mondiale nel Reggimento Bersaglieri; il padre Donato, della 48a Divisione Taro, che parte alle armi il 17 febbraio 1939 ed il fratello gemello Eugenio che lo seguirà; e, ancora, lo zio Benedetto, della Divisione Acqui, inviato in Grecia, nel 1943, giusto per citarne alcuni.
Nelle varie fasi dei racconti, poi, si susseguono numerosi riferimenti alle figure del padre Donato e della madre Clementina Rita Mattiuzzo.
Gli eventi storici ed i fatti narrati relativi alla sua famiglia si miscelano e si intrecciano creando una comunione narrativa che fissa, in modo veritiero, le difficoltà e le inquietudini, le sofferenze e le paure, nonché rende evidente la follia della guerra e di alcune scelte profondamente errate, offrendo una validità letteraria sia sotto il profilo della profonda umanità che domina l’intero scenario, ma anche sotto un profilo strettamente storico e politico.
Non a caso v’è da sottolineare come nel testo si evidenziano anche alcuni riferimenti alle criticità militari dell’Italia: la mancanza di una vera strategia militare; le carenze relative ai mezzi militari; le lacune nella gestione strategica militare; l’approssimazione nelle varie fasi degli eventi bellici; la confusione e l’impossibilità di tenere fede alle promesse fatte.
Ecco allora avvicendarsi gli eventi dalla Guerra dell’Asse del 1940/1943; alla campagna militare d’Italia del 1943/1945; alla guerra di Liberazione in relazione ai vari fronti dove erano presenti alcuni componenti della famiglia Sabetta come, ad esempio, sul fronte Sud dove c’era stato lo sbarco degli Alleati; e, ancora, tra le fila dei Partigiani, sul fronte militare in varie zone all’esterno dell’Italia e anche nei vari centri di prigionia e nei campi militari.
Nel libro di Sergio Benedetto Sabetta emerge la complessa ed impegnativa ricerca documentale svolta dall’Autore presso gli Uffici dell’Esercito e l’Archivio di Stato, tra Roma, Padova e Trento, che si accompagnano con i numerosi racconti memoriali provenienti dalla sua famiglia e documenti personali che hanno contribuito ad offrire un valore storico e documentale al presente libro che diventa “diario militare” d’una famiglia e preziosa testimonianza che mette in evidenza le qualità umane e valoriali dei suoi componenti.
Risultano interessanti anche i due scritti che chiudono il libro e rappresentano un valido esempio di profonde riflessioni sull’arte della guerra e sulle strategie militari, oltre ad alcune osservazioni sulle relazioni internazionali relative alle politiche militari.

Massimiliano Del Duca


INTRODUZIONE

Il Novecento è il secolo della guerra totale dove lo scontro è impersonale e industrializzato, i due conflitti mondiali si possono pertanto considerare un unico conflitto intervallato da una lunga tregua, a cui seguirà una guerra, fredda in Europa, ma violenta nelle varie parti del mondo in decolonizzazioni.
La Prima Guerra Mondiale ha, quindi, profondi riflessi nella Seconda Guerra Mondiale, pertanto anche le vicende personali di una famiglia vengono ad essere travolte da questi due limiti, che nel caso in esame risultano addirittura essere speculari e in sintesi nel matrimonio tra mio padre, Donato Sabetta, nato nell’ottobre 1920 ad Arce, circa 20 Km a nord di Montecassino e della Linea Gustav, e mia madre, Clementina Rita Mattiuzzo, nata e cresciuta nel marzo del 1918 sulle sponde del Piave, nelle terre intorno al Montello, con la perdita totale dei beni, mentre suo padre, Raimondo, artigliere, combatteva nella battaglia del Solstizio d’estate, nel giugno 1918.
Sebbene concentrati sulle esperienze personali dei membri della famiglia nella Seconda Guerra Mondiale, non possiamo perciò non fare cenno alle vicende belliche del nonno paterno Bernardo, che condussero al suo congedo per infermità bellica, venendo ad influire sulla vita dei figli.
Il nonno Sabetta Bernardo classe 1883 – Distretto di Frosinone, agricoltore, lasciato in congedo illimitato il 22 giugno 1903 e sposato con Germani Loreta, viene richiamato alle armi per mobilitazione nel luglio 1916 e tale nell’11° Reggimento Bersaglieri, il 26 luglio 1916 entra in territorio dichiarato in stato di guerra.
Combatte sui monti Javorcek e Golobar nell’ottobre 1916, rilevato nel gennaio 1917 viene mandato, dopo un periodo di riposo, nel febbraio sulla sponda destra dell’Isonzo, quindi trasferito alla metà di marzo in Val Degano, Carnia.
In questo periodo vi sono vari attacchi austro-ungarici e forti scontri, sulle quote Granuda Berg e Monte Nero, nonché sul ponte ferroviario del fiume Fella.
Al Reggimento viene concessa la medaglia d’argento al valore militare per la conquista delle posizioni di Jamiano e la resistenza opposta agli attacchi nemici.
Viene mandato in licenza di convalescenza di un anno il 28 agosto 1917 per malattia contratta in servizio.
Rientrato al Corpo il 16 agosto 1918 all’Ospedale Militare di Ancona, viene sottoposto a successiva rassegna il 15 ottobre 1918 e congedato con onore “per avere tenuto buona condotta e avere servito con fedeltà ed onore”.
Riconosciuta la Campagna di Guerra 1916 con la Medaglia interalleata della Vittoria.
Nel dopoguerra viene assunto quale invalido di guerra presso il polverificio militare di Fontana Liri, nascono nel 1920 i due figli gemelli Donato e Eugenio, che si aggiungono al primogenito Benedetto, classe 1914, ed Eleuterio, classe 1917.
In questo scenario si muove la famiglia Sabetta, composta oltre che dai quattro fratelli, da quattro sorelle (Bernarda, poi consacrata suora, Angela, Maria e Ida).
La famiglia risiede ad Arce, Frosinone a circa 20 Km a nord di Montecassino, in Contrada Tramonti sulle pendici di Monte Grande e Monte Piccolo, affacciata sulla Valle del Liri a cavallo della via Casilina, che si rivelerà poi posizione strategica in direzione nord per battaglie di arresto, come effettivamente avvenne nel maggio 1944.
Arce e Rocca d’Arce sono stati feudo e castelli di confine tra lo Stato Pontificio e il Regno Napoletano, luogo di assedi e battaglie fin dall’antichità, nel suo territorio vi sono i resti di Fregellae distrutta dai romani in seguito ad una sollevazione, ma vi è anche il passo verso Tagliacozzo e Benevento.
I suoi castelli videro il passaggio nel Medio Evo di Federico II di Svevia e di Carlo d’Angiò, dei francesi che ripetutamente tra il XV e il XVIII secolo calarono su Napoli, di Garibaldi e dell’esercito della Repubblica Romana del 1849, ma anche fenomeni di brigantaggio e la guerra di repressione che ne seguì alla caduta del Regno delle Due Sicilie nel 1860.
La terra è quindi apparentemente pacifica, ma in realtà luogo di transito e conflitto nei secoli, fino all’ultimo conflitto mondiale con la linea Gustav. Un luogo non solo di battaglie ma anche di violenze sulla popolazione, basta pensare alle “marocchinate” del Corpo di spedizione francese di Juin che si arrestarono a Isoletta, 5 Km da Arce.
L’interesse per le vicende personali della famiglia nei due conflitti mondiali, nacque in me fin dagli anni della giovinezza, quando, vivendo ad Ancona, base del Comando del Centro Adriatico, tra varie caserme, essendo mio padre militare, sentivo parlare della Cortina di Ferro e dal Monte Conero, nelle giornate serene, lo sguardo si spingeva fino alla costa dalmata.
Nei mesi estivi passavo le vacanze scolastiche sia dai nonni materni che paterni, dove visitavo le sponde del Piave tra il Ponte della Priula, Spresiano, Lovadina, Arcade e il Montello, mentre nel frusinate salivamo all’Abazia di Montecassino, tra i racconti degli adulti.
Giunto nell’età del servizio militare, venni assegnato quale Ufficiale Cpl di Artiglieria al 1° Gr. A. Pe. “Adige-Brixen”, III Brigata Missili “Aquileia”, dove negli anni 1980-81, prestai servizio con campi Nato sul Tagliamento, a presidio della “soglia di Gorizia”, e del passo del Brennero, chiudendo idealmente in tal modo il “secolo breve del Novecento”.
Vi è un’unica trama che collega lo “Studio circa la difesa e l’offensiva nord-est” del primo Capo di Stato Maggiore dell’Esercito, Enrico Cosenz, nei primi anni Ottanta dell’800 e la conclusione nel 1989 della Guerra Fredda.
Una trama in cui è calata pienamente la storia personale e quella della mia famiglia paterna, in particolare nella II Guerra Mondiale, e materna, con riferimento principale alla Grande Guerra, fino al personale espletamento del servizio di prima nomina quale S. Ten. Cpl presso il 1° Gruppo di Art. Pe. “Adige-Brexen” della III Brigata Missili “Aquileia”, con sede a Portogruaro, e le relative esercitazioni NATO sul Tagliamento a difesa della “soglia di Gorizia” negli anni 1980-81, nel quadro della dottrina della “risposta flessibile” elaborata alla fine degli anni ’60.
La ricerca documentale degli stati matricolari degli zii ha coinvolto gli Uffici Esercito di Roma e gli Archivi di Stato di Frosinone , di Padova e di Treviso.
La lettura della documentazione così raccolta e di quella già in mio possesso, nonché dei racconti orali memorialistici, ha condotto a circostanziare storicamente gli eventi e i singoli fatti narrati, dando loro un significato ed uno spessore storico.
Sono emerse, altresì, le mancanze logistiche, di materiale, di preparazione, le incertezze strategiche e di indirizzo politico, gli eroismi e le viltà, il coraggio, il sacrificio ma anche l’approssimazione e le sofferenze, che sono venute a calarsi nella realtà del vissuto quotidiano dei singoli soggetti durante gli eventi bellici narrati.
I vari fronti di guerra si sono risolti in una dispersione di risorse e forze, in un continuo arrangiarsi sperando nella buona sorte e in interventi esterni risolutivi.
Arrivati dopo tre anni di guerra al momento decisivo del settembre 1943, mentre il suolo patrio veniva diviso tra le forze tedesche ed alleate, divenendo un campo di battaglia dal 1943 al 1945, le Forze Armate italiane dopo avere perso i reparti e gli equipaggiamenti migliori in Africa ed in Russia, si trovarono ad avere all’estero circa il 30% dei restanti reparti dispersi tra le Isole greche, i Balcani e la Francia del sud, come accaduto nella mia famiglia, in cui l’ultimo rincalzo, lo zio Serg. Benedetto Sabetta, venne mandato nell’estate del 1943 in Grecia, alla Divisione “Acqui” nelle Isole ioniche.
Un uso, esclusivamente politico, delle Forze Armate indipendentemente da qualsiasi considerazione tecnica, sia da parte di Mussolini che del Re, il cui risultato ultimo fu improvvisazione e confusione, dai risvolti drammatici e al contempo grotteschi. In una frammentazione della catena di comando e diffidenza reciproca, in cui il Partito costituì un ulteriore elemento di confusione nella gestione strategica e logistica.
Né la guerra etiopica o quella civile spagnola avevano insegnato qualcosa sull’uso sinergico dell’arma corazzata e dell’aviazione.
Rimaneva una fede incrollabile sulla forza d’urto delle divisioni di fanteria e sull’essenziale binomio fanteria-artiglieria, anche se poi la riforma operata dal Generale Alberto Pariani nel dicembre 1938 ridusse la forza della Divisione di fanteria ad un sistema binario, corretto successivamente con l’immissione di una Legione della Milizia quale sostituto del reggimento mancante.
Vista la costituzione orografica del paese si scelsero i carri leggeri come più idonei all’appoggio alla fanteria, una scelta che risultava peraltro confacente alle limitate possibilità finanziarie del momento e alla mancata collaborazione con l’arma aerea.
I reparti celeri a loro volta in molte occasioni lo erano solo sulla carta per mancanza di mezzi, il motto risultava quindi di improvvisare, cercando di supplire con la fanteria.
In questo deprimente scenario emerge il coraggio e l’abnegazione dei singoli e dei vari reparti, la forza di volontà, di sopportazione, nonché l’adattamento e l’auto-organizzazione a fianco dei militari della popolazione civile italiana, ancor più nei momenti in cui lasciata senza guida dovette affidarsi alle sole sue forze, mentre la Chiesa assumeva, come nei vari momenti di crisi nella storia d’Italia, una funzione suppletiva.
Una palestra che preparò l’Italia al dopoguerra e alla ricostruzione, ma mise anche in evidenza le grosse differenze tra l’area mediterranea e quella nordica dell’Europa, una differenza storica e culturale che si rispecchia nelle attuali tensioni di condotte e di visione, evidenziate ulteriormente dalla pandemia e dalla crisi Ucraina, all’interno dell’U.E.


Nel primo Novecento: “Dalla guerra dell’Asse alla guerra di Liberazione nelle memorie di una famiglia sui vari fronti”


CAP. I
LA GUERRA DELL’ASSE
1940-1943


1.1 LO SCACCHIERE BALCANICO
(Greco/Albanese, Occupazione Montenegro)

Donato Sabetta, allievo Carabiniere con ferma triennale presso la Legione Allievi Carabinieri di Torino, parte anticipatamente alle armi il 17 febbraio 1939.
Nominato Carabiniere a piedi, è tale nella Legione di Catanzaro nell’ottobre dello stesso anno.
Alla dichiarazione di guerra il 10 giugno 1940 è mobilitato presso la 93a Sez. CC. RR., addetto al Comando 48a Div. Fant. “Taro” e tale nel territorio dichiarato in stato di guerra.
Smobilitato il 18 agosto è rimobilitato il 26 novembre dello stesso anno, sempre con la 48a Div. “Taro”, e imbarcato a Bari il 30 novembre per l’Albania, sbarca a Durazzo il 1° dicembre 1940.
Partecipa alle operazioni della Divisione nella Valle del Shkumbini, si schiera l’11 dicembre in prima linea nel settore di Guri Llenges-Dingen-Fiume Shkumbini, impegnandosi in continui combattimenti al fine di contenere l’avanzata greca su Berat e il porto di Valona, questo fino al gennaio 1941.
Dal febbraio fino all’aprile 1941, quando cessano le ostilità, la Divisione è impegnata a respingere continui attacchi nemici e ad effettuare contrattacchi per il mantenimento dei capisaldi.
Impostata sul sistema “binario”, 208° Reggimento Fanteria, 225° Reggimento Fanteria e 48° Reggimento Artiglieria, mostra chiaramente le difficoltà operative nei confronti delle divisioni “ternarie” greche, supportate da un’ottima artiglieria, né l’aggiunta della 164a Legione Camice Nere può compensare tale debolezza, considerando sia l’armamento che l’addestramento.
Nel gennaio 1941, nell’incontro con Hitler a Berchtesgaden, Mussolini è informato dell’intenzione del Fuhrer di intervenire nella primavera in Grecia, oltre all’invio nel successivo febbraio di un Corpo corazzato in Libia.
Nel frattempo a Soddu è subentrato il nuovo Capo di Stato Maggiore Cavallero, che evita offensive considerando la scarsità di mezzi, impegnandosi nella costituzione di riserve, questo nonostante le ripetute pressioni di Mussolini per una offensiva che preceda l’intervento tedesco di primavera.
Mussolini interviene a marzo (1/3-20/3) di persona sul fronte Albanese e Cavallero è obbligato a scatenare l’offensiva, senza un adeguato appoggio dell’artiglieria.
Dal 9 al 12 marzo si succedono gli attacchi, con perdite ingenti che giungono in alcuni casi fino alla metà degli effettivi, senza alcun successo, Mussolini torna a Roma sconfortato, mentre i bollettini di guerra riducono l’offensiva a semplici “azioni locali”.
Successivamente, Donato Sabetta (papà), con il terminare delle ostilità il 23 aprile 1941 con la Grecia, si trasferisce con il Comando Divisione nel Montenegro restaurato in regno indipendente sotto protettorato italiano ma senza un sovrano, fino al suo rientro in Italia a Bari con la nave ospedale “Aquileia” il 26/27 agosto 1941.
Liddell Hart pone in relazione l’invasione della Grecia con la campagna di Libia, in quanto l’invio di una spedizione militare inglese a Salonicco nella primavera del 1941 a sostegno della Grecia, sottrasse le forze necessarie al fronte libico per sfruttare la disfatta italiana in Cirenaica e conquistare Tripoli, prima dell’arrivo dell’Afrika Korps di Rommel.
Il 7 ottobre 1941 viene mandato in licenza di convalescenza per motivi di salute per cinquanta giorni dall’Ospedale Militare di Santeramo in Colle; dichiarato idoneo al servizio militare incondizionato il 25 novembre 1941 dall’Ospedale Militare di Roma.
Della memorialistica del periodo sono stati trasmessi alcuni ricordi frammentari, impressioni particolarmente forti del momento accumulate nella memoria e a cui fu data voce negli anni Sessanta.
Come l’attraversamento dello Stretto di Otranto verso Durazzo nel mare agitato durante la notte, con l’allarme della presenza di sommergibili inglesi che già avevano silurato, il mal di mare, la nausea con la paura e la reazione contraria di alcuni, cibandosi, al rischio della morte.
Nell’inverno del 1940/41 sui monti della Grecia, gli assalti e contrassalti, secondo il modulo della Grande Guerra, fino al marzo 1941 e alle telefonate furiose al Comando Divisione da parte del Colonnello Comandante del Reggimento il quale, alla richiesta di aprire un varco nei reticolati con le pinze taglia filo, rispondeva che nella notte erano rimasti attaccati ai reticolati più di 12 uomini e senza il fuoco dell’artiglieria non si avanzava.
I branchi di lupi che nella notte gelida, sotto la luna nel candore della neve, scendevano ululando a valle nelle retrovie e la paura dei portaordini, che nel buio della notte, non potendo sparare per evitare il fuoco di reazione dei greci, li dovevano, in solitudine evitare. Così come mio padre che raccontava, quando all’arrivo del branco si buttò in un vallone pieno di neve, con la baionetta innestata, e vide passare nel cielo terso, illuminato dalla luna, le ombre dei lupi che saltavano il fosso.
Ma anche momenti di ilarità nella tragedia, per lo scampato pericolo, come quando all’inizio della primavera una colonna di muli carichi di botti pieni di Cognac e grappa, premessa di un assalto, risalivano la valle e un tiro di artiglieria ben assestato, colpì uno dei muli con il suo conducente.
Vi fu una grossa nube di neve e polvere, tutti gli astanti rimasero in silenzio ed ecco uscire dalla polvere il conducente con in mano le redini del mulo e la piastrina dello stesso. Andò verso il capitano a fianco di mio padre e mostrando le stesse, quale testimonianza delle sue parole, dichiarò di aver abbandonato il mulo in quanto morto.
Mentre il capitano rassicurava il conducente, i soldati con le borracce aperte si lanciarono sulle acque del torrente per raccoglierle, in quanto piene di alcool delle botti.
L’alcool faceva brutti scherzi e accadde che durante una missione, dal Comando Reggimento al Comando Divisione, mio padre ed un commilitone trovarono sulla neve, ubriaco, un milite che minacciando i greci, voleva andare in prima linea per sparare, tra l’ilarità e la riprovazione fu riportato a braccia al Comando Divisione, prima del suo probabile congelamento durante la notte.
Sempre nella Divisione “Taro”, presso il 208° Reggimento Fanteria, 3a Compagnia Fucilieri, prestava servizio il fratello gemello Eugenio Sabetta, venuti a conoscenza dell’appartenenza allo stesso Reparto chiesero di potersi vedere.
Il Comando autorizzò e fu organizzato un incontro, alla presenza di due sergenti, i fratelli si scambiarono notizie sui familiari ed Eugenio, essendo in prima linea, consegnò tutte le paghe accumulate in moneta albanese al fratello, affinché potesse trasferire il contante ai genitori ed alle sorelle ad Arce.
Eugenio rimase nei Balcani con la Divisione “Taro”, partecipando all’avanzata in Grecia nell’aprile 1941 e alle azioni anti-guerriglia nel Montenegro del 1941/42, fino al rientro dell’Unità in Italia nell’agosto 1942.
Quando si chiedeva allo zio Eugenio come erano i Greci, lui rispondeva “contadini come noi, mangiano pane, olive, formaggio e bevono vino”. Una volta negli anni Sessanta parlò degli artiglieri greci, disse che erano bravi e raccontò che appena arrivati al fronte, durante i tiri di disturbo, ad ogni granata che miagolava in cielo si gettavano a terra, finché un giorno li vide un ufficiale di artiglieria, il quale nell’osservarli sorrise e disse “ragazzi non gettatevi a terra, che la granata che vi ucciderà non la sentirete arrivare”.
Dal febbraio 1942 al gennaio 1943, mio padre, Donato, è assegnato alla 17a Compagnia CC. RR. mobilitata, a disposizione del Comando Superiore FF.AA. di Albania per la pubblica sicurezza. Nel successivo febbraio 1943 è mobilitato ed assegnato alla 168a Sezione Motorizzata.

AA.VV., I Carabinieri 1814-1980, 476, Ente Editoriale per l’Arma dei Carabinieri, Roma 1980: “Dopo l’occupazione della Grecia, della Slovenia-Dalmazia e del Montenegro, tutti i reparti mobilitati dell’Arma nei Balcani, compresi quelli già in servizio territoriale in Albania, formarono un complesso di forze che, potenziate e coordinate, rimasero in attività a fronteggiare le situazioni locali.
Particolare menzione merita il XIV Battaglione, che dal 1 aprile 1941 operò sul fronte giulio con la II Armata. (…)
Il XX Battaglione fu duramente provato nei vari combattimenti che si svolsero tra il 25 settembre e il 13 ottobre 1941 nel settore di Drvar (Croazia).
Il IX Battaglione combattè, fra l’aprile 1942 ed il luglio 1943, contro i ribelli a Castelvetturi, a Caponeto, a Ponte Briberio, nell’isola di Solta, in quella di Currola, a Crocote ed a Okrk.
Complessivamente nel periodo compreso tra il primo sbarco in Albania (1939) e l’Armistizio dell’8 settembre 1943, vennero concesse ad ufficiali, sottufficiali e carabinieri, per la loro valorosa azione sul fronte greco, in Albania e in Balcania, 9 Medaglie d’Oro al Valore Militare”.

note

1 Cervi M. , Storia della guerra di Grecia, Sugar Ed. 1965.

2 Petacco A., Fine della guerra parallela, vol. IV, 1382-1400, in Storia del Fascismo, Curcio Ed., 1985.

3 Liddell Hart B. H., L’invasione dei Balcani e di Creta, 181, in Storia Militare della Seconda Guerra Mondiale, A. Mondadori Ed., 1970.

[continua]


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