Teorie e memorie dalla guerre moderne - Tra sentimento popolare, propaganda e politica

di

Sergio Benedetto Sabetta


Sergio Benedetto Sabetta - Teorie e memorie dalla guerre moderne - Tra sentimento popolare, propaganda e politica
Collana "Le Querce" - I libri di Saggistica e Diaristica
14x20,5 - pp. 208 - Euro 14,50
ISBN 9791259513229

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In copertina e all’interno: fotografie dell’autore

Prefazione

Sergio Benedetto Sabetta, con il suo nuovo libro dal titolo “Teorie e memorie dalle guerre moderne”, propone un interessante viaggio narrativo tra storia e memoria, costellato da vari riferimenti ai conflitti bellici con dettagliate documentazioni storiche e attente analisi relative al concetto di guerra, oltre che da numerose riflessioni in relazione alla comunicazione politica e alla propaganda in tempo di guerra e, infine, accompagnato da multiformi testimonianze che raggiungono il punto più commovente con i diari di guerra di un “ardito” del XX Reparto d’Assalto e di un milite della Divisione Ravenna operante sul fronte russo.
La trattazione inizia con un capitolo dedicato al “concetto moderno di guerra” nel diritto internazionale e procede con un’analisi approfondita relativa allo stesso concetto di guerra rapportato alla nascita degli Stati moderni con la codifica della “guerra” per disciplinare l’uso della forza sul piano internazionale.
In seguito la Corte Internazionale dell’Aia instaurerà, nel 1945, la Corte Internazionale di Giustizia, per risolvere le controversie tra gli Stati ed assicurare l’osservanza da parte degli Stati membri degli obblighi che derivano dai trattati.
Nel XX secolo l’enorme sviluppo della tecnologia diventa quindi causa ulteriore di nuovi conflitti e v’è un ritorno al concetto di “guerra giusta”, seguendo la dottrina del presidente Woodrow Wilson relativa al “bellum justum”, oltre ad offrire un’attenta disamina delle gravi conseguenze causate da una guerra totale e dalla demonizzazione del nemico.
Credo sia utile aggiungere che Wilson propose la soppressione delle barriere commerciali senza protezionismi per le nazioni che si impegnavano a mantenere la pace, oltre alla riduzione degli armamenti e la necessità di creare un organismo sovranazionale, la Società delle Nazioni, con il compito di regolare le controversie internazionali, garantire il rispetto delle regole di convivenza fra i popoli e fungere da garante della pace.
Logicamente la teoria del “bellum justum” necessita di un’autorità morale superiore che sia giudice nonché di norme che regolino i rapporti e permettano di dichiarare giusto un determinato intervento: ecco allora la nascita di un organo superiore che regoli i rapporti tra gli Stati con la Società delle Nazioni che, purtroppo, fallirà a causa delle difficoltà di stabilire una procedura standardizzata per risolvere le crisi; l’inefficienza della sua azione nei confronti delle grandi potenze ed il conseguente abbandono di diversi stati.
Dopo il venir meno della Società delle Nazioni, nel 1945, verrà instaurata l’Organizzazione delle Nazioni Unite, che rappresenterà anch’essa un conseguente prodotto della concezione wilsoniana e della sua visione politica.
I riferimenti storici in relazione al concetto di guerra risultano importanti e diventano strumento per capire come sia stata usata la “guerra”, nelle sue evoluzioni e dinamiche, per ottenere maggiore potere, per conquistare più forte influenza geopolitica, per avere una posizione dominante in determinate regioni e via dicendo: il concetto moderno di guerra nel diritto internazionale riprende il famoso concetto di “justum” nel valutare l’atto bellico.
Nell’analisi svolta risulta decisamente interessante la disamina del processo comunicativo che si accompagna con le difficoltà ed i pericoli derivanti dalle informazioni sovente contenenti “scorie”, come sottolineato da Sabetta, che vengono prodotte strumentalmente dal sistema e la necessità di filtrarle perché capaci di compromettere una veritiera informazione: come afferma Armand Mattelart “la logica della guerra e la logica della comunicazione si alimentano a vicenda e costantemente”.
Durante tale processo analitico Sergio Benedetto Sabetta offre interessanti riflessioni e dissertazioni sulla gestione delle crisi internazionali in relazione alle attuali problematiche politico economiche che interessano l’area del Mediterraneo con le relative difficoltà d’intervento e l’attuale conflitto in Ucraina che porta ad una destabilizzazione dell’intera zona europea.
Nella parte conclusiva ecco emergere il valore della “memoria collettiva” che ricorda le battaglie della Grande Guerra, creando un rafforzamento dell’identità nazionale grazie ad un importante riferimento ai canti popolari e alle cartoline spedite dai soldati durante i conflitti bellici, documentazioni che raccontano le storie dei protagonisti di quelle vicende.
Sergio Benedetto Sabetta offre un libro ben curato e documentato, capace di offrire importanti testimonianze umane che hanno contrassegnato un sofferto periodo storico, proteso inoltre a mettere in evidenza le molteplici contraddizioni e le immani tragedie collegate all’utilizzo della guerra totale, prestando sempre estrema attenzione nel riportare le varie teorie in relazione al concetto moderno di guerra e alle ulteriori tematiche trattate in questo libro.
Sergio Benedetto Sabetta esplora il processo di formazione ed evoluzione del moderno concetto di guerra oltre alle relative dinamiche e, grazie ad un’attenta e precisa analisi che coglie gli aspetti critici, mette in risalto le problematiche odierne in relazione al concetto di guerra.

Massimiliano Del Duca


Teorie e memorie dalla guerre moderne - Tra sentimento popolare, propaganda e politica


Dedicato allo zio Serg. Benedetto Sabetta,
Div. “Acqui”, disperso a Cefalonia nel settembre 1943


Introduzione

In questa raccolta di memorie si inizia, dopo un inquadramento teorico, con un saluto all’Italia del grande poeta indiano Tagore, premio Nobel nel 1913 per la letteratura, nel lasciare l’Italia ne riconosce la grandezza culturale che la fa identificare con una Regina, madre di popoli e amata da tutti coloro che amano la bellezza e l’armonia.
Da qui inizia un viaggio tra memoria e storia, testimonianze di sogni, dolori, sofferenze e malinconie che le guerre portano con sé, di cui attualmente si vedono i riflessi in Asia e nell’oriente dell’Europa, sentimenti che vengono a perdersi nelle nuove generazioni cresciute nell’illusione di una fine delle guerre, dimentichi delle lezioni della storia dei loro padri, fondata come è sugli istinti più aggressivi della specie umana, circostanza che favorisce il ripetersi della stessa in un vichiano corso e ricorso della storia.

Prof. Sergio Benedetto Sabetta
Presidente Comitato Provinciale di Genova
Ass. Famiglie Caduti Dispersi in Guerra


PREMESSA

Nel nuovo concetto di guerra rientra anche, seppure indirettamente, la pandemia avvenuta tra il 2020 e il 2022 la quale nel sconvolgere gli equilibri accelera le dinamiche in atto diventando da evento naturale un’arma, come nell’assedio di Caffa in Crimea da parte dei tartari che causarono la “peste nera” in Europa o la pandemia nel IV secolo d.C. nell’Impero romano portato dalle legioni che tornavano dall’Oriente che indebolirono il tessuto sociale fondato sulle città, trasferendo il baricentro nelle campagne e favorendo indirettamente le tribù germaniche le quali vivevano disperse in villaggi su territori semi abitati.
Indirettamente la guerra diventa quindi anche una guerra ideologica fondata sulla comunicazione, dove sanità ed economia si intrecciano strettamente con i fatti più strettamente bellici.


CENNI STORICI

Un aforisma accademico inglese recita “La guerra ha fatto lo Stato, e lo Stato fa la guerra”. Esso appare paradossale all’uomo occidentale, ormai abituato a istituzioni benevole e molto attente al concetto di pace, così divenute dopo un lungo e travagliato processo storico.
Uno dei risultati più evidenti della nascita degli Stati moderni nel XVII secolo fu la codifica della guerra. Dopo i massacri delle guerre di religione il formalismo giuridico, nello sforzo di disciplinare l’uso della forza sul piano internazionale, introdusse il concetto di “bellum utrimque justum”, tale fu il risultato della ricerca di una base legale alternativa su cui fondare le relazioni tra Stati.
Una valutazione lasciata alle Cancellerie di Stati sovrani relativamente alla legittimità delle pretese proprie e altrui, ma che non impediva il riconoscimento delle pretese legittime degli altri Stati in lotta, con l’introduzione, quindi, della differenziazione tra nemico “formalmente giusto” e nemico “criminale o pirata”. Ciò significò che gli Stati divenissero entità estranee a valutazioni morali ma dedite esclusivamente al proprio interesse, cioè quello Stato sovrano amorale anticipato da Machiavelli e inteso come “macchina da guerra”.
Nel venire meno di una stabile autorità spirituale superiore, che potesse essere arbitro sulla legittimità o meno di uno scontro e potesse imporre delle regole di limitazione alla violenza della guerra, la possibilità di un riconoscimento reciproco prima dello scontro ne introduceva un fattore di limitatezza, come le procedure di trattativa, le regole sui prigionieri o, più in generale, il mantenimento dei propri diritti di dignità.
La rivoluzione francese reintroduce un elemento che inasprisce lo scontro, delegittimando gli avversari, prototipo di quello che accadrà in alcuni casi del XIX secolo, come la Comune, ma ancor più nel ’900, l’ideologia, che nella sua sacralizzazione riporterà la Storia alla ferocia delle guerre di religione.
Le campagne napoleoniche ne saranno un anticipo, nella ferocia delle devastazioni, che raggiungeranno il culmine nella campagna di Spagna, così ben ritratta dal Goya.
Lo “justus hostis” nega la possibilità dell’annientamento di un nemico che domani potrà essere alleato, viene pertanto meno la “justa causa” teologica per iniziare una guerra, non essendovi autorità morali superiori a cui riferirsi.
Con il Congresso di Vienna (1815), dopo gli orrori delle guerre napoleoniche, si creò un sistema europeo, che riuscì ad evitare conflitti per un cinquantennio.
Su questa linea la Convenzione internazionale dell’Aja diede vita ad una Corte internazionale di arbitrato e tentò di porre un limite agli armamenti, a cui seguì una seconda Convenzione nel 1907, ma la terza programmata per il 1915 venne annullata dalla Grande Guerra.


IL CONCETTO DI GUERRA GIUSTA NEL XX SECOLO

Nel XX secolo all’ideologia quale causa di conflitti, si aggiunge la crescente potenza della tecnologia e l’intervento nei conflitti europei di una potenza industriale di matrice europea, ma esterna al continente, che viene a dissolvere lo “jus publicum europeum”, affiancandosi involontariamente all’ideologia dissolutrice della “nuova Russia socialista”.
Causa ultima di un ritorno alla giusta causa del “bellum justum” è la stessa Europa, in cui il continuo rilancio verso una guerra totale, tesa ad una vittoria totale, vedasi il caso della guerra sottomarina totale tedesca del 1917, porta alla dissoluzione etica dello “jus pubblicum europeum”.
Nasce l’idea di Wilson della dottrina del “bellum justum”, conseguenza ultima della guerra totale e della sua demonizzazione del nemico, circostanza aggravata dall’essere il mondo in quella fase storica eurocentrica. Anche il proposito di legare il territorio alla nazionalità quale metro per la formazione dei nuovi confini statali, fu solo un espediente per raggiungere fini che oggi definiremmo geopolitici e di cui fece le spese l’Italia.
Tuttavia la teoria del “bellum justum” presuppone l’esistenza di una autorità morale superiore che funga da giudice, nonché di una serie di norme che nel regolare i rapporti permettano di dichiarare giusto l’intervento per reprimere una loro violazione.
La concezione universalistica wilsoniana fa sì che coloro che violino le norme diventino banditi, fuorilegge, pirati e come tali trattati.
Vi è pertanto la necessità di creare un organo superiore che amministri e regoli i rapporti fondamentali tra Stati, non essendovi più l’autorità morale del pontefice romano propria della repubblica cristiana in cui Imperatori, principi e comuni si riconoscevano.
La Società delle Nazioni e l’ONU sono il prodotto dell’originale concezione cosmopolita wilsoniana, a cui si aggiunge, sempre in termini universalistici, per tutto il ’900, l’autorità che si arroga l’URSS in campo socialista, quale casa madre primigenia. Dopo il 1945 si passò da cinquanta ad oltre centocinquanta Stati indipendenti, molti dei quali attraverso insurrezioni e guerre con successive ambizioni belliche, un risultato non molto brillante nel controllo dei conflitti.
La violenza e l’ampiezza del conflitto, che la moderna tecnica permette, fa sì che la trasformazione da conflitto inter-statale a lotta per l’esistenza, dà voce alle più estreme teorie nazionaliste, etniche e di lotta sociale.
Tutti i fantasmi che si erano formati nell’Ottocento emergono, rafforzandosi a vicenda, giustificando per tale via la teoria wilsoniana, quale tentativo di riportare gli Stati ad una convivenza regolata giuridicamente.
La richiesta all’art. 227 del Trattato di pace di processare il Kaiser ed alcuni altri esponenti politici e militari tedeschi quali criminali di guerra, sebbene non abbia avuto seguito, pone le basi per i successivi processi ai criminali di guerra della II Guerra Mondiale e delle guerre balcaniche e medio-orientali a cavallo tra XX e XXI secolo.
Scelle sottolinea che in un sistema quale quello della Società delle Nazioni la guerra non ha più spazio giuridico, perché se giusta non è più guerra ma solo operazione di polizia internazionale, se ingiusta è solo un crimine e come tale deve essere trattato.
Giustamente osserva Schmitt che la coerenza di un sistema teorico giuridico non è determinata da una sola idea, bensì dal collocare adeguatamente un concetto entro un sistema di concetti.
Nasce tuttavia il problema dello “Stato terzo”, ossia di colui che non aderendo alla Società delle Nazioni non rinuncia all’autonomia del proprio giudizio sulla guerra intrapresa, né potrebbe essere giudicato con i parametri di una organizzazione internazionale a cui non aderire.
Churchill avvertiva la pericolosità di un Tribunale dei vincitori, composto e diretto dai vincitori, e ne aveva espresso le perplessità, anche giuridiche, con l’osservazione che nella prossima guerra si poteva essere dall’altra parte!
Considerata di per sé giusta una guerra di legittima difesa, circostanza che porta ad una netta distinzione dalle guerre giuste e dalle guerre sante, Walzer ammette tra le guerre giuste oltre all’autodifesa la rivendicazione di un proprio diritto violato. Resta tuttavia il problema dell’esistere o meno del diritto violato, che può talvolta essere dubbio, senza che tuttavia possa esservi un riconoscimento da una autorità etica superiore universalmente riconosciuta.


GUERRE NON CONVENZIONALI

Altre forme di guerra sono le guerre civili, dove il nemico perde umanità acquisendo aspetti demoniaci e con essi i diritti, non vi sono più i limiti delle relazioni tra Stati ed i rischi crescono con il crescere delle forme autoritarie di governo, dove gli esseri sono mezzi e non fini.
Le aumentate relazioni economiche diminuiscono il pericolo delle crisi militari, senza tuttavia eliminarlo, non potendo escludere la sempre possibile “politica di potenza”.
La stessa “intensità” della guerra varia con l’introduzione delle nuove tecnologie, dove può esservi e consumarsi un attacco strisciante, difficilmente individuabile come una classica guerra, l’opinione pubblica attraverso i nuovi mezzi di comunicazione di massa risulta essere facilmente manipolabile, come i sistemi di controllo degli Stati avanzati risultano possedere una propria fragilità paralizzante e tale da destrutturare gli stessi.
Gli attacchi risultano difficilmente identificabili, in una riedizione di guerra asimmetrica, tutti i possibili vecchi parametri risultano insufficienti se non svuotati, né organizzazioni sovranazionali sono in grado di produrre un qualsiasi giudizio.
Come si manifestano guerre condotte per interposta persona da gruppi privati assoldati per l’occasione, secondo una riedizione moderna delle compagnie di ventura del XIV e XV secolo. Tale evoluzione annulla il significato dell’aforisma citato all’inizio, in quanto, mentre un tempo non esisteva uno Stato senza un esercito, oggi, come nel caso dei mongoli nel Medio Evo, esistono eserciti senza Stato (almeno ufficialmente) e Stati “autoproclamati”.
Il venire meno della divisione del mondo in due blocchi ed il contemporaneo accrescersi di accordi multilaterali che hanno dato vita a nuove organizzazioni sovranazionali, hanno permesso di consacrare definitivamente la sacralizzazione della guerra.
L’autorità etica medievale del pontefice romano è rinata, trasferendosi nella superpotenza rimasta al termine della Guerra fredda che, nume tutelare per peso economico, tecnologico e morale delle organizzazioni internazionali, determina la scomunica degli Stati definiti “canaglia”, a cui può pertanto non applicarsi lo “jus bellum” del “nemico giusto”.


CONSIDERAZIONI FINALI

La conseguenza ultima di questo processo del ’900, iniziato con la Grande Guerra, è la perdita della “proceduralizzazione” della guerra, ossia di quegli atti amministrativi di politica internazionale che, nel confermare l’esistenza di un reciproco riconoscimento, permettevano di incanalare laicamente la violenza bellica.
La violenza della Grande Guerra, la sua estensione nello spazio e nel tempo, costrinsero a sacralizzare il sacrificio, identificando i caduti con il corpo mistico della Nazione, ma la Nazione non è sempre coincidente con lo Stato, neppure in relazione con i nuovi Stati voluti da Wilson.
Questo condusse a distinguere tra “giusti” e “ingiusti”, tra coloro che perseguendo il bene adempivano ad una volontà superiore e coloro che lo negavano, la guerra da “giusta” si sacralizzava in una guerra dai caratteri “santi”; così che l’aspetto eucaristico che la Nazione e i suoi alleati vivevano attraverso la guerra demonizzava il nemico, tanto che una volta sconfitto questi doveva fare opera di contrizione e scontare i suoi peccati per una possibile futura redenzione.
D’altronde è pur vero che il violare sistematico delle regole procedurali internazionali relative alla guerra, come la violazione improvvisa dei patti senza previa denuncia o l’aggressione senza formale dichiarazione, legittimano la visione sacrale della guerra “giusta” e la demonizzazione del nemico.
Si può quindi concludere con le parole di Hillgruber, “In questo modo Roosvelt ottenne la possibilità di realizzare i suoi obiettivi, che avevano una portata globale quanto quelli di Hitler. Egli aspirava né più né meno che ad un ruolo-guida mondiale indiretto per gli USA. Tale ruolo, tuttavia, fondato com’era su principi liberal-democratici, lasciava agli altri Stati, grandi o piccoli che fossero, uno spazio di manovra autonomo relativamente grande. E al contrario della rigida determinazione di Hitler, ancorato ad assiomi ideologico-razziali, (…), il ruolo-guida americano era suscettibile di applicazioni e adattamenti a situazioni e congetture nuove e impreviste” (93, Hillgruber A., Storia della 2^ guerra mondiale, Economica Laterza, 1994).
Con tali presupposti si pone la domanda di J. Keegan: la guerra potrà mai finire?


Bibliografia

Bonanate Luigi, La guerra, Ed. Laterza, 2011;
Bonanate Luigi, Prima lezione di relazioni internazionali, Ed. Laterza, 2010;
Keegan John, La guerra e il nostro tempo, Mondadori, 2002;
Renan Ernest, Che cos’è una nazione, Archinto, 1994.
Schmitt Carl, Il concetto discriminatorio di guerra, Ed. Laterza, 2008.

[continua]


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