Gli ultimi due versi legati al collo,
mostrati come fiori all’occhiello.
Gli ultimi due versi
che galleggiano sul foglio.
Io e lei e ogni piccola altra cosa
Non ho chiesto niente
alle fragili ossa del mio cranio
ma ho sempre sperato
in un loro cedimento
per lasciare finalmente
sgorgare quello che ormai da anni
mi picchia dentro
con la forza di un giovane pugile
sulla cresta dell’onda.
Ho pensato spesse volte
che tu eri la prolungazione della morte
e ti divertivi a invertirti
con il giorno per farmi innervosire
nella speranza di un mio passo falso.
Sono stato paziente e ho conversato
con i pazzi per eludere le persone normali
e adesso che ci troviamo faccia a faccia
posso vedere i tuoi grandi occhi,
non più così grandi,
e tutto quello che ho dentro
riflettersi in ogni piccola cosa
come nelle pause tra una parola e l’altra
o negli attimi di indecisione nell’ordinare un’altra birra
o meglio nei sogni che tu mi hai indotto a fare
e che ho fatto miei come un ladro d’appartamento.
Per la mia debolezza
Ho cercato di afferrare la tua carezza
ma è scivolata dalle mie mani
e ho temuto che si rompesse.
Nel buio del bagno
mi sono illuso per un attimo
di poter sparire con l’acqua,
essere soltanto un’azione
facilmente dimenticabile,
e lavare tutte le mie budella
regalando l’anima
alla forza di gravità.
Ogni tanto rido davanti allo specchio
perché so che non ci
riuscirò mai;
in segreto ho versato lacrime
mentre tu ti truccavi
e sono stato attento a non far rumore
perché in quel momento
avevo una gran paura
che tutto crollasse
che tutto implodesse
senza che io potessi più scrivere
sullo specchio appannato
ci vediamo stasera.
Come polvere sarò
Non sono in grado di trovare
il punto dove posso sedermi
e godere la luce della luna
e capire se dentro questi organi
c’è un filo conduttore.
È un alternarsi di stanze vuote
e di patetiche lusinghe
in buchi vuoti
mentre le vuote palle degli occhi
fissano l’oscurità,
la fissano intensamente
e subito dopo la dimenticano
e di nuovo la fissano
ricominciando a sanguinare.
Un sangue nero che scende dalle scale
che ingrassa la civetta e il suo verso.
Siamo improvvisamente dentro a una stanza;
ad alcuni la politica piace
(a tal punto da morirci)
e piace alzarsi la mattina presto per prendere
coscienza che gli alberi e il sole
e il mare e tutto ciò che c’era prima di noi
tra un po’ sarà sparito.
A me piace stare rinchiuso
e pensare che quando avrò la forza di uscire
ci siano gentiluomini che guidano aironi
e le radio trasmettono musica nuova
e le code metropolitane siano polvere
come polvere è la giacca e la cravatta
come polvere sarò io
come polvere sarà questo foglio
ma non le sue parole.
Mucche rosa sulla mia schiena
Il rosso del semaforo mi sbatteva in faccia
quello che per tutto il giorno (e forse per tutta la vita)
ho cercato di non dire.
Avevo un piacevole nervoso che
saliva dalle gambe come una burla
che piano piano prende coscienza di sé
e ti piomba addosso come un treno impazzito,
guidato da un macchinista impazzito
o soltanto in ritardo,
o solamente deluso.
Sono rimasto immobile con delle crepe
nel cranio e attendevo qualcosa,
qualsiasi cosa che funzionasse da diversivo,
ma il semaforo è diventato verde ed io sono dovuto partire
e rientrare nel circolo vizioso dei miei pensieri boccheggianti
come pesci poetici di parole salmastre sulla banchina.
Cosa sono queste lacrime sulla mia faccia,
cosa sono, mi chiedo, le tarantole sui miei piedi,
cos’è il suo bacio e il suo morso
se non un momento in più per dire a me stesso
hai perso ancora, devi andartene
devi eliminare tutta questa poesia noiosa
che entra come un cancro nei polmoni.
Stasera forse darò una piccola festa,
sceglierò i miei invitati dal riflesso
del finestrino della loro auto
e servirò per cena qualcosa di delicato
anche se di delicato ci sarà soltanto
il silenzio dopo che tutti se ne saranno andati
e la quotidiana condanna della luna
che in un angolo della casa disegna mucche rosa
sulla mia schiena.
La mia notte
Questa notte è come un serpente
tortuoso dalla coda di donna
che graffia e sputa fuoco
e rende le tue mosse dolci caramelle
abbandonate in un contenitore opaco.
Questa notte, la mia notte
mi sorprende a specchiarmi
nel foglio bianco,
ancora una volta
come tante volte già scritto.
Ho un tappo all’incirca tra lo sterno
e qualche altra cosa più sotto,
fa male ma sopporto
non proprio da eroe.
Ho cercato questa mattina
tra le macchine
e tra i semafori
qualche traccia della mia notte
ma ho ricevuto soltanto multe
che si accumulano ad altre multe
e tornando a casa sconfitto
ho sentito che quel maledetto tappo
era ancora lì.
Sentirsi attratti follemente
da tutto ciò che non è umano
sentirtelo addosso come la calura estiva,
battendo tutto te stesso contro
i crimini più brutali.
È una questione di sangue freddo;
come i vecchi film anche tu
hai bisogno di qualche restauro.
Una donna di marmo
con cosce dure
e labbra di spada; un rischio
che vale la pena correre
e c’è chi corre velocemente
e chi ogni tanto si ferma ad ammirare
quello che molti fanno finta di non vedere
(io non vedo dietro ai muri
ma semplicemente osservo le rose nascere
e poi morire).
Questa notte è un lungo corrimano
dove sopra ci puoi vedere deserti
e parole scisse
e tarantole colorate
e la mia espressione che dice
non chiedere
più
niente.
Settimo giorno
Il settimo giorno è già finito
ed io sono ancora seduto
sulla tazza del cesso
a parlare con le pareti
dando un tono alla mia pazzia da civile.
Il settimo giorno è già finito
e la nave sta salpando;
l’ammiraglio piange perché
ha lasciato la sua donna
mentre i marinai bevono whisky
per dimenticare i loro amori
e i gentiluomini a terra
gettano già il loro corteggiamento.
Il settimo giorno è già finito
e si sta puntando sull’ottavo;
milioni di persone
si sentono realizzate guardando
i loro simili mentre mettono in mostra
quello che già si sapeva sul loro conto;
la giostra gira al contrario,
l’orologio ci avverte che i frutti
stanno marcendo
e che i nostri vestiti sono diventati
stretti, troppo stretti
per poter uscire ancora di casa.
Il settimo giorno è già finito
ma la campagna elettorale va avanti;
il crocifisso si piega
e la gente mi guarda pensando che sia pazzo.
Prendimi sulla tua schiena,
studieremo il piano di evasione
e con una lama fra i denti
ci spoglieremo
davanti al grande centro commerciale.
Il settimo giorno è già finito
ma la trappola per i topi
non è scattata;
il virus avanza;
dopo la curva c’è ancora
un pezzo di città
e dopo l’orgasmo
c’è tempo per un’altra poesia.
Il settimo giorno è già finito,
la buca è stata scavata tutta,
i vermi aspettano ingordi
mentre l’inferno e il paradiso
si sciolgono in un
banale temporale estivo.
Specchio
Sei stata lontana per un po’
E mi sei mancata.
Sei stato lontano per un po’
E mi sei mancato.
Dobbiamo vederci.
Sì, vederci assolutamente.
Nient’altro?
No, credo di no.
Un posto caldo
Rimane poco tempo per stare soli
e solo era stato ore ed ore
a guardarla alla finestra
mentre lei fumava sigarette
e la cenere scendeva
come neve polverosa e minacciosa
che a terra si scioglie immediatamente.
La luce del lampione
era l’unica testimonianza
di una realtà andata in mille pezzi
a giocare ai soldati
nel cortile del vicino.
Al bar era sempre la stessa cosa,
milioni di teste mozzate
che rotolano sul bancone
e altrettante usate come palloncini
debitamente tenute da non più giovani donne
con il rossetto sbavato e i seni cascanti.
Il barista si è preso una pausa;
il tempo continua ad arrampicarsi
sulla mia schiena,
sulla terra,
sulle birre sgasate,
ma nonostante tutto rimaniamo convinti
che tutto possa fermarsi
o perlomeno che diventi una grossa tartaruga
con un guscio simile ad una miniera d’oro.
Beviamo ancora un po’,
gli amici non mancano per questo,
e le labbra supplicano liquidi;
il tempo non piange mai
ma ci piace pensarlo ogni tanto
forse semplicemente per scagionarci.
Dov’è quella fumatrice?
È scappata con una pelliccia
(il barista è ancora fuori servizio
mentre il fumo si anela nei canali di Amsterdam).
La mia corazza ha bisogno di un posto caldo,
forse possiamo trattare per un prezzo ragionevole…
altrimenti beviamoci su
e mangiamo altra cenere.
Le vite scorrevano in vino
e architetti progettavano case
per le nostre fughe notturne.
L’alba è lontana,
non siamo del tutto ubriachi
per regalare ore al CASO.