Ad Adriana, Diana, Stefania e Grazia
che tutti i giorni mi riempiono il cuore.
In ricordo del fratello Franco
LAMENTO ISTRIANO
Esule andrai per le strade del mondo, Popolo Istriano,
portando teco il tuo bagaglio di nulla.
Non vedrai più i natii colli verdi di speranza,
in un mattino che non verrà, non sentirai più
la dolce cantilena del noto mare,
mare di pianto dagli occhi smeraldini.
E canti la tua povera Patria abbandonata
ad aspro destino; ormai giace in agonia
l’amato lembo di terra divenuto straniero.
Cosa sarà di te Istria se si schiude la corolla
del fiore più bello? Addio Penisola incantata,
dal cuore generoso, Madre, linfa e alimento
della mia tenera età. Ti lascio diletta,
e amaro sarà il cammino di chi con pene
e affanni tanto lottò per l’italico suolo.
Filzi ti donò il fiore di vita ancora rigoglioso;
ora anche l’opera nostra si sgretola e sfalda
come zolle avide d’acqua piovana.
Fiorente per un abbondante raccolto
lascerò i miei frutti a ben altro lido.
Estraneo sarà per te l’idioma di gente
sconosciuta, usanze nuove ti sconvolgeranno:
mia Patria sofferente. E per me gli anni
trascorsi in dolci incanti finiscono a un tratto.
Sono come bambina ai primi passi, passi incerti
di chi non ha domani. Silenzioso sarà il mio
andar verso ignara sorte, né lamento ci sarà
nel mirar la sperduta sponda. Ormai le illusioni
riposano al di là della frontiera e la notte
senza sogni nasconderà il volto triste.
Cercherò l’aurora per un nuovo giorno
e forse nel mondo sorriderà ancora primavera.
Poesia premiata (annesso alle elegie) nel 2° Concorso Nazionale d’Arte 1971 Catania; Primo premio di poesia “Colonnina d’Oro” a Silvana Ghersetti “Lamento Istriano”.
ELEGIE ISTRIANE
I
Troppo silenzio sui luoghi della memoria,
lamento dell’estraneo giorno là sul ramo
reciso fermo nel tempo, dove più canta l’usignolo…
Dimmi come integrarsi in altri lidi, dal momento
che scivola la speranza senza dono di frutti?
D’un tratto più sfavillano gemme sul nostro
orizzonte, trionfo di primavera muto d’uccelli.
Nido natio costruito nell’avventura del suo cielo,
non trova più ascolto dinanzi al barlume del sole.
Oblio dentro barriere invalicabili, soste obbligate
per trovarsi in nessun luogo; per espiare quale colpa?
Non bastano i richiami della Patria, se s’annulla
la cadenza dei nostri passi in mezzo al nostro futuro.
II
In nessun luogo vedremo la bellezza nel nostro
mattino nostalgico rimpianto là verso mirabili
spazi fermi nel tempo tra sogno e realtà.
Più elevarsi tra stelle d’ogni nostra stagione,
quella ruota che girava sull’asse dell’universo
simulando il richiamo d’una patria che più riappare.
Per sempre fissato l’albero nella memoria, rivisto
dagli occhi del cuore, spicchio di luce che appare
nel livido inverno, ombra in un fiatare nella vita.
Enigmi nell’alone del silenzio, parole rimaste
del nostro morire e rinascere fuori dalla storia.
Se la pupilla di Zeus ha decifrato elementi
dei tuoni e dei lampi sul richiamo della notte,
cos’è nei tempi che scavava la strada del destino?
Disegno di sogno nel fruscio della sua anima
di giunco, rifugiarsi nell’essenza dell’infinito.
III
Linfa prodigiosa riappare all’invito degli dei,
palpito di bellezza con ogni parola si fa silenzio.
Questo vago mattino dove le nuvole disegnano
l’amato suolo giuliano, ombra infinita di tenebra,
esaspera le grandi distanze e scolora i giorni…
Trovarsi nell’uragano che trascinava l’inno di pace,
sacro appiglio che più riconosce il tricolore.
Noi erranti senza ali spogliati dall’identità,
il nome sfuggito dall’anima per annotare
versi bruciati sullo smarrimento del nostro destino…
L’esistenza vaga in balia del tempo, traccia
il sortilegio d’un mondo che ci disperde
al respiro fatale, per essere stranieri in patria.
A nulla sarà valso il nostro canto dentro fugaci
spazi d’un foglio mai scritto della Storia;
pagine ignorate e disperse alla deriva del silenzio…
IV
Nei giorni di fuoco l’offuscarsi delle stagioni
sulla terra, aveva intorno segni di libertà.
La fede svaniva per sempre in vortici di stelle.
L’obiettivo infernale disegnava il nostro destino,
segni di guerra indelebili, nel cuore e negli occhi.
Restiamo rannicchiati su noi stessi ad ascoltare
sentenze di persone lungo strade senza sbocco
e quel franare delle cose sulla nostra ombra.
Le mani sfiorano il tricolore tra le soste obbligate,
triste ritmo ritrovare la via col fiato del cielo
senza più richiami di fiamma nel nostro petto…
Calamità in quel pellegrinare verso l’ignoto destino
dove nel gelo fuggiva il cuore, vento di tramontana
fatale, ritmo del dolore immane su chi aveva osato
oscurare l’ora terrestre: miraggio a ritrovare la via.
Niente sarà paragonabile al brivido della luna,
al suo sorgere verso i silenzi d’un’altra sponda.
Fermento d’ostilità, ritmo sul sentiero dei nostri
passi, baratro che scava l’animo senza difesa…
V
Non più saluti festanti, ma granito di parole,
cui tutto traboccava fino l’estremo confine,
vertigini a scolorare giorni sull’ignoto destino.
Quel lido natio, l’affinità dialettale maturava,
integro e solenne, il ritmo delle parole perdute
nell’immobilità del sole, le carezze del quotidiano.
Dover sobbalzare al lampo dell’invasione,
tenebra che oscurò l’orizzonte del nostro Paese.
Patria integra con sentimenti l’italianità
portati nell’animo. Sgretolarsi ai ripetuti schianti…
Dov’è quel frammento di verità giuliana,
sfuggita al vaglio della Storia? Pagine d’un
passaggio biblico, affidate alla voce del dissenso.
Lacuna di semi dispersi del passato in mezzo al nulla.
Scisma per scoprire ossa dei padri nell’anonimato,
senza sepolture, bianchi gigli dentro cripte buie
per non aver avuto asilo, nel risveglio tra gli angeli…
VI
Sai tu della rugiada, come lacrime su fiori,
nel risveglio incolore che ignora il mattino?
Nell’ombra, vibrare, di antiche radici, come preghiera
incolore sull’albero del fallimento della memoria.
Andare indietro nel tempo, primordi d’un libero
spaziare nell’origine antica delle nostre sacre terre.
Un traboccante abbraccio sulle pause del latte
materno, remoti gesti d’allora, eventi di luci e suoni,
palpitante vita che scandiva i passi infantili.
Melodie di pace al soffio di primavera tra fugaci
viole, un echeggiar di pupille sfuggite dal cuore…
VII
Il colore della mia terra ferma nel tempo,
simbolo di sogno intorno a remoti paesaggi,
disegno inafferrabile e fluente realtà, in quei
risvegli dei poeti a sublimare l’ispirazione.
Bellezza traboccante di messaggi, parole
di vita farsi nenia verso l’ignoto destino.
Pause sonnolente, come un sogno adagiato,
quando il ricordo riappare in quella parte.
Idealismo, sempre fissato nella memoria.
Più risuona la sorgente originaria che appagava;
battiti sentimentali infrangersi nel nostro petto.
Lungo il vicolo discendeva la nostalgia, musica
in ogni nota a vincere la sorte come preghiera…
Imprigionando i luoghi delle mie soste, devastando
la natura benevola, bruciando ninfee solari,
radici indelebili, doni della terra farsi deserto.
VIII
Resterà soltanto un paesaggio argilloso, ferite
d’un mondo perduto, senza sinfonie d’acque,
tracce istriane sparire con nobili cenni di verità.
Laggiù i mughetti tra la neve, fiori di pace dentro
la mente, a nutrire versi di cantori e araldi.
Attimi del quotidiano senza attingere più linfa vitale.
Dover ignorare l’affinità nei colori delle stagioni,
di questa tavolozza sfuggita di mano, come stelle
vaganti che si diramano nel brivido del cosmo.
Vittime dei percorsi appena abbozzati sui confini,
celando libertà per più riconoscerci su quelle terre.
Si esaurisce la brezza benefica dell’infanzia,
quei teneri cenni col fiato materno, pura essenza.
Innalzarsi verso i grandi eventi che il tempo divora.
L’impronta di noi, trovarsi altrove, per estinguersi
dentro l’ignoto destino su tutto quello che fu allora.
Le nostre vite spirituali spinte a cercare riparo
sull’albero ricolmo di frutta, serenità nel moto
del vento con la nostalgia di casa sulle nostre labbra.
[continua]