1
La sveglia suona le sette di una noiosa mattina d’autunno. La città si sta svegliando: le saracinesche dei negozi, il passaggio dei primi tram, il camion della spazzatura e del lavaggio delle strade.
Moana, avvolta in un morbido accappatoio rosa, si prepara il primo dei tanti caffè che scandiscono la sua giornata.
Sul tavolo la lettera di sua madre. Poche frasi, quasi anonime, annunciano la morte della nonna.
«…ci vediamo per Natale.
A presto, mamma»
Sua madre non è una donna di tante parole, non lo è mai stata nemmeno quando Moana era una bambina. Il suo fare asciutto e distaccato l’aveva imbarazzata più di una volta. Quella lettera così telegrafica non tradiva il suo stile. Essenziale, quasi eccessivamente fredda, considerata la circostanza.
Sorseggiando il caffè, Moana cerca di ricordare il volto della nonna.
Moana aveva vissuto con la nonna ad Auckland fino all’età di nove anni, quando la sua famiglia si era trasferita a Hong Kong per seguire il lavoro del padre, diplomatico inglese.
I suoi ricordi sono vaghi e confusi. Ricorda l’immensa campagna che circondava la casa, il porticciolo e la barca del nonno. La grande casa di legno, il profumo dei mobili, l’aria di mare che entrava dalle finestre di solito aperte. Il giardino e il vecchio cane Arturo di cui lei aveva paura. Ricordi che si confondono a rumori e profumi difficili da descrivere e da ritrovare.
Nonna Tanya era stata sempre una figura misteriosa. Una donna imponente, alta, robusta. Dai lineamenti marcati, la pelle scura, due grandi occhi neri sempre lucidi. Il viso truccato, o meglio decorato da tatuaggi che, formando delle linee curve intorno agli zigomi e sul mento, le dava l’aspetto di una divinità dei boschi di cui si legge nei libri di favole. Un volto particolare quasi una maschera sorridente e bonaria.
Quante volte aveva intrattenuto fino a notte fonda le sue compagne del college raccontando dei suoi nonni maori e della loro casa in Nuova Zelanda.
Tra fantasia e realtà aveva mantenuto vivo il ricordo della sua infanzia, il suo affetto per i nonni era intatto. Ogni Natale riceveva una bella lettera del nonno e un regalo dalla nonna, ogni anno trovava il tempo per una vacanza anche di pochi giorni con loro. E tutte le volte era una sorpresa, sembrava che là il tempo non passasse mai, come se nella grande casa di legno le sue angosce e le preoccupazioni si dissolvessero.
Ora che la nonna è morta si sente sola, si guarda dietro e vede un buco, un baratro, una stanza vuota e buia, dove è inutile tornare. Ad Auckland è rimasto il nonno cui è molto affezionata. Non può rimandare deve andare subito in Nuova Zelanda, certamente ha bisogno di lei, della sua piccola principessa, com’era solito chiamarla.
«Buon giorno.»
«Giorno tesoro.»
«Allora hai deciso di andare?»
«Non lo so ancora. La mamma scrive che non serve, arriverei comunque tardi per la cerimonia funebre.»
«Tu vuoi andare?»
«Sì. Vorrei partire domani.»
«Allora che cosa aspetti? Vestiti e vai a fare il biglietto.»
«Mamma insiste che non è il caso. Dovrei annullare tutti gli appuntamenti. Forse è meglio andare insieme a Natale.»
«Sei ancora così condizionata da tua madre? Forse avrà solo calcolato che, se vai ad Auckland adesso, sicuramente non ci tornerai per Natale per il suo grill natalizio.»
«Smettila di essere cattivo con lei. Sono sicura che lo abbia detto solo per non farmi sentire a disagio.»
Luca sorseggia il caffè scuotendo la testa, non ha mai nutrito simpatia per la madre di Moana.
Si alza e si affaccia alla finestra, la sua figura magra e slanciata ricorda quella di un ragazzino cresciuto troppo in fretta. Si ravvia i folti capelli ricci ormai screziati di bianco, e assorto nei suoi pensieri, resta a fissare la sua immagine riflessa nella finestra.
L’aria pungente del mattino è una benedizione. Sferzata dal freddo e traendo respiri profondi, Moana cammina lenta verso il suo studio; è illuminante provare sulla propria persona i consigli che ogni giorno dà ai suoi pazienti.
Dopo la laurea in psicologia era subito entrata a lavorare in un grosso studio di Milano, e dopo solo un anno aveva deciso di mettersi in proprio, non condividendo in toto le modalità di cura dei suoi colleghi.
Aveva subito riscosso grande successo e molti dei pazienti l’avevano seguita perché sapeva trasmettere calma e fiducia, anche se giovane, aveva dimostrato di avere una grande dote di comprensione e compassione.
Lavorava tutti i giorni fino a sera tardi e a volte anche il sabato. Dava la sua reperibilità anche durante il weekend anche se i pazienti molto raramente la chiamavano.
«Buongiorno Clara. Chiamato qualcuno?»
«Buongiorno dottoressa. No, non ancora. La signora Molini è già in studio, è arrivata in anticipo.»
«Per favore fammi un elenco dei miei appuntamenti da oggi pomeriggio fino a due settimane.»
Seduta sulla poltroncina di pelle, la signora Molini aspetta con lo sguardo rivolto verso la finestra e le mani in grembo. Come sempre è molto elegante e fresca di parrucchiere, ben truccata e carica di gioielli. Come fanno certe donne a essere impeccabili sin dalle otto del mattino è sempre stato un mistero per Moana.
La sua tenuta casual e il suo taglio alla maschio creano un forte contrasto con quella donna così curata. Ma agli occhi della signora Molini Moana ha qualcosa a cui lei anela da tanto tempo: la tranquillità interiore e una sicurezza invidiabile.
«Buongiorno come andiamo oggi?»
«Salve dottoressa, meglio grazie, non me la sono sentita di annullare la seduta. Venire da lei mi è di grande aiuto. È successa una cosa e volevo assolutamente raccontargliela. È morta la mia nonna materna.» La coincidenza agita Moana.
«Quando?»
«Non lo so, forse una settimana fa, la notizia mi è stata data da una cugina che vive ad Aosta.»
Moana annuisce e scrive nonna sul blocco che ha di fronte.
«Le era affezionata?»
«Sì. Anche se non la vedevo da molto tempo. Questo mi ha fatto riflettere sulla vecchiaia. La nonna era ancora una bella donna nonostante i suoi ottant’anni. Tutti in famiglia dicono che io le somiglio molto, anche fisicamente, non ho ragione quindi di preoccuparmi nonostante l’avanzare dell’età…» la signora Molini parla con un tono sicuro alzando la voce, mentre Moana riflette sulla coincidenza di quella mattina.
La nonna le aveva insegnato che nulla accade senza un motivo.
«…E così ho deciso di partire per Aosta questo pomeriggio. Starò solo una decina di giorni, ma sarà sufficiente per partecipare ai funerali e salutare i parenti.»
«Mi sembra un’ottima idea. Suo marito verrà con lei?»
«No, voglio fare questo viaggio da sola.»
Moana ha ottenuto tutte le risposte che le servono. Congeda la sua paziente e prenota i voli per Auckland. Sarebbe partita il giorno dopo.
Chiusa in camera Moana fa e disfa in continuazione la valigia.
«Così non finirai mai.»
Luca appoggiato alla porta la guarda sorridendo.
«Questo è troppo caldo, con questo però prenderò freddo. Questo è troppo formale, e quest’altro è troppo sportivo.»
«Stai dando troppa importanza a questo viaggio.»
«Voglio solo fare una buona impressione a mia madre.»
«Ci risiamo, ancora tua madre. Ma, non stai andando a rendere l’ultimo saluto a tua nonna? Pensa a lei e non a tua madre. Come ti vedeva lei?»
«Vorrei che mia madre mi vedesse bella, serena e tranquilla…»
«Non lo sei? Non ancora, vero tesoro?»
«Non completamente, non sempre. Ci penso quasi tutti i giorni. Pensa che gioia sarebbe stata poterle dire “presto avrai un nipotino”. Invece…»
«Ci riproveremo, lascia passare qualche mese l’ha detto anche il medico. E poi devi rallentare con il lavoro e vedrai che sarai una bellissima mamma!»
«Avrei dovuto dirle che avevo perso il bambino. Forse mi avrebbe consolato, sarebbe venuta qui…»
«Sì a farti lasciare il lavoro dandoti dell’irresponsabile. Ormai è passato. Quando sarai ad Auckland, forse ti verrà la voglia di raccontarle cosa ti è successo.»
Moana mette in valigia abiti comodi, sportivi e un abitino scuro da indossare durante la cerimonia, un libro da leggere durante il viaggio e la lettera di sua madre.
Cara Moana,
Mi spiace doverti comunicare che la nonna è mancata questa settimana. Si è spenta nel sonno mercoledì notte. Avrei voluto chiamarti, ma per telefono mi sarei commossa e non volevo intristirti, piccola mia. La nonna Tanya ha lasciato una lunga lettera come testamento materiale e spirituale. Ti nomina più volte e ti ha fatto un lascito.
Quando verrai per Natale, avrai tutto il tempo per vedere di cosa si tratta.
Ci vediamo per Natale
A presto, mamma.
Ps. Non è il caso che tu venga per la cerimonia funebre.
Moana rilegge più volte la lettera durante il viaggio, e ogni volta le sembra che manchi qualcosa, che la notizia non sia completa. Conosce troppo bene sua madre per non sapere che la sua assenza alla cerimonia funebre si sarebbe notata.
L’allusione a quel lascito e al fatto che la nonna la nomini spesso nella sua lettera, sono indizio che c’è qualcosa che avrebbe dovuto sapere e che sua madre deliberatamente le tace, o non sa.
Moana è l’ultima di quattro figli, unica femmina, è stata sempre coccolata e viziata dalla nonna. I due vecchi hanno sempre avuto per lei delle attenzioni particolari. La nonna passava il pomeriggio a raccontarle la storia della tribù maori in cui era nata. Le mostrava le foto del nonno: il grande guerriero, in tenuta da caccia. Sopra il caminetto erano appesi il remo della sua canoa e la sua lancia. Erano Maori e appartenevano a una delle più antiche tribù di Auckland.
Ricorda che una volta la nonna, durante una cena con amici, le aveva regalato una bella collana di conchiglie madreperla, pietre preziose e piume colorate.
Ricorda gli occhi degli invitati puntati su di lei e l’applauso quando lei, bambina di soli cinque anni, aveva indossato la collana.
Cullata dai ricordi con la lettera tra le mani Moana si addormenta.
2
L’aereo atterra in perfetto orario, agli arrivi le viene incontro sua madre sorridente.
«Cara Moana! Che bello averti qui. Se devo essere sincera, ero sicura che saresti venuta e quando ho ricevuto la tua telefonata ho pianto di gioia.»
«Come stai mamma? E papà?»
«Papà ci aspetta a casa con alcuni cugini. Ti stanno tutti aspettando. Sarai stanca. Com’è andato il viaggio?»
«Bene. Avete fatto la cerimonia per la nonna?»
«Ah, quasi dimenticavo! È stata rimandata a questa sera. Il nonno quando ha saputo che saresti arrivata ha insistito per spostarla. E così questa sera andremo tutti sulla spiaggia!»
«Sulla spiaggia?»
«Sì, Keri Keri. Le solite stranezze maori di tuo nonno. Hai un vestito da cerimonia?»
«Sì mamma.»
La mamma non cambia mai, sempre elegante e brillante e soprattutto loquace. Sembra che si prepari per andare a un matrimonio anziché al funerale di sua madre.
«Apparenza, mia cara, apparenza. Bisogna imparare a stare, a comportarsi con dignità in ogni situazione!» Moana non è mai riuscita a eguagliarla.
Il suo aspetto era considerato sempre sciatto e trasandato. Non sapeva nemmeno intrattenere gli ospiti con quel lieve parlar di nulla, la chiacchiera di circostanza, dote impeccabile di sua madre. La paura di cadere in quei lunghi silenzi imbarazzanti l’aveva sempre tenuta lontano dalla vita mondana dei salotti milanesi. Aveva amici, pochi, fidati e soprattutto informali.
«Quell’accozzaglia d’incivili dei tuoi amici» come li definiva sua madre ai tempi del college, quando non ne poteva più di avere per casa gente in tuta da ginnastica che leggeva libri di psicologia mangiando popcorn.
Per ironia della sorte ora Moana aveva in cura la crème della società milanese, che sfiancata dalla forma e dall’etichetta era caduta in depressione.
«Mamma, una persona non va giudicata solo dal suo aspetto esteriore, da come parla, o da come si atteggia.»
«Uno zotico resta sempre uno zotico! Non posso credere Moana che con tutti i soldi che abbiamo speso per farti studiare, tu adesso mi venga a rinfacciare che una buona educazione non serve a formare una persona.»
«Non prenderla così. Volevo solo dire che dietro la forma c’è anche la sostanza…»
«La buona educazione è sempre una garanzia ed è una carta vincente quando ti presenti negli ambienti.»
Avevano avuto migliaia di discussioni come questa e Moana si era sempre arresa di fronte alla rigida severità di giudizio della madre.
Il padre diplomatico inglese aveva influenzato molto la famiglia. La madre, Sophie, aveva sempre vissuto una vita d’etichetta, come la definiva lei: ambasciate, ricevimenti, cene erano state la sua vita e l’avevano resa una donna elegante, colta e aristocratica, ma forse un po’ rigida.
La macchina corre sulla statale che dall’aeroporto va a casa Belli.
I coniugi Belli erano tornati in Nuova Zelanda quando Joseph Belli, di origine italiana ma cresciuto in Inghilterra, era andato in pensione. Assecondando il desiderio della moglie, che voleva tornare al suo paese d’origine, aveva comprato una bella casa vicino a quella dei suoceri nella zona collinare di Auckland.
Joseph un uomo piccolo, minuto, nonostante i suoi sessantacinque anni, i suoi capelli ricci sempre un po’ arruffati gli danno ancora un’aria giovanile. Ha un carattere mite e gentile, sempre sorridente e tollerante. Riconosce nella sua «piccola principessa», così chiama Moana, la sua stessa indole.
«Ciao paparino!»
«Ben arrivata principessa! Mi sembri stanca. Purtroppo non hai molto tempo, tra poche ore dovremo andare alla cerimonia. Stai bene?»
«Sì.»
«Vai a rinfrescarti e fare un sonno…»
«La mamma ha detto che devo vedere i cugini che mi stanno aspettando.»
«Li vedrai alla cerimonia. Ci penso io a tua madre.»
Come il solito padre e figlia s’intendono alla perfezione. Moana sale di corsa in quella che era stata la sua camera, e che ora è uno studio. Con la memoria ripercorre i giorni in cui si rifugiava in camera a giocare. Si affacciava alla finestra e guardando il mare sognava di partire su una barca e di girare il mondo. La sedia diventava il suo timone e le tende le sue vele. Navigava per ore, attraversando l’oceano arrivava su isole misteriose, dove incontrava qualche personaggio maori di cui la nonna le aveva narrato le avventure.
Il suo pensiero torna alla nonna e ai pomeriggi passati nel suo giardino, a Silver il grosso gatto certosino che si avventurava sempre sull’orto del nonno.
Dalla finestra poteva vedere il giardino, il prato all’inglese decorato ai lati da aiuole di fiori coloratissimi. Il dondolo, le sedie di ferro battuto bianco, e il piccolo tavolino sul quale aveva passato tanti pomeriggi a disegnare. In un angolo del giardino c’è la casetta di legno per gli attrezzi e di fianco è parcheggiata ancora la macchina a pedali dei suoi fratelli. Quanto tempo è passato e nulla sembra essere cambiato. Gira per la stanza e osserva le vecchie foto appese alle pareti: la nonna e la mamma durante una cena, lei e i suoi fratelli Vincent, Alex e Roberto, la barca del nonno e la lunga rete appesa al muro.
Quel giorno erano andati a pescare e il nonno aveva costeggiato la riva, e indicando la foresta che sovrastava la scogliera, aveva mostrato i confini del terreno che era di sua appartenenza. Nessuno avrebbe mai potuto portagliela via, anche se le carte avevano tutti i sigilli della Corona, lui aveva ricevuto quella terra dai suoi avi ed era un sacrilegio cederla agli inglesi!
«Chi vuole portartela via?»
«Uomini inglesi, Vincent. Gente che crede di poter prendere possesso di tutto quello che trova.»
«Hai un cane da guardia?»
«Bastasse quello, sarei a posto!» Aveva riso il nonno. Poi la barca aveva preso il largo per gettare le reti.
In un quadretto vicino all’armadio c’è la foto del nonno e della nonna il giorno delle nozze. La nonna indossa il costume tradizionale maori e ha una ghirlanda di fiori in mano, il nonno è vestito da guerriero. Il suo fisico massiccio e ben allenato mette in mostra i tatuaggi sulle spalle. Moana sa che Simeon è un uomo di grande carisma, capo della sua comunità, è ancora oggi rispettato e ascoltato.
Un uomo con un grande mana, termine maori che indica autorità, controllo, influenza, prestigio e onore. In passato si era guadagnato il rispetto di tutta la comunità in seguito a diverse azioni valorose.
Il padre di Simeon è un diretto discendente di quella tribù maori che per prima si stabilì in Nuova Zelanda. Spesso nonno Simeon le aveva raccontato la storia del primo navigatore polinesiano. La leggenda narra che Kupe approdò sull’isola intorno al 900 d.C., dopo una lunga traversata a vela dall’isola di Hawaiki in Polinesia. Poiché nel momento dell’approdo una gigantesca nube bianca avvolgeva l’intero paese, Kupe chiamò quella terra Aotearoa – la terra della grande nube bianca – che ancora oggi è il nome maori della Nuova Zelanda.
[continua]