La pedagogia della creatività e l’arte dello scarabocchio: l’essere nel mondo del bambino

di

Simona Leone


Simona Leone - La pedagogia della creatività e l’arte dello scarabocchio: l’essere nel mondo del bambino
Collana "Koiné" - I libri di Religione, Filosofia, Sociologia, Psicologia, Esoterismo
14x20,5 - pp. 112 - Euro 12,00
ISBN 9791259512291

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In copertina: «Orizzonte!» acquerello di Simona Leone


Introduzione

Si può al giorno d’oggi, vedendo le necessità educative proprie di una “società fluida”, parlare di pedagogia della creatività in modo concreto?
Alla luce delle incombenti necessità della società moderna, la quale proietta l’uomo verso orizzonti dal futuro incerto e nebuloso dominati dal progresso informatico e dalla massificazione degli individui, forse un approccio pedagogico-educativo-creativo può farci riscoprire le enormi potenzialità sommerse dell’essere umani, o meglio del nostro essere ontologicamente umani più che umani o umani troppo umani.
Oggetto di questo scritto è il vaglio del concetto di pedagogia della creatività nelle varie sfaccettature che la possono rendere un tassello importante nel bagaglio formativo di un futuro educatore o insegnante. Si è scelto di analizzare il concetto di creatività partendo dal contributo di Roberto Travaglini, che nel saggio Pedagogia della creatività (2020), offre un eclettico excursus sui contributi ritenuti salienti a tale pratica educativa e ci fornisce vari punti di visione del processo educativo-creativo, che vanno tenuti presenti nel momento in cui siamo chiamati ad interagire con le giovanissime “menti-assorbenti” dei bambini in età infantile. Chiaramente tale approccio teoretico alla creatività si deve intrecciare pragmaticamente ad una delle millenarie, primordiali e primitive, forme di espressione del genere umano: lo scarabocchio.
Infatti, lo scarabocchio ci permette di sondare e scoprire il mondo dell’uomo-bambino e di potenziare le sue capacità cognitive e relazionali e il loro evolversi nel corso del tempo e lungo l’arco dei vari contesti di apprendimento. Si procederà alla dissertazione analizzando lo studio dello scarabocchio al fine di comprendere la sua evoluzione tipica e atipica, e quando il disegno può essere foriero di stati psichici che vanno presi in cura o che richiedono un approccio terapeutico. In particolar modo si farà riferimento alla dimensione clinico-diagnostica dell’attività grafica infantile offerta dall’opera di Giulia Savarese in Il disegno infantile tra normalità, disabilità e psichiatria (2011), e ai saggi sulla tematica dello scarabocchio infantile di Roberto Travaglini Pedagogia e educazione dell’attività grafica infantile (2019), e L’arte dello scarabocchio di Michael Günter (2008). L’opera di M. Günter permetterà un focus tematico relativo all’utilizzo nella pratica clinica della tecnica dello scarabocchio da parte del suo inventore, lo psicologo D. W. Winnicott. A questi contributi relativi alla dimensione clinico-diagnostica, scaturente dalla natura grafico-pittorica dello scarabocchio, e agli spunti metodologici per un approccio pratico all’educazione grafica infantile, seguirà l’analisi dell’approccio arte-terapeutico espresso nel saggio di Laura Grignoli Il corpo e le sue gest-azioni. L’arteterapia psicodinamica al tempo delle neuroscienze (2019). Ai mali della psiche umana, che sono soggetto-oggetto delle pratiche arte-terapeutiche, si unirà la riflessione espressa dal concetto di Io-pelle dello psicoanalista Didier Anzieu nell’opera Il pensare dall’Io-pelle all’Io-pensante (1996).
Questo breve saggio, che è stato oggetto di una tesi di laurea, ha come finalità quella di evidenziare le potenzialità pratiche e teoretiche di un approccio pedagogico-creativo nella dimensione quotidiana dei contesti educativi e non educativi, al fine di poter permettere lo sviluppo armonico del bambino come individuo unico e irripetibile, evidenziando come l’attività grafica permetta l’espressione dell’essere nel mondo tout court del bambino, e nel fornire all’educatore strumenti di riflessione metodologica che possano guidarlo nella prassi educativa quotidiana.


La pedagogia della creatività e l’arte dello scarabocchio: l’essere nel mondo del bambino


1. La pedagogia della creatività

Un elemento che accomuna l’uomo lungo il dispiegarsi della storia universale è la presenza di una forte attitudine adattativa e trasformativa. Ma l’uomo non si limita a reagire proattivamente al suo ambiente, bensì l’uomo stesso crea il contesto in cui si muove nella sua storia individuale e nella macro-storia della collettività umana. L’uomo è ontologicamente un animale creativo. Ragionando sull’etimologia del termine creatività notiamo come essa deriva dal latino creãre (criare in tempi più antichi), e significa principalmente tirar fuori dal nulla, e per estensione plasmare, formare, forgiare e modellare. Il processo stesso di crescita cognitiva, sociale, relazionale ed emotiva dell’infante è esso stesso creativo, il suo vissuto personale si innesca su una base ereditaria biologica, che seppur detta le tappe non le controlla, né le vincola, ma piuttosto è la vita stessa del soggetto a “modellarle”, “formarle”, creando così un individuo particolare; un Io irripetibile.
La pedagogia, come scienza umanistica, con uno forte statuto epistemologico e metodologico inter-disciplinare, è chiamata a indagare le pratiche pedagogiche che possano fornire un contributo significativo alle nuove generazioni che vivono nella società post-moderna, dove la creatività può essere la chiave per impostare un’esistenza individuale e collettiva armoniosa e realmente partecipativa, democratica. Nel saggio del pedagogista e professore Roberto Travaglini, Pedagogia della creatività (2020), si delineano un percorso “triadico” per la comprensione del concetto di creatività che si articola in tre sentieri convergenti in una visione «meta-socio-eco pedagogica del fenomeno creativo1», che porta all’elaborazione di un «meta-modello pedagogico della creatività[2] »; il quale può, e soprattutto deve, perentoriamente fornire all’educatore una forma mentis che gli permetta di unire la dimensione teorica e la dimensione pratica della pedagogia nel delicato contesto moderno, per cui la scelta di un modello pedagogico improntato alla creatività non sia una pura scelta politica di facciata, ma una sentita esigenza per rispondere alle problematicità di una società che non è ma che potrebbe essere in un futuro una società realmente inclusiva e democratica. Si rende dunque necessario analizzare i “sentieri investigativi” delineati da Travaglini, singolarmente per poi giungere ad una sintesi d’insieme che ci può far capire cos’è la creatività e come praticarla, e perché ne sentiamo il bisogno, e soprattutto legando tali apporti alle manifestazioni grafiche del bambino e alla sua necessità intima di manifestarsi nel mondo. La creatività, e il vivere creativamente, ci insegna a trovarci sempre al confine, sul limes e non sul limen3 della nostra dimensione esperienziale ed ontologica.
I sentieri investigativi tracciati da Travaglini per comprendere il concetto di creatività sono: l’approccio cognitivista-fattorialista, l’approccio cognitivista-culturale e la creatività in una prospettiva eco-esistenziale. Si analizzeranno i percorsi interpretativi della creatività singolarmente, incominciando a trattare il contributo cognitivista-fattorialista, e neo-cognitivista, al concetto di creatività nella prassi psicopedagogica.


1.1 La pedagogia della creatività: dall’approccio cognitivista fattorialista alle neuroscienze del Sé sinaptico.

Se si vuole analizzare la polisemia del termine creatività ed applicarla concretamente al contesto educativo in maniera costruttiva, il primo contributo teorico e metodologico che ci viene in aiuto è quello della corrente cognitivista.
Il cognitivismo4, o meglio il primo cognitivismo, ha preso le mosse dai contributi comportamentisti, per andare ad indagare quello che fino ad allora era rimasto ascosto in una scatola nera: la mente e il suo funzionamento in relazione all’interazione ambientale. Il cognitivismo sul versante dell’indagine pedagogica è esemplificato da quella che Travaglini chiama “la triade Dewey-Piaget-Gardner”, nonché Vygotsky (teoria socioculturale dello sviluppo) e Bruner (le tre modalità di rappresentazione delle informazioni e il pensiero narrativo), ma ufficialmente l’interdisciplinarietà e transdisciplinarietà del cognitivismo si afferma con il Symposium on Information Theory svolto al MIT, Massachussetts Institute of Technology, nel 1956 a Boston. Il salto di qualità nell’indagare le funzioni della mente risale agli anni ’60-’70 del secolo scorso, superando così le discendenze, seppur celate, dall’impostazione comportamentista. Come afferma Travaglini quando si parla dell’esegesi metodologica del cognitivismo bisogna fare attenzione a:

«[…] distinguere nettamente il cognitivismo più recente – il “neo-cognitivismo” – da un primo cognitivismo da più parti detto “computazionalista”, per superare la nota querelle, oggi in parte attenuatasi… tra i sostenitori del più rigido anacronistico cognitivismo (di vecchia matrice comportamentista) e coloro che al contrario considerano la mente in termini più morbidi, più complessi ed ecologicamente più attivi. Il riduzionismo cui si è andati incontro con l’esasperarsi di certe espressioni del modello computazionalista… induce a ritenere (erroneamente) che il cervello umano possa equipararsi tout court a un computer… l’assunto cibernetico paragonava la mente umana ad un elaboratore elettronico…[5]»

Come evidenziato da Travaglini dunque, il cognitivismo, o meglio una delle tendenze del cognitivismo, fu di matrice “computazionalista” e di matrice “modulare”. Per l’approccio cognitivista-computazionalista la mente umana è paragonabile ad un computer, le informazioni corrono lungo i circuiti della mente umana come corrono nei circuiti del computer. La mente dunque registra, memorizza e recupera le informazioni: abbiamo un sistema sensoriale di input che produce sotto il profilo comportamentale una serie di output. Tale approccio computazionale all’indagine psicopedagogica si è successivamente evoluto nella formulazione più ibrida nella teoria di Annette Karmiloff-Smith nel saggio Oltre la mente modulare del 1992. Tale teoria ibrida ha superato la concezione modularista della mente umana elaborata da J. Alan Fodor nel saggio La mente modulare del 1983. Travaglini enfatizza come tali moduli sono in relazione con l’ambiente, e come tale apporto teorico abbia influito sulla teoria dell’intelligenze multiple di Gardner, infatti:

«Nello specifico, l’approccio di Gardner, per quanto egli osserva il principio modularista di Fodor nel considerare le sue intelligenze come gruppi di abilità in cui riconosce un nucleo computazionale (modulo) […] La relazione tra moduli e ambiente è quindi privilegiata rispetto a una visione innatista… di incapsulamento6».

Gardner con il saggio Forma mentis del 1983 ha travalicato la prerogativa dell’interazione mente-ambiente soprattutto per quanto riguardo ciò che ci interessa in modo particolare, ovvero l’abilità artistica. Infatti essa è «distribuita tra tutte le intelligenze e che lo sviluppo del sistema simbolico sia una prerogativa dell’interazione necessaria e continua tra biologia e antropologia7».
Chiaramente la similitudine sistema uomo-sistema computazionale, e quella modulistica, risultavano funzionali perché «riducendo la complessità preesistente, si può giungere a una maggiore rispondenza a un criterio di adattamento8» per cui il criterio computazionale-modularista può «apparire sovrapponibile a quello, di matrice propriamente cognitivista, di “metacognizione9”». Ma l’indagine cognitivista si è evoluta ulteriormente, come evidenzia il contributo di Gardner, a seguito delle acquisizioni post-darwiniane, verso un’«interrelazione tra la mente-cervello e il contesto culturale di apprendimento (in piena linea con il culturalismo bruneriano10)». Dunque, rispettando il principio di transdisciplinarietà, che deve accompagnare ogni riflessione pedagogica che sia coerente con il contesto contemporaneo, oggi l’opinione espressa dal biologo Friedrich Cramer, nel contributo Il principio dell’imprevedibilità della mente è un prerequisito della vita e della creatività (2000), deve portarci a configurare la natura della mente umana, e dunque sulla creatività umana, alla luce delle nuove scoperte neuro-scientifiche che evidenziano come la mente sia “un sistema prevedibilmente imprevedibile”:

«Friedrich Cramer (2000) considera la mente-cervello come un sistema della “complessità fondamentale”, dotato di requisiti d’imprevedibilità e d’improbabilità proprio dei sistemi dissipativi o lontano dall’equilibrio (sistemi caotici) […] È così possibile costruire strutture nuove, concetti nuovi, rompere le simmetrie sulle quali si regge l’architettura del sapere già acquisito11».

Questa visione del sistema mente-cervello come complesso “prevedibilmente imprevedibile” ma comunque oggetto di indagine scientifica e di sistemazione gnoseologica, richiama alla mente la connessione evidenziata da Joy Paul Guilford tra pensiero divergente e manifestazione creativa nell’uomo. In particolar modo, come evidenzia Travaglini, a Guilford si deve una prospettiva d’indagine a carattere cognitivo-fattorialista sulla tematica della creatività umana, che al giorno d’oggi rimane molto moderna ed utile all’educatore sotto l’aspetto teorico e prassico-educativo. Negli anni ’50 del secolo scorso Guilford fu il primo a distinguere il concetto “classico” di intelligenza “quantificabile”, legato alla misurazione psicometrica del QI, da quella singolare forma di pensiero che contraddistingue il genere umano e che si presenta come difficilmente misurabile; Guilford chiama tale forma di pensiero “pensiero divergente” ed esso è:

«…fortemente imparentato alle manifestazioni della creatività individuale (nella valutazione dei test intellettivi questo elemento veniva invece trascurato). Secondo Guilford, il pensiero divergente è un elemento dell’intelligenza umana che non sempre coincide con un alto grado di capacità logica-razionale, che è invece un aspetto intellettivo che i test classici esaltano nel tentativo di quantificarne le singole qualità[12]…»

Guilford ha il grande merito di ampliare lo spettro d’indagine sul concetto d’intelligenza; spostando il focus dalla dimensione psicometrica alla dimensione fattorialistica, risultando così un antecedente significativo per i contributi precedentemente citati che risalgono agli anni ’80-’90 del secolo scorso. Centrale nell’analisi di Guilford è il pensiero come composto da vari fattori che determinano specifiche abilità cognitive. Quindi ci sono caratteristiche fattoriali che permettono di distinguere il soggetto creativo e che utilizza quindi prevalentemente il pensiero divergente; tali elementi sono:

«[…] la fluidità del pensiero, contraddistinto da una capacità di generare un notevole numero di idee, e la flessibilità mentale, che è l’attitudine de pensatori creativi a non lasciarsi influenzare da stereotipi e pregiudizi. Grazie alla loro originalità soggetti creativi riescono a suggerire risposte poco comuni e utilizzano oggetti familiari e utensili in modo insolito attraverso il fattore di ridefinizione. Con l’elaborazione dei dati, essi vagliano un’idea con cui costruire un percorso verso un risultato finale e grazie alla valutazione scelgono le idee più adatte a risolvere un problema, scartando le altre13».


Note

1 R. Travaglini, Pedagogia della creatività, «Collana MensCorpus percorsi di psicopedagogia 17», Roma, Aracne Editrice, 2020, p. 17.

2 Ibidem.

3 Tali concetti sono trattati per esteso nel saggio di Andrea Gentile, L’intuizione creativa, Soveria Mannelli, Rubbettino Editore, 2012, p. 220.

4 Il termine cognitivismo viene utilizzato per primo dallo psicologo tedesco Ulrich Neisser nell’opera del 1967 Psicologia cognitiva. [N.d.A].

5 R. Travaglini, Pedagogia della creatività, pp. 29-30.

6 Ivi, p. 32.

7 Ibid.

8 Ivi, p. 30

9 Ibid.

10 Ivi, p. 33.

11 Ivi, pp. 33-34.

12 Ivi, p. 50.

13 Ivi, p. 50.

[continua]


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