Simona Leone - La pedagogia della creatività e l’arte dello scarabocchio: l’essere nel mondo del bambino
Collana "Koiné" - I libri di Religione, Filosofia, Sociologia, Psicologia, Esoterismo 14x20,5 - pp. 112 - Euro 12,00 ISBN 9791259512291 Clicca qui per acquistare questo libro In copertina: «Orizzonte!» acquerello di Simona Leone Introduzione Si può al giorno d’oggi, vedendo le necessità educative proprie di una “società fluida”, parlare di pedagogia della creatività in modo concreto? La pedagogia della creatività e l’arte dello scarabocchio: l’essere nel mondo del bambino1. La pedagogia della creatività Un elemento che accomuna l’uomo lungo il dispiegarsi della storia universale è la presenza di una forte attitudine adattativa e trasformativa. Ma l’uomo non si limita a reagire proattivamente al suo ambiente, bensì l’uomo stesso crea il contesto in cui si muove nella sua storia individuale e nella macro-storia della collettività umana. L’uomo è ontologicamente un animale creativo. Ragionando sull’etimologia del termine creatività notiamo come essa deriva dal latino creãre (criare in tempi più antichi), e significa principalmente tirar fuori dal nulla, e per estensione plasmare, formare, forgiare e modellare. Il processo stesso di crescita cognitiva, sociale, relazionale ed emotiva dell’infante è esso stesso creativo, il suo vissuto personale si innesca su una base ereditaria biologica, che seppur detta le tappe non le controlla, né le vincola, ma piuttosto è la vita stessa del soggetto a “modellarle”, “formarle”, creando così un individuo particolare; un Io irripetibile. 1.1 La pedagogia della creatività: dall’approccio cognitivista fattorialista alle neuroscienze del Sé sinaptico. Se si vuole analizzare la polisemia del termine creatività ed applicarla concretamente al contesto educativo in maniera costruttiva, il primo contributo teorico e metodologico che ci viene in aiuto è quello della corrente cognitivista. «[…] distinguere nettamente il cognitivismo più recente – il “neo-cognitivismo” – da un primo cognitivismo da più parti detto “computazionalista”, per superare la nota querelle, oggi in parte attenuatasi… tra i sostenitori del più rigido anacronistico cognitivismo (di vecchia matrice comportamentista) e coloro che al contrario considerano la mente in termini più morbidi, più complessi ed ecologicamente più attivi. Il riduzionismo cui si è andati incontro con l’esasperarsi di certe espressioni del modello computazionalista… induce a ritenere (erroneamente) che il cervello umano possa equipararsi tout court a un computer… l’assunto cibernetico paragonava la mente umana ad un elaboratore elettronico…[5]» Come evidenziato da Travaglini dunque, il cognitivismo, o meglio una delle tendenze del cognitivismo, fu di matrice “computazionalista” e di matrice “modulare”. Per l’approccio cognitivista-computazionalista la mente umana è paragonabile ad un computer, le informazioni corrono lungo i circuiti della mente umana come corrono nei circuiti del computer. La mente dunque registra, memorizza e recupera le informazioni: abbiamo un sistema sensoriale di input che produce sotto il profilo comportamentale una serie di output. Tale approccio computazionale all’indagine psicopedagogica si è successivamente evoluto nella formulazione più ibrida nella teoria di Annette Karmiloff-Smith nel saggio Oltre la mente modulare del 1992. Tale teoria ibrida ha superato la concezione modularista della mente umana elaborata da J. Alan Fodor nel saggio La mente modulare del 1983. Travaglini enfatizza come tali moduli sono in relazione con l’ambiente, e come tale apporto teorico abbia influito sulla teoria dell’intelligenze multiple di Gardner, infatti: «Nello specifico, l’approccio di Gardner, per quanto egli osserva il principio modularista di Fodor nel considerare le sue intelligenze come gruppi di abilità in cui riconosce un nucleo computazionale (modulo) […] La relazione tra moduli e ambiente è quindi privilegiata rispetto a una visione innatista… di incapsulamento6». Gardner con il saggio Forma mentis del 1983 ha travalicato la prerogativa dell’interazione mente-ambiente soprattutto per quanto riguardo ciò che ci interessa in modo particolare, ovvero l’abilità artistica. Infatti essa è «distribuita tra tutte le intelligenze e che lo sviluppo del sistema simbolico sia una prerogativa dell’interazione necessaria e continua tra biologia e antropologia7». «Friedrich Cramer (2000) considera la mente-cervello come un sistema della “complessità fondamentale”, dotato di requisiti d’imprevedibilità e d’improbabilità proprio dei sistemi dissipativi o lontano dall’equilibrio (sistemi caotici) […] È così possibile costruire strutture nuove, concetti nuovi, rompere le simmetrie sulle quali si regge l’architettura del sapere già acquisito11». Questa visione del sistema mente-cervello come complesso “prevedibilmente imprevedibile” ma comunque oggetto di indagine scientifica e di sistemazione gnoseologica, richiama alla mente la connessione evidenziata da Joy Paul Guilford tra pensiero divergente e manifestazione creativa nell’uomo. In particolar modo, come evidenzia Travaglini, a Guilford si deve una prospettiva d’indagine a carattere cognitivo-fattorialista sulla tematica della creatività umana, che al giorno d’oggi rimane molto moderna ed utile all’educatore sotto l’aspetto teorico e prassico-educativo. Negli anni ’50 del secolo scorso Guilford fu il primo a distinguere il concetto “classico” di intelligenza “quantificabile”, legato alla misurazione psicometrica del QI, da quella singolare forma di pensiero che contraddistingue il genere umano e che si presenta come difficilmente misurabile; Guilford chiama tale forma di pensiero “pensiero divergente” ed esso è: «…fortemente imparentato alle manifestazioni della creatività individuale (nella valutazione dei test intellettivi questo elemento veniva invece trascurato). Secondo Guilford, il pensiero divergente è un elemento dell’intelligenza umana che non sempre coincide con un alto grado di capacità logica-razionale, che è invece un aspetto intellettivo che i test classici esaltano nel tentativo di quantificarne le singole qualità[12]…» Guilford ha il grande merito di ampliare lo spettro d’indagine sul concetto d’intelligenza; spostando il focus dalla dimensione psicometrica alla dimensione fattorialistica, risultando così un antecedente significativo per i contributi precedentemente citati che risalgono agli anni ’80-’90 del secolo scorso. Centrale nell’analisi di Guilford è il pensiero come composto da vari fattori che determinano specifiche abilità cognitive. Quindi ci sono caratteristiche fattoriali che permettono di distinguere il soggetto creativo e che utilizza quindi prevalentemente il pensiero divergente; tali elementi sono: «[…] la fluidità del pensiero, contraddistinto da una capacità di generare un notevole numero di idee, e la flessibilità mentale, che è l’attitudine de pensatori creativi a non lasciarsi influenzare da stereotipi e pregiudizi. Grazie alla loro originalità soggetti creativi riescono a suggerire risposte poco comuni e utilizzano oggetti familiari e utensili in modo insolito attraverso il fattore di ridefinizione. Con l’elaborazione dei dati, essi vagliano un’idea con cui costruire un percorso verso un risultato finale e grazie alla valutazione scelgono le idee più adatte a risolvere un problema, scartando le altre13». Note 1 R. Travaglini, Pedagogia della creatività, «Collana MensCorpus percorsi di psicopedagogia 17», Roma, Aracne Editrice, 2020, p. 17. 2 Ibidem. 3 Tali concetti sono trattati per esteso nel saggio di Andrea Gentile, L’intuizione creativa, Soveria Mannelli, Rubbettino Editore, 2012, p. 220. 4 Il termine cognitivismo viene utilizzato per primo dallo psicologo tedesco Ulrich Neisser nell’opera del 1967 Psicologia cognitiva. [N.d.A]. 5 R. Travaglini, Pedagogia della creatività, pp. 29-30. 6 Ivi, p. 32. 7 Ibid. 8 Ivi, p. 30 9 Ibid. 10 Ivi, p. 33. 11 Ivi, pp. 33-34. 12 Ivi, p. 50. 13 Ivi, p. 50. [continua] Contatore visite dal 26-09-2023: 380. |
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