Zigzagando verso casa

di

Sonia Della Libera


Sonia Della Libera - Zigzagando verso casa
Collana "I Salici" - I libri di Narrativa
14x20,5 - pp. 66 - Euro 9,00
ISBN 978-88-6587-0662

Libro esaurito

Vai alla pagina degli eventi relativi a questo Autore


In copertina: «Ciliege» immagine di Niccolò Bottecchia


Zigzagando verso casa segna l’esordio come scrittrice di una donna eclettica che non smette mai di cercare nuovi percorsi su cui avventurarsi per esprimere con pienezza la sua interiorità. È stata mia allieva in un corso di pittura e mi ha dato gioia ritrovarla, dopo un decennio, come autrice: è come se fosse riuscita a trasferire le sue emozioni dalla tela alla pagina, attingendo dal proprio vissuto.
Questo racconto parla di una importante promessa scambiata tra un bambino e una bambina in modo innocente e sincero a cui entrambi tengono fede: Sara lo fa attraverso la propria ricerca spirituale, mentre Ivo la guida da lontano, aiutandola a districarsi nella trama tessuta dalla vita. Sara cresce e da adolescente ribelle si trasforma in una donna adulta che vive con coerenza le prove che il destino le pone, pagando il prezzo delle sue scelte, mentre Ivo rimane ad osservare in disparte.
Lo stile dell’autrice è semplice e chiaro: si intravede nello sfondo l’influenza della linearità della lingua inglese, che è parte integrante di lei. La sua capacità espressiva le consente di cesellare con cura artigianale descrizioni e stati d’animo che rimangono impressi.
Il ritmo narrativo è incalzante e lascia al lettore il compito di fare alcuni collegamenti poiché la narrazione deve avvenire sì attraverso l’espressione, ma anche glissando sui dettagli che il lettore può bene immaginare: l’intento è mostrare un percorso di vita nella sua interezza, senza soffermarsi troppo sulle singole puntate.
Infine, la struttura narrativa è circolare, articolata in tre parti che sono intercorrelate e saldamente intrecciate, in un gioco di flashback e riferimenti interni. Il quadro che emerge è più grande delle parti che lo costituiscono.
La narrazione è sottesa da una concezione della vita largamente influenzata dal pensiero orientale basato sul karma e sul discernimento fra perenne ed effimero in cui l’ascolto interiore e un modo onesto di rapportarsi con l’esterno fanno la parte del leone.
L’interrogativo primario con cui il libro apre fa strada alla vera domanda sottesa: come vada vissuta davvero la vita.
Questo racconto è la testimonianza che il collegamento tra la dimensione terrena e celeste non viene mai meno e che anzi il sostegno che proviene dall’aldilà è davvero grande. Buona lettura!

Giuseppe Beccarini


Zigzagando verso casa

Il viale dei ciliegi

“Secondo te cosa succede dopo la morte?”

Sara sgranò i suoi occhioni verdi e rallentò il dondolio dell’altalena, come per concentrarsi meglio. Quel giorno portava il suo vestito preferito, azzurro a pois bianchi, con due piccole maniche rosse a mezza luna. Era il vestito buono della domenica, quello delle occasioni speciali. E qualcosa di speciale quel giorno, in effetti, accadde.
L’autore della domanda sedeva sul prato, di fronte a lei, e la fissava intento, in attesa di una risposta. Ivo era il suo migliore amico e compagno di giochi; era innamorato di sua sorella e questo rendeva le cose molto più facili e chiare: la loro era proprio l’amicizia pura di due bambini che amavano passare il tempo insieme e che inventavano giochi sempre nuovi e nuove avventure.
Era sempre lui a suonare al campanello chiedendo di lei con quel suo “Vieni a giocare?”. Già: che altro c’era da fare di tanto importante? Sara vedeva le sue enormi orecchie a sventola spuntare da dietro il muro di cinta, mentre Ivo attendeva impaziente di sentire la risposta attraverso il citofono. Era di casa e quindi la madre di Sara non aveva nulla da obiettare né l’ebbe mai, neppure quando col passare degli anni quei bambini divennero ragazzi e i loro giochi ed avventure cambiarono. Attraverso Ivo, Sara entrò in contatto con altri maschi; fu proprio a lui che Sara rivolse i suoi primi “Che ne pensi di lui?” e sempre a lui che i suoi primi corteggiatori chiesero “Ti parla mai di me?”.
Li divideva senz’altro il diverso approccio verso la scuola: lei secchiona, lui casinista e svogliato. Ma, nonostante le loro differenze, in quegli anni della prima infanzia lui non smise mai di suonare al suo campanello per portarsela fuori a giocare, né lei di rispondere “Arrivo!”.

“Non lo so.”
“Io però lo vorrei sapere.”
“E come si fa?”

Un po’ inconsueto, per due bambini intorno ai sei anni, pensare in termini di massimi sistemi. Eppure.

“Io ho un’idea.”
“Sentiamo.”
“Facciamo un patto: il primo di noi due che muore torna indietro e dice all’altro che cosa c’è dopo.”
“OK.”
“Però devi venire da me in sogno, sennò prendo paura.”

Sara annuì, limitandosi a rispondere “Anche tu, però.” E poi fu l’ora della merenda.

Uno dei loro passatempi serali preferiti era il nascondino, un gioco che coinvolgeva i loro fratelli più grandi, nonché tutti i ragazzi del circondario. Non era ben chiaro chi fosse il vero richiamo, se la sorella di Sara o il fratello di Ivo, ma intanto il gruppo si era costituito e il numero dei suoi componenti continuava a crescere, cambiando spesso composizione. In quelle sere d’estate, i grilli cantavano la colonna sonora, mentre le lucciole decoravano il cielo di piccole stelle.
Dovendosi confrontare con tutti quei grandi, i due piccoli avevano elaborato una tecnica speciale: tutti gli altri si nascondevano davvero, mentre loro si limitavano a correre intorno alla casa, celandosi dietro uno dei suoi angoli ed aspettando frementi di poter fare tana. Se fosse toccato a loro trovarsi nella posizione di difendere la tana, sarebbe stata la rovina: gli altri correvano più forte. Dovevano assolutamente sfruttare l’effetto sorpresa e la loro agilità.
Qualche volta durante il gioco qualcuno spariva, come se si fosse addormentato nel suo nascondiglio. L’adrenalina era sempre a mille e le cadute non mancavano mai, specie quando qualche nuovo arrivo non aveva ancora imparato ad evitare i tiranti che reggevano gli alberi piantati di recente. In quel caso il gioco veniva interrotto per prestare soccorso al malcapitato di turno e una volta cessato l’allarme non ci si ricordava più bene a chi toccasse la tana. O forse qualcuno imbrogliava?

Sara era sei anni più giovane di sua sorella, ma una sera scoprì che a uno dei membri del gruppo non sarebbe dispiaciuto che lei fosse la sua ragazza benché fosse ancora una bambina. Lui disse solo “Beh, piuttosto di un pugno in un occhio…” e tutti ne risero, scambiandosi però sguardi allusivi come a dire “Hai capito…”. Da quel momento lei gli rimase alla larga e quando una sera, durante una fuga, lui le tese una mano per aiutarla a saltare un fosso, lei si guardò bene dal farsi aiutare. Fece un gran salto, più grande di lei. Ogni tanto il gruppo di amici preparava scherzi cretini alle macchine che passavano sullo stradone alla fine del loro borgo: tendevano un filo da un capo all’altro della strada usando i nastri di vecchie cassette. Le macchine percepivano di aver cozzato contro qualcosa e si fermavano, timorose di aver danneggiato qualcosa o qualcuno, mentre loro, stesi o accucciati nei campi, ridevano a crepapelle. Quella sera un guidatore era sceso e si era arrabbiato capendo che era tutto uno scherzo. Aveva cercato di inseguirli, ma li aveva subito persi. E fu allora che quel suo ammiratore più grande le aveva teso la mano da vero gentiluomo, spaventandola.

Sara ed Ivo condividevano un sogno: diventare cuochi. Sotto la scala che dava sul giardino avevano creato il loro bar ristorante, dove preparavano cocktail ed intrugli semi-liquidi per potenziali e quantomai fantomatici avventori. In realtà, lì dentro riuscivano ad infilarsi solo loro due: era il loro luogo segreto ed inaccessibile, dove sparivano le arance sottratte di nascosto alle loro madri, che a malapena sbarcavano il lunario. Un giorno decisero di fare una minestra di fango e, quando fu tempo di provarne la cottura, Sara ci infilò dentro un dito e se lo mise elegantemente in bocca per assaggiare.

“Ma te la sei mangiata davvero??!!”
“Sì, non è male.”

Si sa: ciò che non uccide, ingrassa.

Sara ed Ivo sognavano le grandi cucine degli alberghi in cui avrebbero preparato meravigliose torte alla crema e i cappelli da chef che avrebbero portato. Con l’ironia che solo la vita sa avere, lui finì a lavorare in fabbrica e lei ad insegnare.
Per loro il cibo fu sempre un grande collante. Quando, da piccolo, Ivo riceveva soldi dal nonno, inforcava la sua bicicletta ed andava nel negozio di alimentari del paese a fare il pieno di patatine e cioccolato che correva a portare all’amica del cuore, allestendo un grande banchetto di succulente schifezze a cui lei non aveva la possibilità di avere accesso in nessun’altra occasione: era Natale.
Un giorno, da quelle sue incursioni, spuntò una scatola con tanto di fiocco per la sorella di Sara: una dichiarazione d’amore. Era un piccolo anello che lui le offrì con semplicità e che lei accolse con una tenera risata. Tra i quattro fratelli l’abbinamento di potenziali coppie era più che ovvio e lei puntava ad altro. Quello era un gesto bello e delicato, ma di un bambino.
Sara osservò gli eventi come si guarda un cartone animato: nessuna gelosia, solo la registrazione muta di come funzionavano le cose. Lei aveva due ammiratori a scuola che le donavano figurine da collezione, quindi Ivo lo capiva. Tuttavia, comprendeva anche che le speranze della sorella erano vane, come emerse la sera del biglietto.

La sera del biglietto fu fatale. Ad un certo punto della serata, tra una risata e l’altra tra i fratelli grandi, con qualche allusione che ai piccolini sfuggiva, il fratello di Ivo disse: “Io so chi ti piace”. La sorella di Sara si coprì gli occhi con le mani e corse a chiudersi in bagno, da dove chiamò Sara a gran voce, intimandole di farsi dire quel nome. La piccola, fedele e solerte, glielo chiese. Si sentì rispondere: “Te lo scrivo in un biglietto”, un biglietto che diceva: “IL MIO”. Un mistero rivelato, ma non ricambiato.

Sara capiva la sorella: lui era proprio bello. Qualche volta lo guardava lei stessa come incantata e lui non tardò ad accorgersene. Un giorno ricambiò il suo sguardo come a dire “Ho capito” e lei si chiuse nella sua timidezza bambina. Fu lui ad insegnarle un trucco per imparare la tabellina del nove e a mostrarle, senza saperlo, che cosa fosse il fascino con quel suo sorriso e il suo fare sicuro. Gli eventi della vita li allontanarono, ma rimase l’affetto pulito e sincero di chi ha condiviso i momenti spensierati dell’infanzia che ancora non conosce né tempo né logica.

Fu per nutrire quel sorriso che un giorno, trent’anni dopo, Sara salì su un altare triste a leggere una poesia che nel silenzio della chiesa urlava “La morte non è niente” al suo esordio. Fu per essere vicina a quella famiglia che in un giorno afoso di luglio percorse centinaia di chilometri, chiamò il prete e chiese il permesso di leggere quel testo in chiesa. Dalla posizione privilegiata che le venne assegnata per la lettura poté guardare tutta la famiglia per l’intera durata della messa e abbracciare ciascuno di loro con lo sguardo. A dire il vero, si sentiva in imbarazzo a sedere in bella vista a fianco dell’altare, e per un attimo si chiese se quell’idea di leggere in chiesa non fosse stata davvero troppo bizzarra, ma l’iscrizione sul muro di fronte a lei le confermò che aveva semplicemente risposto ad una spinta dell’anima: diceva che quando si è chiamati a compiere le opere dello Spirito bisogna superare il proprio riserbo.
E così sedette di fronte a loro e non mancò mai di sorridere ogni volta che incrociò il loro sguardo. Quando, più tardi, Sara vide il fratello di Ivo al cimitero, il suo sorriso si ampliò, mentre lui le parlò quasi con timidezza: aveva di fronte a sé una donna. Lei gli rispose con semplicità amica. Quando gli accennò alla propria vita, lui commentò: “Mamma mi tiene informato”, accompagnando le parole con la sua bella risata, immutata. Era il funerale di suo padre e anche per lei era venuta meno una persona di famiglia – non di sangue, ma certamente d’anima. I legami più veri e profondi. – Fu lieta di essere lì con loro, a portare il suo sorriso e il suo calore. Con il tocco di un angelo, con quel suo vestito celeste.
Non ci fu né spazio né tempo per altro, ma nel bel mezzo di una perdita ci fu un dolce ritrovarsi. Nel bene che non conosce limiti né imbarazzi, perché semplicemente è, oltre ogni cosa.

Sara ed Ivo condividevano anche la passione per le ciliege, solo che lei non si sapeva arrampicare sugli alberi e lui invece sì. Ma non era un problema. Si recavano insieme al viale alberato di fronte al grande parco che dava il nome al loro borgo e lui appoggiava la bici all’albero e ci saliva a caccia. Sara aspettava che lui le tendesse le ciliege, che le calava in grandi quantità, talvolta con ramo incorporato. Quella mano tesa rimase per lei il simbolo dell’aiutare con naturalezza, andando incontro a chi qualcosa fare non sa, e del non vergognarsi di non sapere.

Pur col passare degli anni, il ricordo di quei giorni gioiosi non venne mai meno, tanto che Sara non mancava mai di girarsi a guardare il suo viale dei ciliegi ogni volta che passava di là. Come dimenticare i clamorosi mal di pancia che facevano seguito alle incursioni sugli alberi? La madre di Ivo raccomandava loro di non bere acqua dopo aver mangiato le ciliege, ma come resistere alla sorgente che sgorgava all’inizio della via? “Basta che non ne beviamo troppa…” ed era la fine.

Ivo la portò alla scoperta di tesori nascosti e di luoghi incantati, come l’isola. Essa si formava nell’ansa di un fiume quando era in secca e loro correvano a giocarci, disobbedendo puntualmente alle loro madri che tanto raccomandavano loro di stare alla larga dall’acqua. “Andiamo a vedere se c’è l’isola” e cominciava la nuova avventura.
Nel corso del tempo, Sara portò fin là i fidanzati importanti a rubare uno scorcio di fiume. Ma in quei momenti non era a loro che si sentiva vicina: come in un flashback, rivedeva i bambini di un tempo alla scoperta del mondo. Chissà quegli uomini che cosa avevano colto. Per lei era un luogo magico, ma la magia difficilmente si racconta: occorre sentirla, come un’eco dentro. È il riflesso di un incanto che ti sfiora. Talvolta, durante le loro perlustrazioni avventurose, Sara e Ivo avevano raccolto il muschio per il presepe e avevano portato la loro avventura fino a casa, catturando la stella cometa.

Tra di loro c’era un gioco ricorsivo che però Sara trovava fortemente irritante: l’età. Lui era più piccolo di un anno, ma le diceva spesso: “Io c’ero già prima che tu nascessi e poi sono nato di nuovo” e lei, che non aveva ancora sentito parlare di reincarnazione, si irritava ferocemente di fronte a quella totale mancanza di logica e così un bel giorno, durante una partita a volano, gli diede una sonora racchettata sulla testa con tutta la forza che aveva. Ivo gliela ricordò per anni, ribadendo che gli aveva fatto un gran male, per poi scoppiare a ridere all’idea di quella bambina gracile che dava sfogo alla rabbia sulla sua povera testa.

Ad interrompere i loro giochi quasi quotidiani arrivò una brutta notizia, che Sara apprese da sua madre: “Devono andare via”. La piccola aveva sgranato gli occhi in un silenzio arrabbiato.

“Ma perché!?”
“Vanno solo a stare in piazza, non è distante.”

A 12 anni qualche chilometro può essere un viaggio, o perlomeno lo fu per loro, all’inizio. Ivo, socievole com’era, si creò subito nuove amicizie; la bicicletta colmò presto la distanza e col tempo si formò una nuova compagnia di ragazze e ragazzi che andavano a ballare insieme. Gli amici di Ivo vedevano Sara in una luce diversa dalla sua: era cresciuta e trovava seguito. Il contatto tra loro due, invece, si affievolì, anche se rimase un legame speciale che gli altri non capivano e che la loro diversità non spezzò mai: la loro complicità si era trasformata in un eterno prendersi in giro, stile che accomuna coloro che non hanno più bisogno di dirsi “scherzavo” perché è già scontato. Lei era cresciuta più in fretta e qualche volta lo trovava sciocco: non ci potevi fare un ragionamento (lui avrebbe detto: “E chi ha voglia di ragionare?!”). Diceva solo cavolate. Ma era sempre Ivo. E gli voleva bene come ad un fratello.

L’antico rituale culinario dell’infanzia rimase in vita, trasformandosi in un invito periodico a cena quando i grandi si toglievano di torno o accettavano di stare alla larga dalla cucina. Sara preparava una cena a base di pizza e macedonia, le sue specialità, e lui portava il gelato. Talvolta ammettevano un terzo amico al loro banchetto. Non era ben chiaro perché lui fosse lì, se per le risate che si faceva con Ivo o per stare vicino a lei. Un giorno quello strano componente del trio le disse “Mi hai deluso”. Sara si era invaghita di un tipo dotato di una bella enduro; questi non mancava di ronzarle attorno durante le feste di paese e tra una chiacchiera ed una risata le andò più vicino. Fu uno dei suoi primi baci, casto e rispettoso, ma la notizia si sparse ed originò quel commento, che Sara registrò senza rispondere. Dal canto suo, Ivo non proferì verbo. Lui non era deluso: continuò a considerarla la sua amica del cuore.

Una delle avventure culinarie più truffaldine dei due bimbi, ormai cresciuti, fu una pizza rubata. Erano in un parco divertimenti e all’ora di pranzo si infilarono in una pizzeria. C’era un grande andirivieni di persone, tanto che le cameriere faticavano a star dietro agli ordini. Al momento di saldare il conto, Ivo la guardò con quel sorriso furbo e le disse: “Andiamo via senza pagare?”. Bastò un’occhiata. Dopo un istante erano in strada e correvano, ridendo a crepapelle. Quando, molti anni dopo, la madre di Ivo apprese del malfatto, sollevò gli occhi al cielo sbuffando: “Gesù!”.
Quel giorno qualcuno scattò una foto di Ivo che divenne immortale. Era seduto sul cavallino di una giostra, le orecchie bene in vista, i capelli arruffati e il suo sguardo nocciola. Non era più gracile come un tempo: stava diventando un uomo. E Sara proprio non lo capiva, specie quando le diceva “Ma vuoi studiare ancora??!”. Sì, perché lei si era messa in testa di andare all’università e ormai ne parlava – con quel suo entusiasmo che le impediva di tacere un segreto.

[continua]


Se sei interessato a leggere l'intera Opera e desideri acquistarla clicca qui

Torna alla homepage dell'Autore

Il Club degli Autori - Concorsi Letterari - Montedit - Consigli Editoriali - Il Club dei Poeti
Chi siamo
La Rivista
La voce degli Autori
Tutti i nostri Autori
Per iscriversi
ClubNews
Il notiziario gratuito
Ultimi inserimenti
Homepage
Per pubblicare
il tuo 
Libro
nel cassetto
Per Acquistare
questo libro
Il Catalogo
Montedit
Pubblicizzare
il tuo Libro
su queste pagine