In copertina: illustrazione di Silvano Brugnerotto
Cercando equilibri:
MHE
di Adam Vaccaro
La caccia dolorosa-gioiosa di Valentina Bufano è da entomologa. I suoi testi trasmettono la passione di scovare e infilzare come insetti i momenti che si susseguono di “dolore e piacere dolore e piacere” (poesia n. 4), in-formando già con questa sequenza fenomenologica la sua visione di ricerca di equilibrio nel flusso in cui siamo. Che ci contiene e non ci appartiene, ma che la poesia può fissare come in una teca, da guardare e riguardare, nel suo gioco falsovero di vita che vuole aggiungersi alla vita – che la scuce e ricuce ma rimarrà sempre altro, sua immagine di cui tuttavia la (nostra) vita ha bisogno.
È il mistero di tutta l’arte, capace di dare forma e materia statica alla vita, che quindi pare negare la sua essenza vera di dinamica senza fine e fini. Lei, la poesia, cerca l’arte di andare oltre il muro della non-vita, quale percorso mitico per tornare a mostrarci il suo cuore segreto e invisibile. Anche la poesia di Valentina lo fa, muovendosi tra versi rattrappiti fino a bisillabi e versi-non-versi che sfuggono fino al bordo delle righe.
Articola sequenze che sono una sorta di aghi e spilli, strumenti che sanno tutta la violenza di questo loro gioco con l’imprendibilità dell’attimo, eppure costantemente appostati nel cercare ciò che non può essere trovato: l’istante fermo, rinsecchito e immobile come un insetto sottovetro, che può essere solo negato e ucciso se il guadagno cercato è una fissità che consenta di replicare la sua vita all’infinito. Paradosso e delirio di onnipotenza insiti in ogni operazione artistica, infilzata a sua volta come la materia che oscilla senza soluzione tra l’incessante panta rei eracliteo e il mito ontologico di un immutabile Essere, quale quello dell’immagine della sfera parmenidea:
“L’amore che ti dico / tu mi dici / che lei dice / è solo un dentro e fuori / dentro e fuori / d’aria. Tu mi dici che l’aria è vitale / che andare su e giù è il destino degli Uomini / ti offendo ti derido / ti abbandoni prono alla corrente / Avanti e indietro, / dentro e fuori. / Da qualunque lato la guardi / la sfera / è inguardabile e ottengo / aprendo e chiudendo / comunque un bicchiere di latte” (Ti avverto, n. 25)
I versi e le forme di Valentina sono percorsi e percossi da tale daimon, irrisolto e senza pace, precario come tutta la precarietà del flusso vitale, cercando punti (di cucitura) che siano parola fuori dalla chiacchiera, con un’unghia che graffi la finzione e la sua insopportabilità. Il Soggetto Scrivente esce perciò dalla maschera dell’Io, per coinvolgere un Sé fuori di sé, verso una totalità irraggiungibile e adiacente. È forse per questo che riesce a far sentire i suoi aghi, come dorati e sottopelle anche a chi li scorre con gli occhi e gli altri sensi.
Essere lì insieme allo spillo che infilza e trattiene un attimo di verità, magari illusorio insetto raro che è – in particolare oggi – il tormento e l’ossessione fuorimoda che non si arrende. Pur sapendo tutto il disincanto dell’intreccio inestricabile di dolore e piacere, del tragico succo gioioso di ciò che chiamiamo vita. E che la poesia, quella che non ama la glassa, insegue sapendo l’attimo di fusione in cui “noi diventiamo dèi” e l’Io diventa particola di Dio, tale da fargli dire: “Su un’unghia sollevo il mondo” (Dèi, n. 12).
Valentina cerca insomma aghi e cesoie, per cucire gli slabbri osceni e tagliare il superfluo, l’inessenziale, scovare lampi di ricetta e semplicità che fanno gustare la vita: “per capire gli occhi chiusi si deve / bagnare il pane nel sugo / quindi il vino sia rosso di piacere / la cipolla bella e buona / la carota solare come maggio / e il coltello vorace e caldo”, Ragù, n. 9; “Come il ronzio di una mosca il suono spicca / tra i suoni del mio mondo. / Spesso non è l’Amore non è l’Amicizia / ma è il Dovere, è l’Errore. / Potessi uccidere tutto, intrappolare ogni cosa in una ragnatela. / Ma non posso che camminare sulle mie due zampe / e portare l’insetto proprio dentro il mio orecchio.”
Intrecci, dunque, complessi, che incorporano anche avvisi eticosociali, alla nostra società che si dibatte tra esasperazione del consumo e dello shopping e miseria ignobile, con ulteriori impoverimenti dei già privati del necessario. Una poesia che vuole essere presente, qui e ora, e non fuggire in una separatezza alienata. Lo dice sin dal titolo, con la bella invenzione che vuole mettere in evidenza, con la lettera acca, anche la parte muta di Sé.
Una ricerca esterna che coincide, dunque, con la ricerca di presenza attiva (nella tessitura del testo) dei vari livelli della propria soggettività: fatica felice da operaio precario della propria totalità a caccia del premio di attimi di equilibrio gioioso della molteplicità interna, premessa per immaginare e sperare in una convivenza più fraterna tra le diversità, non solo umane, che fanno il mondo. Un circuito antropologico e autopoietico, utopico e concreto, anima dell’Arte e della Poesia, cui ho dato il nome di Adiacenza.
Dicembre 2012
Questo libro è dedicato a Mariagrazia Broglia e Cristina Ferretti che sono state fondamentali per l’avvio della mia carriera.
Questo libro è dedicato allo scrittore Domenico Del Coco e all’avvocato Ivan Behare.
Questo libro è dedicato a Massimo Macchia, a mia sorella Susanna e a Don Franco per la stima dimostrata nei miei confronti.
Questo libro è particolarmente dedicato a Marilena Cencini, Aldo Marchesini, Giorgio Tomasino, Fabio Bottero e Antonmarco Catania che credono in me e sono nei miei raggi di sole.
I miei amici sono la mia forza. Questo libro è dedicato a tutti coloro che si sentono miei amici e che non ho nominato. Siete tanti.
La prefazione è del poeta trezzanese Adam Vaccaro, già presente nell’antologia edita da Montedit “7 poeti trezzanesi” uscita nel 2009. Allora la copertina era stata realizzata dal trezzanese Fabio Sardo.
Questa volta l’immagine di copertina è del pittore trezzanese Silvano Brugnerotto.
Ringrazio entrambi gli artisti per la graditissima collaborazione.
Costante sarà il mio impegno nella valorizzazione degli artisti residenti nel paese che amo, Trezzano sul Naviglio.
Valentina Bufano