Enrico Bonfiglio
8 Marzo
In questo campo di mimose che è la vostra vita,
ogni fiore siete voi.
Radiose come il sole,
ogni tanto vi piegate per ripararvi dalla pioggia,
vi stringete tra voi per sfidare il vento.
Qualcuno vi raccoglie per tenervi nel suo cuore,
altri vi strappano dal vostro stelo,
macchiano di sangue i vostri fiori gialli,
promettono di darvi acqua e curarvi
invece vi lasciano sole.
Eppure siete sempre in grado di riprendervi la vostra dignità
ed essere migliori di certi uomini.
Michele Ginevra
Parole nascoste
Ti ho privato
dello stupore di una parola sussurrata
come un tiepido respiro
che scorre lungo il confine sfumato
della nostra anima,
di quella brezza leggera che
simile a rugiada sulle foglie d’autunno
fa vibrare il cuore.
Ti ho privato
della dolce carezza di una parola sospesa
sul filo tenue di un istante
racchiuso in uno sguardo di complicità
che va oltre l’amore.
Scorrevano parole, infinite parole,
dentro il libro chiuso dei miei sogni
ed io te le ho nascoste.
Di tutto questo ti ho privato…
un grappolo di versi
che riempie il foglio bianco
della nostra intimità.
Adesso, che di te
mi giunge il soffio caldo del ricordo
riaffiora il mio rimorso
e resta solo il pianto
di quest’inutile poesia…..affaticata.
Silvana Licari
Fuori dall’aia
Già prima
di andare via
sapevo cosa
avrei provato poi.
Il pensiero
ed un singhiozzo
dentro
ne erano l’anticipo.
Ma non si può
conoscere oggi
come sarà domani…
e quando
il domani arriva
non c’è più ritorno
ma solo l’amaro,
il dolore
e un diverso transito
da dover vivere.
Così alla partenza
il mio sorriso
si sveste
nell’amarezza
delle pieghe
di una bocca,
che fino allora
aveva gli angoli
rivolti verso
un cielo benigno.
23.2.’11
Gennaro Moretti
Assenza
Sulla sponda del cielo
brilla
solitaria una stella
ed io,
ancor più solo,
mi riempio
del vuoto
della tua assenza.
Oscurità e silenzio
al mio fianco
e il ricordo
della tua immagine
tristemente sbiadita.
Vorrei che la vita
ancor mi parlasse di te,
ma ora tu sei una rosa
senza più petali e profumi
e ciò rapisce ogni gioia
e alimenta la mia angoscia.
Mille volte ti cercherò, madre,
e non ci sarai.
Solo la tua ombra,
che dimora nel mio cuore,
sarà compagna dei giorni miei.
Massimiliano Rendina
Santo della gente
Sì, lui era Francesco
Anche di nome,
Non solo perché seguì il
Poverello nell’esempio.
In obbedienza e semplicità,
Osservò la sua regola.
Dal borgo natìo,
Arrivò a San Giovanni,
Per parlare di Gesù.
In Vaticano sospettavano…
E inviarono le spie,
Tra cui quel Gemelli,
Ruvido guardiano della fede.
E anche Roncalli, il buono,
Lo ebbe in astio. La
Casa Sollievo spazzò i dubbi.
In poco tempo, Beato e Santo,
Nel cuore della gente.
Anche grazie al grande Karol.
Barbara Santoni
Cerco
Cammino
senza una meta.
Cerco l’avventura
che mi lasci senza fiato.
Cerco ogni emozione
che mi doni un brivido.
Cerco l’amore
per sentirmi leggera
per amare la vita
prima che sia finita.
Finché posso
spicco il volo
vado
e non resto.
Cammino
piano piano
cresco.
Guardo avanti
e vedo lei
ma non la temo:
importante è il cammino
è sapere consapevole
che finirà.
Cerco la mia vita
unica fonte d’infinito.
Francesco Testa
Il ramo d’inverno
Tremano i miei denti nel vederti,
esile e muto, lassù tra i tanti.
La secchezza non ti dona,
l’esser solo non s’addice
alla sfondata chioma
piena solo di vuoti nidi
nel mentre la pioggia t’avvolge
come in un sudario semita.
Attendi muto il tramontar del gelo
e ti stiracchi ad ogni vento
per poi accrescerti come figlio, tra
i miei occhi nell’attesa delle
foglie e degli implumi che presto
come menti aguzzate dal mistero,
terranno compagnia alla tua solitudine.
La secchezza non ti dona,
piccolo ramo d’inverno come la vita
non s’addice all’uomo pieno
di stenti e povertà, quaggiù ahimé
dove solo le ombre del trapasso
toccano il paradiso.
Vorrei riscaldarti appieno solo
se potessi e farmi carbone.
Attendono gemelli il tramontar
dal gelo, volti ad un domani che
ancor s’attarda come acqua negata…
verrà poi nella sua dismisura al
primo canto dei merli, tra sostanze materne.
Lentamente sulle nostre dita discioglie
i nodi dei pensieri amari, in un
luccicante languore che ci avvolge
come esile ragnatela d’insegnamenti
infantili al di sotto della sfrondata
chioma, lassù tra i tanti.
Petra Trivilino
La tigre del druido
Grida, mia tigre.
Grida al mondo che sei tu
quella che ha perso la sua potenza.
Grida il fervore della tua rabbia,
delle lame delle parole come gli artigli,
grida che la mia gente poteva salvarsi;
grida che il fetido del mondo
sta nelle sue mani,
nelle stesse dita dei suoi sovrani
che decidono per gli stracci che comandano.
Ci hanno schiacciati,
ci hanno defraudati,
ci chiamano a fargli da scudo,
ma ora basta,
mia tigre,
squarcia quest’epoca indifferente
e rimetti fiducia in noi stessi,
felini d’orgoglio per i nostri figli,
la nostra vita,
il ruggito di gole che mai sono state violente.
Grida mia tigre
che il dolore è forte nella nostra epoca,
che le madri muoiono per niente,
che i figli non hanno futuro,
che il denaro ce lo mangiamo
perché non abbiamo niente da masticare,
niente di puro da mangiare.
Grida mia tigre,
ruggisci,
perché da queste gole
la consapevolezza arrivi fin oltre
le sbarre dei cancelli,
perché non ci sia mai più un simile
che schiacci un altro simile
per un misero pregiudizio
infuso nel sangue come una malattia.