Le Mie Mani ovvero dell'Arte Poetica

di

Edmondo Canepi


Edmondo Canepi - Le Mie Mani ovvero dell'Arte Poetica
Collana "I Gigli" - I libri di Poesia
14x20,5 - pp. 220 - Euro 13,30
ISBN 88-8356-823-0

Clicca qui per acquistare questo libro

Vai alla pagina degli eventi relativi a questo Autore

Prefazione


1. NOTA BIOGRAFICA DELL’AUTORE

Edmondo Canepi è uno pseudonimo, un nome d’arte. Il vero nome dell’autore è Carlo Casu. Nato a Sestino, Provincia di Arezzo, il 1 Settembre 1937. I suoi genitori erano gente molto semplice, di origine sarda contadina. Il padre, Salvatore, era Maresciallo Maggiore dell’Arma dei Carabinieri. Di carattere molto schietto, costui, si era tuttavia formato un discreto bagaglio di cultura generale, quasi da solo, essendo un valido autodidatta, seguendo però una certa inclinazione familiare, sulle orme, nonché suggerimenti, dello zio paterno, Canonico Pietro Casu, un prete cattolico molto colto, almeno per quei tempi, parroco di Berchidda, in provincia di Sassari, paese natale di entrambi i genitori, alle pendici del monte Limbàra, in Sardegna. Pietro Casu, era uno scrittore eccellente ed un intellettuale di spicco in Sardegna ed anche fuori (Germania), poeta, autore di trattati, novelle, traduzioni da varie lingue straniere, nonché ottimi romanzi, fra i quali “Notte sarda”, forse il più famoso. Egli fu anche l’autore di un erudito Vocabolario della Lingua Sarda, che ha visto le stampe nel 2003, edito dalla Casa Editrice Ilisso .

Ora, il padre Salvatore, si dedicava, con un certo successo, alla poesia lirica e satirico-umoristica in vernacolo sardo, allora ancora molto diffusa e popolare in Sardegna, che contava una tradizione secolare, fondando a Cagliari, con Angelo Dettori e Michele Contu, una rivista, S’Ischiglia, che raccoglieva le migliori firme della letteratura sarda contemporanea, compreso lo stesso Pietro Casu.

Queste persone, hanno avuto, comunque, molta influenza sulla formazione dell’autore e contribuito così, in qualche misura, allo sviluppo della sua personalità spirituale, fin dai tempi della fanciullezza. Si trattava di una personalità certo molto attenta e curiosa per natura, soprattutto in relazione alla sensibilità istintiva dell’immaginazione ed alla creatività poetica, perché fin dai primi anni giovanili (prima di quindici anni), l’autore muoveva i primi passi e tentava spontaneamente di trovare una sua forma di espressione poetica autonoma, non in vernacolo però, che non conosceva molto, bensì in lingua italiana, avendo peraltro seguito gli studi classici, presso l’Istituto Dettori di Cagliari ed in seguito presso l’Istituto Berchet di Milano.

In quegli anni, ebbe la fortuna di seguire le lezioni e gli insegnamenti di due insigni maestri: Prof. Mario Manca, dell’Istituto Dettori e Prof. Arturo Brambilla, dell’Istituto Berchet, autore, fra l’altro, di una celebrata Storia della Letteratura Greca. Essi, gli hanno lasciato un’impronta indelebile, come tutti i grandi insegnanti ai propri allievi, facendogli amare molto i grandi autori classici latini e greci ed in genere la cultura classica.

Estroverso ed insieme introverso di carattere, combinazione piuttosto rara questa, egli trovava molto diletto, durante i periodi di solitudine forzata, che a volte cercava anche spontaneamente, ad affinare la riflessione e l’inventiva artistica, avendo un temperamento naturalmente molto fantasioso.

Di quegli anni giovanili, resta purtroppo quasi niente. Solo qualche frammento dei vari tentativi di composizione, per lo più di carattere amoroso, ispirati ad amicizie personali o di qualche compagno di scuola.
Notate, per esempio:

“Tanto cara mi sei
ed al cuor sì stretta,
che anche la vita perderei
per te Antonietta”.

Si tratta di versi, facenti parte di una canzonetta scritta su “commissione”, a Cagliari, verso la fine degli anni quaranta, per un compagno di scuola, certo Italo Pinna, innamorato di Antonietta Bianchi, una studentessa bionda molto carina, ed ispirati agli amori sdolcinati della prima adolescenza.

Solo tracce, dunque, che la memoria vorrebbe raccogliere, custodire ed arricchire, nella prospettiva di una continua evoluzione e del gusto e dello stile, cominciato proprio con la ricerca attenta di un ritmo e di rime adeguate.

Molte di queste composizioni, come “Frammenti” e “Limbàra”, rimaste quasi intatte e fedeli, riescono ancora a testimoniare di quegli anni di giovanile fervore e di fantasie sincere, seppure immaturamente espresse, ma di cui ancora conservano la freschezza e la spontaneità, nelle sensazioni immediate, che, di tanto in tanto, vi affiorano.

E la fantasia, appunto, questa meravigliosa e misteriosa facoltà, egli continuamente sviluppava ed accresceva, attraverso la lettura di libri giovanili, soprattutto di narrativa, di avventure, persino dei fumetti di quel tempo, così come nella ricerca autonoma di quelle forme o attività che più gli si confacevano, comprese le attività del tempo libero e gli “amoretti” scialbi e svampiti della giovinezza, fatti principalmente di sguardi, di letterine timide e di versi, qua e là. Cose del resto familiari a tutti gli adolescenti del suo ambiente, della sua età e del suo tempo.

Si dimostrava, però, poco adatto alla disciplina scolastica, sia perché era molto timido, sia perché non aveva consolidate tradizioni di famiglia (il prozio Pietro, era un’eccezione!), in seno alla quale non fu certo incoraggiato. Inoltre, non era minimamente ambizioso. Infine, fece una scelta personale, negli anni più maturi: si rifiutò di continuare a seguire una cultura ispirata al “nozionismo”, difetto tipico della cultura italiana del dopoguerra. Avrebbe voluto una cultura più di contenuti e di sostanza, non si accontentava della superficialità dei testi scolastici e delle varie tesi. Non gli piacevano i risultati pratici e di vita raggiungibili con tale cultura inquinata. Erano quelli anche gli anni della cosiddetta contestazione giovanile… Ma, non aveva né le risorse economiche, né quelle fisiche per perseguire qualche fine più nobile. E così abbandonò gli studi normali, ma scoprì, forse casualmente, di avere facoltà e vocazioni non del tutto trascurabili, come la passione genuina per la filosofia e per l’arte poetica e si sentì così, in seguito, interiormente più realizzato. Gli studi classici, a detta di alcuni esperti, lasciano come una “forma mentis” ed una grande capacità di apprendimento, insieme con un discreto bagaglio culturale, pronto ad essere utilizzato ed arricchito nel tempo. Ma soprattutto, una mente sveglia, critica e molto adatta all’indagine scientifica.

Frequentò, per qualche tempo, l’Università Cattolica di Milano, iscrivendosi alla Facoltà di Economia e Commercio. Ciò, pur essendo contrario alle sue inclinazioni morali più profonde, che in quel tempo lo spingevano di più verso la Medicina, gli consentì però di entrare a lavorare in banca. Diventò così un “colletto bianco” della Banca Commerciale Italiana di Milano, dove lavorò molti anni, fino all’età del pensionamento. Tale attività, gli consentì di “sbarcare il lunario” in una situazione di prestigio e di sicurezza sociale notevoli.

Mise su famiglia abbastanza presto (1961), sposando Maria Melilli, di origine siciliana e n’ebbe due figli: Marcello e Luisa.
Svolse il servizio militare a Como (Camerlata), dove conobbe Aldo Caravati, l’amico che morì giovanissimo, a causa di un incidente automobilistico, mentre ritornava in caserma, una sera di ottobre dell’anno 1964. Ne soffrì interiormente a lungo. A lui dedicò un canto molto accorato, “All’amico”. Poi, alla fine degli anni ’60, nacque un ardente passione per la fotografia ed il cinema amatoriale, che gli offrì un lunghissimo periodo di soddisfazioni interiori e di rinnovata creatività, riaprendogli le porte della vita interiore e persino della poesia.

Ciò che era cercato per semplice hobby, rappresentò col tempo, un modo di identificazione della personalità, una tendenza costante all’analisi del pensiero, fino alla riscoperta integrale del pensiero cristiano ed alla sua più autentica interpretazione in chiave filosofica, alla sintesi del quale pensiero, potrebbe forse dare un contributo importante, un’espressione più attuale e moderna, se non ci fossero serie difficoltà pratiche, soprattutto nella diffusione delle idee, essendo oggi peraltro la filosofia, come tale, caduta alquanto in disuso, a tutto vantaggio della scienza, nella cultura dell’uomo moderno. Altrettanto si potrebbe dire della poesia, oggi (ahimè!) poco letta e compresa. Nella continua rincorsa dei cicli e ricicli storici (G. Vico), noi oggi viviamo chiaramente l’età della scienza, ma non della fantasia (poesia) e della ragione pura (indagine filosofica), che restano solo marginali nei gusti e nelle tendenze culturali del nostro tempo.

In quegli anni (‘70-‘80), fece anche molte esperienze religiose, prendendo contatto con diversi gruppi o sette, fra le quali i famosi Testimoni di Gèova, una setta molto zelante ed insidiosa, che gli mise a disposizione due anziani coniugi, Arnaldo e Carla Squarcia (lui era presbitero della setta), per uno “studio a domicilio” delle “loro” Sacre Scritture. Dico delle loro, perché si tratta di una sorta di bibbia ad uso e consumo esclusivo della setta, non accettata quindi dagli altri cristiani, perché al di fuori dei canoni e della tradizione cristiana. Ricordo che fu un’esperienza molto scioccante, che diede però la possibilità all’autore, attraverso un’attenta analisi e riflessione, di ricostruire la verità cristiana andando per così dire a ritroso, cioè partendo dalle false dottrine della setta, un po’ come era successo a Sant’Agostino, che avendo aderito alla setta dei Manichei (i Testimoni di Gèova di quel tempo!), solo in età matura si convertì al cristianesimo, grazie anche all’aiuto ed alle insistenze della madre Monica ed alle prediche di Ambrogio, allora vescovo di Milano.

Fu, alla fine, un nuovo, vero battesimo spirituale, che gli diede un’impronta definitiva di rinascita e di vita, oltre che di stile, facendo riscoprire all’autore l’importanza della vita e dei valori cristiani, nonché la necessità della testimonianza, ossia del “martirio”, nel suo significato greco originario.

In questa cornice, l’antologia “Le Mie Mani, ovvero dell’Arte Poetica”, rappresenta la prima raccolta di poesie dell’autore, la cui prolificità è limitata, perché sviluppatasi anche in anni molto maturi. Si tratta di un’antologia di cantici ordinati, non solo secondo la loro nascita cronologica e quindi riflettenti di volta in volta l’evoluzione ed una tecnica mano a mano più sofisticate, ma anche secondo il motivo principale dell’ispirazione che li generava ed inoltre, come espressione di una costante vocazione per la forma di interiorizzazione lirica ed elegiaca insieme, più consone alle esigenze ed alla sensibilità dell’artista, forse anche in questo influenzato dalla precedente attività paterna.


2. COMMENTO PERSONALE E CENNI SULL’ARTE POETICA

Cultore di “filosofia dello spirito”, di cui ho scritto anche due saggi: “Chi è l’uomo tecnologico e dove va? Nuove ed antiche frontiere del pensiero umano”; “Conformismo nelle scelte etiche, oppure rigetto dei costumi e coerente coraggio di esprimere un proprio diritto alla libertà?”, che attualmente sono stati rielaborati in un libretto di appunti intitolato: “La Mia Mente, ovvero l’Arte di Pensare”.
Intravedo, così, una nuova sintesi interpretativa tra la filosofia ed il pensiero cristiano, ovviamente nei suoi contenuti più elevati e maturi.

L’arte in genere e la poesia in particolare, sono, “evocazioni”, “effusioni”, “momenti dello spirito umano” (la nostra amata Musa, riaccende forti emozioni, quasi ricordi viventi,) e questo principalmente spiega il loro alto contenuto di universalità. La poesia è rievocazione del passato, rivelazione del presente e anticipazione del futuro. Ma la poesia è anche: “èst lughe e amore”, “è luce e amore”, come spiega lo scrittore Pietro Casu in un’epistola poetica in quartine inviata al poeta sardo Antonio Cubeddu, di Ozieri. Secondo alcuni è il “nutrimento più prezioso per l’anima”, anzi, come si esprime sempre Pietro Casu nella lettera in versi indirizzata a Remundhu Giagoni, “ch’a sas animas dat dies d’‘eranu”, cioè: “alle anime concede giorni di primavera”, perché è uno fecondo stimolo al rinnovamento spirituale della persona.

Perciò, anche la forma, il “modus”, cioè il gergo, lo stile e le dimensioni, non sono minimamente condizionabili da criteri di scelta e da canoni fissi, come non esiste il vecchio e il nuovo, l’antico ed il moderno, il classico ed il romantico: discussioni che hanno infervorato inutilmente le menti durante quasi tutto il XIX secolo ed i primi anni del XX secolo. Non c‘è neanche il tempo, il prima o il poi, nella stessa opera d’arte, perché i vari temi, subiscono attraverso il tempo, per così dire dei rifacimenti e degli affinamenti continui, pur conservando come legame, un filo principale che li unisce (“Non terminare, non recidere un fiore, perché se ne muore”).

Questa continua elaborazione spirituale termina in un momento preciso: la morte dell’autore. Ma, tutto è dunque relativo a determinati atteggiamenti dello spirito ed alle misteriose involuzioni, nelle quali si sviluppano i temi cari all’autore ed i ritmi interiori della vita umana, ed in cui si concreta infine il “tango” metafisico dell’artista, più che ai capricci della moda ed alle qualità esteriori.

Anche la rima, non è altro che un ritmo tradizionale, uno degli infiniti ritmi e metriche (modelli) che ci provengono dal mondo dello spirito, come la luce delle stelle dalle profondità del cosmo. Se dalla musicalità delle ripetizioni o dalle coincidenze vocali, si ricava, in poesia, un senso di magico o divino, per questo, forse, tale ritmo era il preferito nei tempi andati, presso le corti dei principi, fin dai tempi omerici, tanto per intenderci, come nelle corti del Medioevo o del Rinascimento, quando i menestrelli o i cantastorie, creavano spettacolo, come fa adesso la televisione. Ma è la poesia che dà questo senso, coadiuvata in questo anche dal ritmo prescelto. . Perché la poesia è veramente un fenomeno “mondiale”: essa merita pienamente l’attributo di “divina” in quanto è un frutto puro dello spirito!

Ogni ritmo del verso è come l’ampiezza del respiro particolare della singola poesia, in quel contesto, in cui si è materializzata, per cui determina una diversa rima o meglio un diverso grado di armonia del verso. Quindi varia può essere tale ampiezza, in un altro contesto o in un autore diverso. Anche lo spazio fra una strofa e la seguente, possono esprimere, ma non necessariamente, come una sorta di pausa nel ritmo del respiro poetico dell’autore e dei lettori stessi della poesia.
Alcuni, poco edotti, ritengono che sia poesia autentica solo quella in cui sia rigidamente presente un verso rimato, la cosiddetta “rima”. Senza rime non riescono ad apprezzare la poesia. Questo, ora, è ritenuto un elemento soltanto accessorio alla poesia e la letteratura moderna tende a sottovalutarlo, ridimensionandolo al suo ruolo effettivo di ritmo interiore. Tale tecnica è, fra l’altro, spesso causa, sebbene involontaria, di una successiva, cattiva elaborazione recitativa della poesia, trasformandola in una filastrocca, forse più facile da memorizzare, ma contro ogni buon senso della recitazione e spesso anche contro il volere dell’autore stesso. Inoltre, anche la memorizzazione della poesia, non è un elemento necessario, ma una scelta molto oculata da parte dell’attore, per sue esigenze peculiari inerenti la recitazione.

La rima è ritenuta quindi un ritmo poetico ormai arcaico e superato. Fin dal XIX secolo (Foscolo, Leopardi, Manzoni ecc.), sono cambiati i gusti, la rima tende a scomparire e alcuni la ritengono oggi addirittura banale. La vera rima ha d’altronde un carattere spontaneo in alcune poesie, anche moderne, ma senza una regola fissa, basandosi esclusivamente sulle esigenze dei contenuti e degli accostamenti di immagini poetiche. Ciò non vuol dire però che sia disonorevole usarla, purché non disturbi e non condizioni il fluire dell’ispirazione e dei contenuti poetici, anziché, come avviene spesso, forzarli in una direzione sbagliata.

L’importante è quindi non formalizzarsi troppo su questi ritmi. Nessuno di essi infatti eccelle sugli altri. Ma è come per un vestito: ogni artista, subisce un fascino diverso, che dà impulso alle sue ispirazioni. Però, si contano infiniti tipi di ritmi interiori, quasi come gli individui.

Anche il titolo di ogni singola poesia, è importante, in quanto delimita, in un certo senso, l’argomento, i contenuti dell’opera, ma soprattutto dà il “là poetico” e quindi l’intonazione sia all’autore, che al lettore e quindi è una guida all’interpretazione del momento creativo, non meno di altri elementi, che fanno da cornice, come il commento olografo.

Ci sarebbe anche tutto un discorso da fare sulle figure retoriche o simboliche e quindi sulle allegorie che nascono nell’attività poetica. Esse costituiscono l’elemento più difficile ed ermetico del linguaggio poetico e possono essere spiegate spesso solo con l’ausilio dell’autore. Sono anch’esse, in fondo, il frutto molto maturo dell’attività spirituale del poeta e quindi occupano uno spazio a parte, anche se sono modelli universali ed accessibili a tutti, con un adeguato supporto didattico. Perché tutto ciò che è spirito è appannaggio di tutti gli uomini. Una mia risposta su questo problema è formulata più avanti, quando si parlerà delle note d’autore.

Infatti, lo spirito umano, non è il singolo, cioè l’individuo, la sua anima, bensì una capacità intrinseca, una “essenza” universale, eterna, indistruttibile ed immanente la realtà (come insegna anche Aristotele), che è partecipata all’uomo ogni volta che nasce e che lo abbandona inesorabilmente alla morte. Esso non s’identifica con l’anima umana, se non per meri criteri storici, contingenti e di riferimento, in quanto è l’assoluto che si esprime attraverso il relativo ed il reale. La Sacra Bibbia, afferma in Proverbi 20:27 che: “Lo spirito dell’uomo è una lucerna del SIGNORE, che scruta tutti i recessi del cuore.”

Falso il detto latino, ispirato all’umanesimo: “Ars gratia artis”, cioè “ l’arte per l’arte”, senza nessun’altra finalità, se non quella estetica. L’arte è uno strumento conoscitivo e pedagogico. Benedetto Croce nella sua Estetica afferma:
“...perciò l’arte è conoscenza, è forma, non appartiene al sentimento e alla materia psichica”.

Per il credente cristiano, in particolare, l’arte può diventare uno modo molto sofisticato per accedere ai valori eterni, a Dio stesso, quindi, tramite l’intervento ed il sostegno dello Spirito Santo, che agisce come Fattore creativo per eccellenza, di ampliamento, di potenziamento e di rafforzamento dello spirito umano, onde ispirarlo, orientarlo e soprattutto elevarlo, senza mai per questo condizionarlo, purificandolo semmai dalle scorie e dalle imperfezioni della natura umana. E il tutto avviene perché l’uomo è un essere animale potenzialmente “trivalente”: anima, spirito e Spirito Santo.

La poesia, esprime ed evoca, in questo contesto, i valori molto spirituali, che le sono propri, principalmente come relazioni di fede, di lode, di culto e di servizio al Datore di vita. Lo scrittore Pietro Casu, in un’epistola poetica indirizzata a Pedru Seche de Nulvi, afferma che: “Sa grascia sua ti diat s’Eternu e ti cunzedat sempre mezus vena pro laudare a Isse in sempiternu”, cioè: “ La grazia sua ti dia l’Eterno, e ti conceda sempre miglior vena poetica per lodare Lui in eterno”. Essa è quindi, in definitiva, un’esigenza religiosa per l’autore. Ed in quanto tale, è come un riflesso genuino della storia dell’anima (quasi un diario!), un’anima religiosa ed appassionata, nello stesso tempo, inserita impropriamente nella realtà storica attuale, che è come contrassegnata da un accentuato sviluppo e predominio di materialismo ateo, in cui la frase ricorrente è: “Dio è morto” (Nietzsche), anzi, non è mai nemmeno esistito, per la maggioranza delle persone del nostro tempo, che non l’hanno mai voluto conoscere.

Confesso che, come autore e persona umana, resto fortemente innamorato della mia terra, la Sardegna (anticamente Ichnusa, cioè Isola degli Ichsos), e che vivo come in un forzato ed involontario esilio, lontano da essa e dal suo ambiente. Ma, m’illudo di vivere sempre in essa e per essa, nonostante il distacco, e sento forte il richiamo degli avi, che mi chiedono continuamente di ritornare. Una misteriosa convinzione spirituale mi fa presentire che ritornerò un bel giorno al mio popolo, alle mie radici terrene, dunque, ma in un contesto completamente diverso: un’isola rinnovata e ideale, come una nuova Arcadia o “Età dell’oro”.

Sento il bisogno prepotente ed incessante di raccontare la mia singolare esperienza spirituale alle generazioni attuali ed a quelle future, al solo scopo di glorificare e di testimoniare la mia fede nel nostro Creatore, tramite Gesù Cristo. Per questo, mi sono deciso a scrivere questa raccolta di cantici ed ho adottato questo titolo significativo per la mia opera.

Quanto all’uso ed alla conservazione di un certo linguaggio o gergo, dissento da tutti i dogmatismi gretti, cose da “Accademia della Crusca”, tanto per intenderci, in quanto un determinato artista o poeta, pur utilizzando quello che di meglio gli riesce, da un punto di vista del tutto strumentale, scrive pur sempre seguendo modelli mentali, fornitigli a monte dal suo ambiente biologico-sociale, dall’accumulo per cosi dire di materiale “genetico”, e quindi può benissimo capitare che scriva utilizzando un linguaggio diverso dalla sua mentalità propria, ma ciò che più conta, in definitiva, sono le “forme spirituali”, i modelli ideali, che restano comunque eterni (Platone), oltre che l’espressione universale, cioè comprensibile alla più vasta cerchia di individui.

Io, per esempio, scrivo in lingua italiana, ma con una sensibilità sicuramente diversa e me n’accorgo. Però, mi sento completamente estraneo (e non lo nascondo) a tutte le disquisizioni inutili in materia linguistica. Sono invece d’accordo con Benedetto Croce (Estetica), il quale afferma la superiorità della “forma spirituale”, su tutte le forme esteriori della materia, nell’opera artistica:
“L’atto estetico è, perciò, forma, e niente altro che forma.”
Per cui, ripeto, non m’interessano più di tanto le ricorrenti campagne sulla conservazione o meno della purezza linguistica o dialettale, che nascondono forse altre mire ed interessi, estranei all’arte. Penso che si tratti sostanzialmente di una mera opportunità storica e quindi di una scelta non obbligata da parte dell’autore.
La lingua, in sostanza, mi sembra che sia piuttosto un insieme di radici, di tradizioni e di retaggio patrio, un qualcosa di più ampio respiro, di sacro e di profano, allo stesso tempo. Riguarda un’aggregazione demografica abbastanza vasta e numerosa, con una tradizione storica ben definita alle spalle, non una minoranza.

Al riguardo, riferisco l’opinione del grande poeta Giacomo Leopardi, nelle sue Operette morali – Il Parini ovvero della gloria – capitolo II:
“Oltre di ciò considera quanta sia nelle scritture la forza dello stile; dalle cui virtù principalmente, e dalla cui perfezione, dipende la perpetuità delle opere che cadono in qualunque modo nel genere delle lettere amene. E spessissimo occorre che se tu spogli del suo stile una scrittura famosa, di cui ti pensavi che quasi tutto il pregio stesse nelle sentenze, tu la riduci in istato, che ella ti par cosa di niuna stima.
Ora la lingua è tanta parte dello stile, anzi ha tal congiunzione seco, che difficilmente si può considerare l’una di queste due cose disgiunta dall’altra; a ogni poco si confondono insieme ambedue, non solamente nelle parole degli uomini, ma eziandio nell’intelletto, e mille loro qualità e mille pregi o mancamenti, appena, e forse in niun modo, colla più sottile e accurata speculazione, si può distinguere e assegnare a quale delle due cose appartengano, per essere quasi comuni e indivise tra l’una e l’altra.”

Questa mia piccola raccolta, nata purtroppo tardi, rispetto al tempo concessomi, rappresenta tuttavia il mio sincero e singolare tentativo di dialogo con la Realtà Metafisica, cioè Dio, il mio incessante bisogno di questo contatto, ma anche la mia consapevolezza, essenzialmente di natura cristiana, di poter vivere così la vita dello spirito, in una forma molto interiore e di ascesi mistica. Io ritengo che questo mio slancio libero e spontaneo verso il nostro Dio e Padre, il vero Iddio, che ci ha creati insieme con tutte queste cose meravigliose ed al quale va ora e sempre il mio plauso, il mio entusiasmo, la mia lode ed il mio ringraziamento, sia il mio vero e unico motivo di vita, anche se non il più perfetto approccio con Dio.

Ecco dunque, che si tratta di un’antologia particolare, questa mia, in quanto sostanzialmente “confessionale” ed ispirata alla Parola di Dio, la Sacra Bibbia e più in generale alla fede cristiana, cioè alla chiesa vivente, a Gesù Cristo. Perciò, originariamente, il suo titolo era: “Canto degli Angeli fedeli”. In seguito, fu modificato, per renderlo più accessibile letterariamente. In questo è il mio volume “Le Mie Mani, ovvero dell’Arte Poetica”, in quanto lo Spirito che mi è immeritatamente concesso e donato, mi spinge a fare continuamente come si esprime Dio stesso, per bocca di Davide, in Salmi 69 vers. 30-32:
“Io celebrerò il nome di Dio con un canto, e lo magnificherò con le mie lodi. E ciò sarà accettevole all’Eterno più d’un bue più d’un giovenco…”.
Nella Lettera ai Romani al cap. 8, vers. 26-27:

“Parimenti ancora, lo Spirito sovviene alla nostra debolezza, perché noi non sappiamo pregare come si conviene; ma lo Spirito intercede egli stesso per noi con sospiri ineffabili; e Colui che investiga i cuori conosce qual sia il sentimento dello Spirito, perché esso intercede per i santi secondo Iddio”.
Antonio Cubeddu, nella risposta in quartine, indirizzata allo scrittore sardo Pietro Casu, canta in un contesto analogo:

“Canto, ca cantad‘àpp’in ogn’edade,
e si mi giamat Deu in s’ultim’ora,
a su reposu de s’eternidade
ispero de cantar’inie ancora.”

In italiano, suona pressappoco così:

“Canto perché mi è congeniale,
e se al riposo dell’eternità,
mi chiama Iddio, come mortale,
io spero di cantare anche colà”.

Non si tratta però di una mera presunzione di santità, cioè di elezione, comune d’altronde a quella di tanti altri cristiani. Questa mia testimonianza, questa “chiamata”, è fatta principalmente di “sospiri ineffabili”, ed il mio unico desiderio è che il lettore intraveda, all’interno dei miei versi, questo eterno atteggiamento dello spirito, anzi questa profonda devozione e coinvolgimento dello Spirito, diretto verso le infinite benevolenze di Dio, ed a queste umilmente soggetto ed attento, perché Dio tutto accoglie e giustifica nella fede. Capace quindi di evocare in termini altamente ispirati e sinceramente cristiani, alcuni momenti particolari di sentimento e di fede, comuni a tutti noi cristiani, senza limiti temporali. Quindi, si riferisce alla Chiesa vivente. È questo, il mio augurio, per il lettore attento, cui si rivolge, ripeto ancora umilmente, questa mia opera, che rappresenta così come il mio testamento spirituale.

Da quanto già detto, discende anche un altro importante principio dell’arte poetica, come io la intendo: quello della chiave di lettura e di recitazione dei canti, i quali, essendo costituiti essenzialmente da “sospiri ineffabili”, devono essere sussurrati, cioè letti a bassa voce, modulando dolcemente i suoni e scandendo lentamente le parole. Oltre che con particolare enfasi e calore, trattandosi di una preghiera, di un’autentica evocazione dello spirito umano, non di una recitazione teatrale, retorica, ripetitiva, né tanto meno di una filastrocca, di una cantilena, come molti, anche attori famosi, oggi usa e come s’insegna talvolta (purtroppo!) nelle nostre scuole e accademie d’arte drammatica.

Ho cercato, il più possibile, di esprimermi usando immagini poetiche chiare, cioè fresche e correnti, facili da apprezzare anche da parte dei meno dotati, evitando le ricercate circonlocuzioni di un certo ermetismo ancora imperante nella poesia nostrana, che nasconde, ahimè, l’incapacità e la nullità spirituale di molti artisti contemporanei, poveri d’ispirazione, di stile autentico e soprattutto di contenuti veri.

Gli è che molti critici d’arte, persino ai nostri dì, scambiano erroneamente per vigore, stile e classe, quelle forme vaghe ed indefinite, vuote ed insignificanti. Sono invece un vero “schianto”, fatto tanto spesso di versetti fatiscenti, frutto apparente di virtuosismi vocalistici e d’espressioni vistose, appariscenti, ma, in effetti, scopiazzate a destra ed a manca (plagio!). Per non parlare della cosiddetta poesia impegnata e quindi corale e persino epica, che per tanto tempo ha oscurato gli orizzonti dell’autentica tradizione poetica italiana, che non è solo anti-Arcadia o Arcadia, ma è frutto in primo luogo della libertà dello spirito umano, al di fuori d’ogni schema costrittivo. E così, purtroppo, la poesia genuina perde le sue qualità peculiari, cioè prestigio e piacere di trasmettere un messaggio, persino presso i più intransigenti sostenitori, essendo tradito il suo ruolo essenziale d’interprete e di intermediaria privilegiata del mondo dello spirito, ridotto e ridimensionato al rango di un “frasario per sordomuti” e d’immagini poetiche incomprensibili (altro che “salti pindarici”!), difficilmente accessibili ed apprezzabili dal sentimento popolare, e quindi non più veicolo d’universalità e d’umanità autentica.

Al riguardo, il famoso scrittore uruguaiano Mario Benedetti, scrittore di lingua spagnola, dell’area sudamericana, considerato attualmente più popolare e più amato nel mondo, con Gabriel Garcia Màrquez, ebbe a dire, in un’intervista: “...scrivo in modo semplice, per farmi capire dal popolo. Se la gente che legge non capisce, come poeta hai fatto un lavoro sterile”.

Interessante, a proposito, anche un’espressione del famoso, indimenticabile attore napoletano Massimo Troisi, nel film “Il postino” che, in una conversazione, afferma testualmente: “La poesia non è di chi la scrive, ma è di chi gli serve!...”.

Come una trama invisibile di natura spirituale, per cui il lettore della poesia è come trascinato, coinvolto nel mondo fantastico intessuto dal poeta, che lui stesso finisce per impersonarlo e riviverlo, come se fosse il suo stesso mondo… Questo, la dice lunga sul carattere di universalità che deve avere la poesia e sul suo influsso nel mondo dei sentimenti umani!

Ma, purtroppo, la poesia, oggi come oggi è poco letta ed amata dalla maggioranza delle persone! Come mai è così negletta questa forma pur così importante della letteratura?

Infatti, mentre la stessa impressione l’aveva già espressa il poeta Giacomo Leopardi ed ancor prima lo stesso Petrarca, vissuto diversi secoli avanti, riporto di seguito l’opinione illustre del sommo poeta, nonché pensatore sull’argomento, nelle sue Operette morali – Il Parini ovvero della gloria – capitolo IX:

“Così le due parti più nobili, più faticose ad acquistare, più straordinarie, più stupende; le due sommità per così dire, dell’arte e della scienza umana; dico la poesia e la filosofia; sono in chi le professa, specialmente oggi, le facoltà più neglette del mondo; posposte ancora alle arti che si esercitano principalmente colla mano, così per altri rispetti, come perché niuno presume né di possedere alcuna di queste non avendola procacciata, né di poterla procacciare senza studio e fatica. Infine, il poeta e il filosofo non hanno in vita altro frutto del loro ingegno, altro premio dei lori studi, se non forse una gloria nata e contenuta fra un pochissimo numero di persone. Ed anche questa è una delle molte cose nelle quali si conviene colla poesia la filosofia, “povera” anch’essa e “nuda”, come canta il Petrarca, non solo di ogni altro bene, ma di riverenza e di onore.”
Al capitolo X, lo stesso poeta conclude amaramente: “...Dunque per ultimo ricorrerai coll’immaginativa a quel estremo rifugio e conforto degli animi grandi, che è la posterità...”

Altro problema negativo è rappresentato dalle tendenze spesso troppo “esterofile” degli italiani moderni, cioè dall’amare troppo ciò che viene dall’estero, anziché quello che viene prodotto nella propria terra, anche in tema di letteratura L’esperienza letteraria dimostra che non manca niente nel proprio paese, che tutte le esperienze spirituali possibili si trovano anche qui: l’uomo è sempre lo stesso, nonostante gli insegnamenti della storia. Lo spirito umano vaga senza posa in tutto il mondo!

Questa decadenza della poesia dall’uso familiare è però solo apparente. Infatti sopravvive in forme diverse. Innanzi tutto alcune prose, sono più poesia che prosa! Si pensi, per esempio, ad alcune parti dei Promessi Sposi del Manzoni ed altri grandi autori moderni, di cui mi sembra banale citare il nome.

Ma, soprattutto, sopravvive nella canzone, la grande canzone melodica e non, in cui, inaspettatamente, le strofe sono pura poesia.
Non per niente, certa poesia ha un genere che si definisce canzone o cantico. La poesia si può cantare! E la musica dà vigore e valorizza la poesia, fondendosi con i ritmi che le sono propri.

La poesia, comunque, per sopravvivere nelle sue forme tradizionali, cioè come poesia da leggere e recitare, ha bisogno di rinnovarsi, anzi di innovarsi. Basta con le forme troppo tradizionali e basta anche con forme troppo ermetiche!

Vorrei anche citare al proposito “I fondamenti della critica letteraria” di I.A. Richards, un grande maestro e pensatore del nostro tempo, importante esponente della scuola critica di Cambridge, docente ad Harvard nel dopoguerra e autore frequentato più dagli studiosi di poetica e di letteratura che dai filosofi. Quello che mi ha molto colpito del suo pensiero è la differenziazione fra i due usi fondamentali del linguaggio: l’uso scientifico e l’uso emotivo o poetico. Nel primo conta il riferimento, vero o falso, di un enunciato; nel secondo l’effetto, efficace o inefficace. Il che significa che possiamo verificare gli enunciati scientifici, ma sarebbe sciocco cercare di verificare quelli poetici, che vanno invece valutati per le emozioni e gli atteggiamenti che riescono a produrre su chi ascolta. L’artista non fa asserzioni verificabili, ma influenza con la sua mente altre menti, facendo leva su un sentire comune, allo stesso modo in cui il retore antico influenzava il proprio uditorio, facendo leva su opinioni condivise.

In questo senso, un’opera d’arte ha tanto più valore quanto più è comunicativa, quanto più raggiunge e coinvolge un pubblico, al punto che l’esperienza dell’artista nel realizzarla e quella del destinatario nel fruirla, anche se non sono identiche, sono tuttavia molto simili. Ma il coinvolgimento non è mai universale, in quanto gli individui non reagiscono allo stesso modo di fronte a un quadro o a una poesia. La natura umana è così varia e le menti così diverse, che solo un preconcetto idealistico può ipotizzare una fruizione oggettiva e immediata dell’arte disancorata dalla storia, dalla psicologia e dall’esperienza di vita di ogni individuo. “Nessuno, che abbia, un po’ di esperienza… nell’insegnamento della letteratura inglese, vorrà sostenere che il richiamo esercitato da Shakespeare sia omogeneo. Persone diverse leggono e vanno a vedere lo stesso dramma per ragioni affatto diverse. Queste due persone applaudono, siamo inclini a credere… che abbiano avuto le stesse esperienze, quando, in verità, se per caso se le scambiassero, spesso l’esperienza del primo riuscirebbe nauseante al secondo, e quella del secondo lascerebbe il primo perduto e sgomento”.

Di universale, lascia intendere Richards, ci può essere solo il consenso sulla verità e la falsità degli enunciati scientifici. Su questi tutti gli individui si troveranno d’accordo.

Posizione non completamente condivisibile, come ho spiegato in avanti, in cui è molto importante più che le opinioni o le emozioni in comune, lo spirito in comune. L’autore intesse una sottile trama, che trascina il lettore o destinatario fruitore dell’opera artistica, fino a farne condividere le stesse emozioni e le stesse sensazioni estetiche, che rimangono quindi soggettive e/o oggettive. L’autore crea le impronte o segni e il beneficiario non deve far altro che seguirli, un po’ come Pollicino nell’immaginario bosco delle favole… inseguiva i sassolini, che però, lui stesso aveva lasciato cadere prima, trascinando seco anche i fratellini. Perché, bisogna dire, che anche l’autore è, in un certo senso, destinatario fruitore egli stesso di questa sottile trama spirituale (il ragno che rimane impigliato nella sua stessa ragnatela??)! Se poi c‘è un groviglio, il fruitore dell’opera d’arte tenta invano di dipanare la matassa e spesso non ci riesce!

Non tutta la poesia del tipo ermetico è però da cestinare. Vi sono casi conclamati di genuinità, anche in seno alla poesia più difficile ed io stesso ne ho fatto qualche esperienza nella mia raccolta “I Cantici della Vita Nuova”, in cui ci sono poesie di tipo nuovo, ispirate sempre al genere “sospiri ineffabili”, caratteristica però di molta letteratura e liturgia della chiesa primitiva, in cui era considerata nell’ambito del carisma o dono delle lingue (Lailomania): un modo apparentemente incomprensibile di esprimersi nelle adunanze cristiane, improntato alle preghiere cristiane, che era considerato anch’esso un dono (carisma) dello Spirito Santo: il dono delle lingue.

Io, da un punto di vista letterario, più che di poesia ermetica, nel caso mio, in particolare, parlerei soprattutto di poesia astratta, surrealistica e futuristica. Perché la poesia sopravvive, in fondo, oggi, quasi esclusivamente così, come le arti figurative, la pittura e la scultura, in forme astratte e irrazionali, in forme metafisiche e surreali, come i nostri gusti, proiettati, come sono, verso un futuro futuribile.. e questo è anche il mio tentativo di innovare la poesia di oggigiorno.

Ma, come già premesso, il mondo della poesia è molto ampio e non si può facilmente catalogare o criticare, secondo i propri gusti personali.

Non per riferirmi alla cosiddetta “poetica del fanciullino”, di Giovanni Pascoli, di cui si è molto discusso in passato, ma anche io riconosco in fondo che la poesia è quasi un modo infantile di approccio alla realtà ed un modo quasi irreale di esprimerla. E ciò non solo per l’ingenuità in cui scaturiscono i versi ed i temi poetici, ma anche per l’assoluta semplicità dei sentimenti connessi, che fanno pensare molto a quelli di un fanciullo. Ecco! Se un fanciullo avesse le capacità espressive di un adulto, si esprimerebbe in versi!...

Altra innovazione che propongo nei miei cantici, è un breve commento dell’autore per ogni singolo cantico. Ciò si rende necessario ed utile per introdurre veramente il lettore nel momento o situazione spirituale dell’autore, onde impedire anche che l’opera d’arte prenda per così dire il volo e viva di vita propria, autonoma, arricchendosi delle risonanze interiori, che suscita in chi la incontra e ne gode, i quali effetti, però, non corrispondono quasi mai agli intenti artistici dello stesso autore e quindi sono di per sé stessi fuorvianti. Tali elementi, momento e situazione spirituale dell’autore, non possono essere spiegati integralmente da un critico esterno, a posteriori, sulla base di intuizioni soggettive o, peggio ancora, fantasticherie estetiche ed accademiche, che “non stanno né in cielo né in terra”. Ho notato che in varie antologie di autori diversi, qualcosa del genere esiste già...
Spesso ho però anche notato che questi commenti sono più nocivi che altro alla comprensione della poesia, mettono fuori strada il lettore, in quanto alimentano la critica nei confronti dell’autore, anziché un maggiore avvicinamento ai suoi sentimenti, sono più che altro diretti a mettersi in bella mostra come critici d’arte, mentre dovrebbero assolvere ad un diverso impegno e quindi, in definitiva, vanno evitati. Positivo invece il commento dell’autore, che solo può far luce sui suoi sentimenti personali e sull’atteggiamento che sta a monte della poesia singola. In sostanza, l’autore deve diventare il vero conduttore critico del suo stesso lavoro.


3. DEDICA

Opera, infine, dedicata a quelle persone che mi sono state più vicine e che mi hanno offerto, pur attraverso contraddizioni e travagli, dei momenti indimenticabili di caldo affetto e di sofferta comprensione, attraverso i quali, infine, ho potuto intravedere le imperscrutabili vie dell’amore divino e dei suoi valori eterni.

Dedicata particolarmente a mio padre Salvatore (Baròre), morto nel 1989, che sia pure inconsapevolmente, come avviene per tutte le cose che vengono da Dio, mi ha trasmesso, dopo averle lui stesso sviluppate ed affinate, queste stupende capacità e sensibilità, ma anche a mio zio Pietro Casu, morto nel 1954, che mi ha, in definitiva, trasmesso il dono della fede e della speranza cristiana, essendo il mio vero “padre spirituale”, oltre a questa inclinazione alla letteratura, come favori particolari (carisma) e strumenti anch’essi della Divina Provvidenza, dono esclusivo di Dio, finalizzati quindi ai suoi meravigliosi ed imprevedibili progetti di vita eterna.

L’autore


Le Mie Mani ovvero dell'Arte Poetica


LIBRO PRIMO

Cantici della Nostalgia
LIMBÀRA

Canto concepito agli inizi degli anni ’70, ma terminato molto più tardi, quando, in seguito ad una profonda crisi religiosa ed al contatto diretto con alcune sette religiose, cristiane “fondamentaliste”, insieme all’interesse, più che altro spontaneo, sorto in seguito allo studio della Sacra Bibbia, si era aperto così un nuovo capitolo nella vita interiore dell’autore, caratterizzato da una più intensa attività letteraria, accompagnata da una gran passione per gli studi, soprattutto quelli storici e filosofici.
Impressioni indefinibili e melanconiche, ispirate a momenti della prima giovinezza, quando l’autore si ritrovava spesso in solitudine, a riflettere sulla vita degli avi, gente molto semplice e povera, i quali avevano fra l’altro una vecchia fattoria, “Lettusiccu”, sulle pendici del monte Limbàra, in Sardegna, dove spesso, d’estate, quando era ancora ragazzo, si recava insieme alla famiglia, ad alcuni parenti ed inservienti pastori, per trascorrervi qualche giorno di vacanza un po’ diverso. Lì, s’erano, in certe occasioni, verificati anche momenti memorabili d’incontro col celebre zio Pietro, autore di “Notte sarda”, il quale riuniva tutti, intorno alla sua figura affascinante d’uomo e di pastore d’anime, per raccontare storielle e favole molto interessanti, tratte dalla novellistica mondiale, ma alcune improvvisate direttamente da lui medesimo, fra l’altro fine dicitore e predicatore molto richiesto, anche fuori dell’ambito della sua terra.

Rare ombre,
la sera,
danno un colore
di malinconia.
Raccogli
un calice di foschia,
col quale vai celando,
le tue aspre cime,
o Limbàra,
terra avara,
pochi pascoli,
poco ristoro.

Lampi di sorriso,
promesse
non mantenute,
sui magri rigagnoli,
quando alla fine
dell’inutil corsa,
s’adagia il sole,
sui nudi picchi,
scherzando.

Bélano stanche
le tue capre bianche,
sull’arido ciglio,
ed un morbido giaciglio
sogna il pastore.

Accudisce al fuoco,
fischia il motivo usato
e ripensa
al vecchio casolare,
al magro desinare,
se ne avanzi domani…

Ravviva ora
le tue speranze,
di conforto soltanto
al vano pellegrinare,
beduino di Limbàra!
Allorché,
arrivano
le mie penombre,
sono le amiche sincere,
le paure di sempre,
però,
senza pensare.


Giovinezza

Canto per inneggiare alla giovinezza, la quale é tanto più incantevole, affascinante e misteriosa, quanto più uno se ne distacca e si allontana, mentre i ricordi si appannano, diventano momenti sfuocati e remoti, ma non per questo meno intensi d’emozioni e d’attrattiva. Per cui, ciascuno sente sempre il bisogno di attingere a questa “età ideale”, questa eterna “età dell’oro”, onde trarne anche nuovo alimento ed energie fisiche e spirituali fresche, per proseguire il cammino e tenersi saldamente ancorato alla vita, che ci fa continuamente innamorare, anche dopo che giunge la maturità inattesa.

Prima,
non ti conoscevo,
non sapevo.
Eppure,
incredibilmente,
sei mia.
Apri lo scrigno
e porgi le gioie.

L’immagine
discende snella
la scalinata
dei ricordi:
filari di sorrisi
accolgono,
petali di rosa,
le tue labbra
incontrano le mie.

Occhi cheti,
sembrano arcani,
cercano spazi lontani,
paradigmi di utopie,
delle tue,
delle mie:
ricettacoli misteriosi,
le tue spiagge
da esplorare…

Scandiscono
ore deliziose,
le tue braccia,
ancora fresche
di rugiada.
Ma,
dopo l’alba,
venne una notte
invidiosa,
nemica dei ricordi:
l’estate…

Si strugge
ogni momento.
L’animo esaltato,
cerca un mito
nel tempo.
Affiora,
frattanto,
il tuo sorriso,
il bisogno inappagato
del tuo seno.

Perciò,
mi volto ancora
e ti cerco,
giovinezza
ormai lontana.


All’amico

Concepito in occasione della morte del compagno d’arme, nonché amico, Aldo Caravati, ma scritto anch’esso più tardi. Il fatto avvenne l’ottobre del 1964, quando l’autore faceva il militare di leva presso la caserma di Camerlata (Como). Tale evento tragico, in effetti, lo condizionò per lungo tempo, tanto che ne fece una malattia vera e propria, in quanto si sentiva molto legato affettivamente all’amico, un giovane particolarmente simpatico e soprattutto molto buono, una figura di persona veramente mite ed indimenticabile, purtroppo vissuta pochissimo (alla morte non aveva compiuto trenta anni!).

Scherzavi sempre,
con quel aspetto
d’eterno bambino,
quando accennavi
ai nostri giorni di naia,
giorni di giovinezza:
negli occhi azzurri,
sconfinati orizzonti.

Così fiducioso,
t’incamminasti allora,
salutando alla soglia
dei tuoi più verdi anni
e non scorgesti
quel piovoso giorno, – era d’ottobre – l’orrido volto
della morte:
un istante
un fragore
uno schianto!

Rivedo ancora
quell’amaro ritorno,
le palme deluse,
il pianto della madre
e il triste lutto.

Ormai non più
l’estenuante trascorrere
dei lunghi giorni,
di cui la vita
con te fu tanto avara,
ma desiderio di pace,
venendo a te,
mi appaga.
Schiudi
lo spiraglio dei ricordi!
il mio volto smarrito
insegue invano le speranze
che ti furon care.

Mi vedrai
cercarti ansioso
tra i profumati viali
di cipressi e le tombe,
semmai corressi incontro,
le braccia al collo gettarti,
sentirti ancora un poco
scherzare,
trovare anch’io rifugio
nell’ombre più folte,
per poi disperdermi
nell’infinite solitudini,
che ti accolgono,
sfiorando
il tuo bel volto.

Eppure,
nella profondità
degli inferi,
tu dormi ignaro,
aspettando
il Gran Giorno,
né puoi sentire
questo pianto amico.

***
…Non terminare,
non recidere un fiore,
perché se ne muore!


Se sei interessato a leggere l'intera Opera e desideri acquistarla clicca qui

Torna alla homepage dell'Autore

Il Club degli Autori - Concorsi Letterari - Montedit - Consigli Editoriali - Il Club dei Poeti
Chi siamo
La Rivista
La voce degli Autori
Tutti i nostri Autori
Per iscriversi
ClubNews
Il notiziario gratuito
Ultimi inserimenti
Homepage
Per pubblicare
il tuo 
Libro
nel cassetto
Per Acquistare
questo libro
Il Catalogo
Montedit
Pubblicizzare
il tuo Libro
su queste pagine