Con questo racconto ha vinto il primo premio all’edizione 2008 del Premio Il Club dei Poeti
A spasso con Rilke
Prima di partire per il viaggio in Istria, Emma aveva avuto in dono un piccolo libro di Rilke. Ne era rimasta conquistata dopo poche pagine, una perla preziosa, questa era l’impressione che ne aveva riportato. E così andando verso Trieste non aveva resistito ad una sosta a Duino, nella splendida passeggiata lungo costa tracciata proprio dallo scrittore che infatti in suo onore si chiama “sentiero Rilke”. La vista è mozzafiato e non si fa fatica a credere che Rilke traesse ispirazione da quel luogo a cui Emma si sentiva intimamente grata se aveva contribuito alla scrittura di pagine di rara bellezza.
Mentre camminava tra i massi impervi divagava con il pensiero e lo lasciava andare pigramente dove voleva. Guardava quel mare sotto di lei e pensava che preferire il mare alla montagna, scelta che lei non era mai stata in grado di fare, dovesse appartenere alle persone che sono entrate nei viluppi del dolore, hanno scrutato a lungo le cose interiori e sono alla ricerca di semplicità, calma, quiete, come se avessero la necessità e anche la monotonia delle cose esteriori. Eppure il mare per Emma era anche così malinconico… insieme alla calma infatti può indurre una grande agitazione, un’indomabile necessità di guardare le proprie onde, quelle che sempre si spiegano e increspano e poi ritirano di nuovo nel nostro intimo. La montagna è anch’essa così ispiratrice di quiete e di smarrimento al tempo stesso: i grandi spazi, i colori indefinibili, le altezze, le profondità... anche lì tutto riconduce agli stessi paesaggi che abbiamo dentro… siamo fatti di mare e montagna, questo pensava Emma, e forse è per questo che le piacevano entrambi e lo scegliere l’uno o l’altra dipendeva dal luogo che l’abitava in quella fase della vita. Ora era abitata dal mare, quello che aveva visto anche Rilke. In quella passeggiata Emma non godeva solo dello splendido paesaggio, del mare blu che si apriva a picco sotto di lei, e delle numerose vele che ornavano l’orizzonte, Emma godeva dello sguardo di Rilke, quasi percepiva la presenza dello scrittore, anzi, parafrasando un verso di Neruda potremmo dire che «sentiva la tenerezza di Rilke avvicinarsi alla sua terra, spiare lo sguardo dei suoi occhi».
Decise così di accompagnare quel momento di beatitudine con la lettura di alcune pagine di Lettere ad un giovane poeta che come un fido compagno aveva nella borsa.
Legge. «...cosa sarebbe mai una solitudine senza grandezza; la solitudine è una, ed essa è grande e non è facile a portarsi, e a quasi tutti giungono le ore in cui volentieri la baratterebbero con una qualunque sia pur banale e vile comunione, con la parvenza di una modesta concordia con il primo venuto, fosse il più indegno. Ma forse sono proprio quelle le ore in cui la solitudine cresce; poiché la sua crescita è dolorosa come quella dei fanciulli e malinconica come l’inizio delle primavere. Volgere lo sguardo dentro di sé e per ore non incontrare nessuno: questo bisogna saper ottenere…». Emma sentiva quelle parole assomigliarle, come specchiate nella sua sensibilità. Era sola in quel viaggio e nella vita. La sua solitudine, spesso fonte di sofferenza ed ansia nella maturità dei suoi cinquant’anni, era certo difficile a portarsi ma in certi momenti diveniva come un pasticcino da gustare senza paura di sporcarsi: lentamente, succhiandosi le dita, con gli occhi chiusi. Questo era uno di quei momenti: tutto da gustare nella grandezza della sua solitudine. Emma sentiva il poeta, era il poeta a cui Rilke si rivolgeva: quel luogo e quelle parole rendevano il tempo del libro e quello della sua passeggiata come un tutt’uno, come se l’intimo di Emma si fosse dilatato in un tempo che l’aveva preceduta e in un altro che si sarebbe trattenuto lì anche dopo la sua partenza. La lettura continuava, ma era successo qualcosa. Emma stava leggendo tutto in prima persona: ogni frase, ogni consiglio, erano rivolti a lei.
Riflette, «...non mi devo spaventare se davanti a me sorge una tristezza grande quanto non ne ho mai vedute prima; se una inquietudine, come luce e ombra di nuvole, scivola sulle mie mani e su tutto il mio agire. Devo pensare che qualcosa accade in me, che la vita non mi ha dimenticato, che mi tiene in mano e non mi lascerà cadere. Perché escludere dalla mia vita una qualche irrequietezza, una qualche pena, una malinconia, se ignoro cosa tali stati stiano operando in me?... Non devo osservarmi troppo, né trarre conclusioni troppo rapide da quello che mi accade, ma lasciare semplicemente che mi accada…». Emma sollevò lo sguardo da quel fedele compagno e chiuse gli occhi, lasciò che una brezza soave le scarmigliasse i capelli imbiancati, quella brezza accarezzava assieme al suo viso anche le sue inquietudini, non le spazzava via ma anzi come un vento che trasporta il polline per creare nuova vita così Emma percepiva il sommovimento delle sue tristezze come qualcosa di vitale, un humus per la fecondazione di qualcosa di nuovo. I suoi occhi si aprirono su un cielo solcato da nuvole soffici e rassicuranti che si lasciavano portare fiduciose nella direzione del vento, il suo spirito si dispose a lasciarsi condurre dalle parole del poeta.
Annuisce «...non devo lasciarmi fuorviare nella mia solitudine perché c‘è in me qualcosa che vorrebbe uscirne. Proprio questo desiderio, se lo uso con calma e superiorità e come uno strumento, mi aiuterà a dispiegare la mia solitudine su ampie distese…». Vedeva l’ampia distesa di acqua e di cielo dinanzi a lei, ma volgeva anche lo sguardo dentro di sé, ammirava la ricchezza della sua solitudine che si apriva su potenzialità da scoprire e percorsi da esplorare. Erano i percorsi di domande irrisolte, amori finiti e abbandoni dolorosi, ma non li percepiva come pietre irremovibili di cui l’animo era appesantito, erano piuttosto sentieri da percorrere le opportunità per nuovi paesaggi la cui scoperta richiedeva pazienza e attenzione.
Comprende. «...essere paziente verso tutto l’insoluto del mio cuore, e tentare di amare le domande stesse come stanze chiuse, e come libri scritti in una lingua molto estranea. Non ricerco ora le risposte, che non possono essermi date perché non potrei viverle. Mentre si tratta ora di vivere tutto. Ora vivo le domande. Forse così a poco a poco, insensibilmente, mi troverò un giorno a vivere la risposta. Forse davvero reco in me la possibilità di creare e di formare, come un modo particolarmente beato e puro di vivere». Un sorriso era sorto sulle labbra di Emma, aveva un sapore di leggerezza e quiete, il sole le scaldava la pelle, le mani lunghe e ben curate accarezzavano quelle pagine popolate da parole vive, i suoi occhi ed il suo spirito scrutavano la calma rassicurante delle moltitudini di blu che coloravano il mare ed il suo cuore era abitato da un vento di bellezza e scaldato dal sole immortale della poesia.
Spera «...che io possa trovare in me una pazienza sufficiente a sopportare, e una ingenuità sufficiente a credere; che io possa acquistare sempre più fiducia in quello che è difficile, e nella mia solitudine tra gli altri. E per il resto, lascio fare la vita».
«Credimi», Rilke sussurrava ad Emma, porgendole il braccio: «si tratta di vivere tutto. La vita ha ragione, in ogni caso».
Era giunta l’ora di ripartire: Emma si alzò lentamente per riprendere il viaggio sottobraccio al suo poeta.