KRYPTONITE
Primo, tacere.
Carissima / c’è un ragionevole dubbio
al di là di questo muro invalicabile.
Dovresti sapere
che non c’è più un gusto di gelato preferito,
ma mantengo ancora il 42 di piede,
36,4 di coefficiente interno,
l’altezza? Superflua chiamarla tale,
il peso varia con le circostanze della battaglia:
smettila di darmi un numero sbagliato,
dove alla fine ci ballo dentro
creando un disgusto amputabile.
E se nel peggio insisti
dicendo “prendere o lasciare è rimasto soltanto quello”,
con sulla faccia stampata quella tenaglia
che m’ammacca la pelle,
il ventunesimo dito sta straccio
e invece di baciarti
sento il bisogno di morderti,
mentre stai recitando un porno
nella sala da pranzo
ululando il piacere senza contegno.
.
Secondo, non vedere.
Carissima / rimani voltata sull’altro continente
ingiustificabile per il possesso del ruggito,
m’opprimi di doveri
rumorosamente scritti,
silenziosamente rinnegati,
io che annusando nel buio
invece di una minaccia
penso al tuo profumo
che quasi sicuramente il gatto
estende per cacciare
e il sorcio amabilmente ci vive.
Posseggo solo occhiali piombati sul becco,
annego sovente sulla terra
come mai non farei
nel mare rosso d’autunno.
.
Terzo, non sentire.
Carissima/ strangoli la mia poesia
riunendo in un sol gesto mille boccacce,
vorrei concederti un buon picnic
col cestino alla vecchia maniera
che per te conta
come il portico illuminato.
Nel viaggio manterrei la velocità controllata
sia sulla statale che nelle vicinali
sapendo cosa pensano, a rischio tamponamento,
di un autista della domenica col cappello.
Quarto, attendere.
Carissima/ stai serena,
mi curo personalmente dei tuoi amanti,
lascio che addentino l’esca
con le loro capsule in ceramica e argento,
che s’affianchino con le camice linde
e il profumo Armani sprecato sul sudore.
Non sono vampiri,
neanche pipistrelli,
a mala pena odorano d’allevamento di suini,
ingurgitano birra e vino al metanolo
fumando masserizia da tabaccaio.
In quello sguardo vedo lo spreco del testosterone,
indovino su quale curva il sedile starà vuoto
nel prato dissestato,
per poi rintracciare la fotografia
verosimilmente idiota
sul necrologio settimanale,
vedo me stesso una quarantina d’anni prima
cercare, con un certo affanno, di non fallire .
.
Quinto, accettare.
Carissima/ certo non si direbbe che nulla comandi,
tanto meno l’estinguersi
pur usando parole di circostanza,
finché non ci sediamo sulla tazza:
allora qualsiasi sguardo sfregia,
anche se le piastrelle della Morgue
perfettamente in linea coi ricordi
sono amabilmente disinfettate.
HUM
Ti stai arrendendo al gocciolio del difetto
“che c’è piccola?”
Quanto può essere lungo il mio braccio
visto che non ti raggiungo?
Forse la magia è inflaccidita?
Troppi chili innervosiscono lo slancio?
Così si crea un deserto,
con tumbleweeds e fiumi in secca,
anche se lo sfioro col dito non lo attraverso.
Devo sopravvivere,
accade sempre a metà visita
la mia ostentazione in bilico.
0:2 fai diventare tutti re tranne me.
Sarei malandrino se infilassi le mani
nelle balze del suo cappotto,
con un sussurro al lobo
soppesando il seno?
Vorrei poter incalzare sull’esitazione
rinfrescando col ventaglio
ciò che potrebbe tener stretto dal manico
accanto alla ferita.
Dicono che nell’antica Sparta
le importanti dispute
venissero regolate
da chi urlava più forte/
Sviluppo pensieri frontali
da gorgoglii al di là di una siepe.
Accendo o spengo una luce
su isole cieche,
lo ammetto, sono stanco.
Nevrotico sugli scalpiccii dell’andirivieni,
sulla gaiezza sfrontata,
sul disordine,
sulla laringe ,
su un dente levato,
sulla mia voglia permanente.
Io bacio sia l’incenso che l’onda d’urto
mai, sulla scia, l’oro.
Nuoto dove è naturale farlo/