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Appuntamento col Padreterno
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Gianni Bonadonna - Appuntamento col Padreterno
Collana "Le Querce" - I libri di Saggistica e Diaristica
14x20,5 - pp. 84 - Euro 10,00
ISBN 978-88-6587-4455
Libro esaurito
con la collaborazione di Alberto Scanni
In copertina: “Contemplando la luna” dipinto di Jean Tori visita il suo sito
A Roberta Negri
«C’è più vita in uno solo
dei vostri begli occhi di quanta
se ne possa trovare nei brillanti
di un’intera collana»
Dedicheremo quest’anno, con l’Orchestra dei Popoli, il brano “tema per Gianni”, perché solo la musica può cercare di raccontare quello che questo immenso dottore rappresenta per i nostri tempi.
Arnoldo Mosca Mondadori
Prefazione
del Cardinal Gianfranco Ravasi
Caro Dottore,
ho ricevuto in gradita sorpresa il Suo ultimo libro Appuntamento col Padreterno, le cui pagine mi sono apparse come una serie di particolari, di un affresco di una vita trascorsa accanto all’uomo che soffre e lotta per sconfiggere la malattia, il dolore e per trovare una risposta all’esperienza lancinante del soffrire.
Il testo descrive con intensità il grembo oscuro del male che insidia la vita. La scienza medica è chiamata a rispondere “umanamente”, con la ricerca febbrile, l’impegno instancabile, l’applicazione dell’intelligenza e del genio, a quanti invocano salute e salvezza. Questa sfida, che non conosce tregua, ha attraversato tutta la Sua vita professionale e ora, divenuto paziente-medico, invita con forza a non fermarsi alla ricerca scientifica, perché l’uomo è infinitamente più grande e complesso di una scoperta e di una terapia. Le mani del medico curante, infatti, hanno la potenza misteriosa di “farsi prossimo” alla persona nel momento individuale ed intimo della ricerca di ciò che permette all’uomo di sorpassare il dolore e il male. Potrebbero essere evocate, in spirito ecumenico, le parole di una invocazione di Martin Lutero: «Resta con noi, Signore / perché è sera e sopraggiunge la notte. Resta con noi e con tutto il tuo popolo / alla fine del giorno / alla sera della vita / nel crepuscolo del mondo. Resta con noi / con la tua grazia e la tua bontà / col tuo conforto e la tua benedizione / con la tua parola e la tua presenza. Resta con noi / quando su di noi scende la notte / di sofferenza e angoscia / la notte del dubbio e della prova / la notte della severa, amara morte. Resta con noi / nella vita e nella morte / nel tempo e nell’eternità!»
La ringrazio per la costante gentilezza che Lei manifesta nei miei confronti e Le esprimo la mia vicinanza in questo passaggio faticoso eppure fecondo della Sua vita, mentre Le rinnovo il mio ricordo sempre vivo e La saluto con grande stima e amicizia.
Gianfranco Cardinal Ravasi
LETTERA
dell’amico Prof. Renato Musumeci
PREFAZIONE
di Alberto Scanni
Gianni Bonadonna ha segnato la storia della Oncologia Medica Mondiale e l’essere stato suo allievo riempie di orgoglio chi, come me, ha collaborato con lui alla realizzazione di questa opera. Un’opera che racconta la sua storia, ricca di ricordi, che ripercorre le tappe più significative della sua carriera e i momenti tristi della sua malattia.
Una malattia che non l’ha piegato, ma che ha rinvigorito lo spirito combattivo che ha contraddistinto tutta la sua vita: da quando ha dovuto lottare per affermare la giustezza della terapia adiuvante nel tumore mammario, a quando reduce dall’ictus ha dovuto sottoporsi a cure riabilitative impegnative e defatiganti.
Questo libro non solo racconta i successi scientifici, ma esalta la figura di un uomo che ha combattuto per raggiungere un’apprezzabile normalità: dal riuscire a riprendere l’uso della parola, al rifarsi il nodo alla cravatta, all’essere in grado di intervenire a riunioni in cui il successo nell’eloquio è pari alla standing ovation americana, ricevuta in occasione di una sua lettura magistrale.
Per lui incontrare il Padreterno significa raccontarsi a “tutto tondo” con gioie e dolori, come scienziato ammalato che comprende i dolori quotidiani e le fatiche di chi paziente tenta ogni giorno di vivere con grinta e dignità la propria situazione e raccomanda a chi si occupa di salute, giovani o vecchi, medici in formazione o primari consolidati, professionisti esperti o neofiti che:
“I pazienti non sono una mera collezione di sintomi e segni di malattia, di disfunzioni organiche o psicologiche, sono anzitutto esseri umani, apprensivi, smarriti e speranzosi, desiderosi di conforto, aiuto, rassicurazione”.
Alberto Scanni
PROLOGO
“Buongiorno. Sono il signore che paga il biglietto del tram. La volontaria che assiste gli anziani soli. Il cittadino che non evade le tasse. La signora che chiede per favore. Il pensionato che fa la coda negli uffici. La dirigente che sa ascoltare. Il medico che non guarda l’orologio. L’artigiano che non bara sui conti. Io non sgomito. Non appaio. Non cerco scorciatoie. Non mi arrendo. Faccio semplicemente il mio dovere”. (G. Schiavi)
Ma chi te lo fa fare? Io ho fatto e farò sempre così. In questo siamo d’accordo. La furbizia è una piaga nazionale come lo è la mafia.
Gianni Bonadonna
AI MIEI CARI
Caro Papà,
un giorno mi hai confidato che uno dei tuoi sogni sarebbe stato fare il chirurgo. Non l’avevo mai saputo. È il caso di dire che, di fronte alle tue due lauree in Scienze Agrarie e in Medicina Veterinaria e ai numerosi riconoscimenti da tutto il mondo, forse gli dei, riunitisi a consulto, una volta tanto l’hanno fatta giusta!
Lazzaro Spallanzani (1729-1799) fu uno di quei personaggi geniali che la nostra storia largamente profuse: che nel 1779, riuscì per primo a fecondare artificialmente i mammiferi inseminando una cagna e ottenendo da essa cuccioli vivi e del tutto normali. E tu caro papà, proseguendo su questa strada e facendo tesoro del lavoro appassionato di alcuni studiosi che ti precedettero, fosti l’antesignano e il pioniere della moderna fecondazione artificiale degli animali domestici, un evento che segnò un’epoca.
Viaggiavi molto per conoscere da vicino i problemi agricoli e zootecnici, guardavi tutto con occhio attento pronto anche a cogliere le sfumature del contesto in cui animali e cose albergavano.
Nel 1936, dopo aver visitato l’allevamento delle volpi argentate di Puskino’ presso Mosca, annotavi nel libro “Un viaggio nell’URSS – impressioni – Il problema agricolo, il problema zootecnico”:
“…Il pomeriggio era piovoso, ma il tramonto bellissimo, di straordinario effetto nella folta foresta di alberi secolari, tra le gabbie, gli stridi e gli squittii dei preziosi abitatori. La Russia è tutta così: strana e seducente, orrida ed affascinante, misteriosa e patriarcale.
Vi sono 2000 soggetti nati nell’anno. La visione d’insieme è magnifica e sorprendente…”
“Dall’alto di una torre di guardia ammiro il sottostante spettacolo delle gabbie dove saettano e si appiattiscono astute, eleganti, sospettose, le belle bestiole, delizia delle nostre signore. Vi sono soggetti bellissimi, ben sviluppati, con la pelliccia abbondante, fitta e ben colorata”.
Hai superato con grinta momenti tristi e difficili e anche di fronte ai bombardamenti dell’ottobre del 1942 non ti perdesti d’animo. Eri vivo per miracolo, entrasti in casa col viso stravolto e sul cappello una pioggia di vetri e calcinacci. Il cielo di Milano era rosso di fuoco, una bomba aveva colpito il tuo Istituto e tu a fatica eri riuscito a metterti in salvo.
In pochi anni hai ricostruito tutto!
Caro papà, mi hai insegnato a non arrendermi alle avversità, hai condotto tutta la tua vita come una severa missione da compiere per il bene dell’umanità.
Sei sempre stato un cittadino del mondo uscendo dai confini nazionali per analizzare di persona i problemi zootecnici delle varie nazioni e dopo la Seconda guerra mondiale hai anche contribuito, per conto della FAO (Food and Agricolture Organization), ad affrontare il problema della fame selezionando e facendo importare le razze bovine più adatte a riprodursi nei vari ambienti e climi.
Ricordati che mi hai trasmesso una forma di giovinezza che non finisce mai e una grande forza di volontà che mi ha aiutato a ripartire da zero dopo un ictus.
Cara mamma,
ricordo quando raccontavi del tuo secondo viaggio di nozze in Libia allora colonia italiana. Era il 1940 e governatore generale era Italo Balbo che aveva dato un fortissimo impulso alla colonizzazione di questo possedimento avviando progetti di opere pubbliche, sviluppando la rete stradale e ferroviaria.
Raccontavi che Italo Balbo organizzò una serie di feste alle quali foste invitati con tanti altri personaggi. Serate molto piacevoli in cui vi divertiste molto. Balbo era un bell’uomo che sapeva intrattenere gli ospiti in modo simpatico. A quel tempo egli faceva anche un po’ di fronda al Duce. Il 28 giugno 1940 il suo aereo Savoia-Marchetti S.M. 79 fu abbattuto nel cielo di Tobruck. Ufficialmente l’incidente venne considerato uno sfortunato caso di fuoco amico ma molti ritennero, che si fosse trattato di un assassinio ordinato da Mussolini perché scomodo al regime.
Cara mamma, penso quando con tremenda nostalgia raccontavi a noi ragazzi di quei tempi e di quando partecipasti a quelle feste e visitasti quei luoghi magnifici e le famose rovine romane che anch’io ho potuto ammirare diversi anni dopo. Ricordi quando, in tempo di guerra siamo stati prigionieri delle S.S. per un paio di giorni? Eravamo sfollati con la nonna ad Orta, faceva un freddo birbone perché non c’erano i caloriferi e stavamo tutti insieme vicino alla stufa a riscaldarci i piedi perché avevamo i geloni.
Cara mamma, sei riuscita a crescere quattro figli e questo è stato il tuo capolavoro; forse noi non abbiamo avuto il tempo di capire tutto quello che hai fatto per noi.
Purtroppo moristi di cancro. Sembrava che le cose fossero andate bene ma dopo sette anni di ottima salute una recidiva ti colpì.
Piccola anima smarrita e soave,
compagna e ospite del corpo,
ora ti appresti a scendere in luoghi incolori,
ardui e spogli, ove non avrai più gli svaghi consueti.
(da “Memorie di Adriano” di Marguerite Yourcenar)
Appuntamento col Padreterno
APPUNTAMENTO COL PADRETERNO
È da tempo che non Ti incontro Padreterno, quindi ho provato a vedere se Don Camillo potesse intercedere per me e, effettivamente, qualche cosa ho portato a casa:
“Con Voi Signore non si può ragionare, avete sempre ragione Voi” (G. Guareschi, Don Camillo)
Io non mi sono mai rivolto a Te se non nei soli miei anni giovanili. Da quanto tempo non ci vediamo? Quindi c’è anche un problema di imbarazzo ma adesso nessuno può barare. Purtroppo devo sciogliere il ghiaccio. Finché sono ancora in grado di intendere e di volere allora posso imbastire un dialogo con il cielo. Dopo, invece, se arriva un attacco ischemico cerebrale importante o, detto in maniera colloquiale un “coccolone”, forse non ci sarà più tempo.
Per passare al di là dell’Acheronte, come diceva il nostro poeta Dante Alighieri, la faccenda è sempre la stessa. Tutti dicono che andremo all’inferno ma io, in un certo qual modo, sono già all’inferno! È come se qualcuno mi avesse rubato una parte della mia vita terrena: ho perso parte della mobilità e parzialmente la vista. Non posso più leggere e scrivere e questa è stata una perdita incommensurabile. Ero abituato a scrivere sempre, quasi costantemente, a volte su piccoli fogli di minuta, altre volte per avere il prospetto riuscivo a fare delle minute che poi ricopiavo per la mia segretaria in istituto. Mi appuntavo sempre tutto e il non riuscire più a farlo mi sembra una delle situazioni più crudeli da affrontare. Non leggo neppure bene il quadrante dell’orologio. Mi sono esercitato per mesi. Troppo sforzo e poco risultato.
Ho ricevuto un sacco di onorificenze che ho appeso alle pareti del mio studio. Sì, è vero, so che ci sono ma non riesco a mettere a fuoco le immagini, i dettagli. Francamente, anche se non le vedo bene, queste onorificenze mi aiutano a ricordare che un tempo anch’io ero tra i grandi della medicina. Nonostante questo deficit sono in grado di raccontare queste mie considerazioni come è successo a Galileo Galilei quando ha perduto parte della vista o a Beethoven quando ha manifestato una sordità profonda. Anch’io ho avuto un considerevole calo dell’udito, al quale, grazie alle moderne strumentazioni, sono abbastanza riuscito a porre rimedio. Anche Beethoven dovette convivere con il dolore e faccio mia questa sua considerazione: «L’anima ha un tale bisogno di gioia che, se non la possiede, è necessario che se la crei». Forse questo fu il momento in cui scrisse l’“inno alla gioia”.
Non posso acquistare in autonomia un quotidiano e neanche posso leggerlo da solo. Eppure resisto. Devo anche io farmi un monumento. Io sono un leone, paura non ne ho troppa, ma è dura caro Padreterno. Passo troppo tempo in casa da solo quando invece avrei voglia di fare una passeggiata. A volte mi sento come il famoso Nicolas Fouquet, sovrintendente alle Finanze all’epoca di Luigi XIV Re di Francia. Egli, accusato di malversazioni ai danni dello stato, finì i suoi giorni all’ergastolo in solitudine, nella peggiore delle prigioni, dove resterà per ben 19 anni. La solitudine lo costrinse alla concentrazione, il dolore ne affinò l’intuito. Aveva il divieto di leggere, di scrivere, di parlare. Passò molto tempo a ricordare i bei tempi felici, gli affetti, gli errori commessi, la troppa ambizione che lo ha perduto. Durante quei lunghi, cupi mesi invernali dovette affinare l’arte di resistere ed esercitare la virtù della pazienza e quello stato lo mise in condizione di tirare fuori una parte di sé che non sapeva nemmeno di possedere. Un po’ come è successo a me. Anche lui, all’epoca l’uomo più brillante di Francia, fu colpito da un ictus.
Pensa che a me piacciono molto i gelati e credi che io possa andare in gelateria a comprarmi un cono quando voglio e da solo?
Una volta ho detto a Roberta Negri, la mia segretaria, arrivando in studio la mattina: “Ha visto la mia borsa degli strumenti, cosa conteneva allora e cosa adesso? Andiamo a vedere”. Avevo lo stetoscopio, il martelletto per evocare i riflessi, lo sfigmomanometro per misurare la pressione ecc… Ora invece la borsa mi serve per contenere il pappagallo! Fa ridere vero? È straziante. Mi sento come un attore tragico.
Sono superbo ma fa parte del mio carattere, io sono del segno zodiacale del leone. Tu Signore mi hai messo tutti questi ostacoli, compresa la difficoltà di espressione ma non mi arrendo e vendo cara la mia pelle. Ho sempre fatto il medico e ho sempre detto agli ammalati di combattere, adesso invece tocca a me. Non riesco a scrivere bene, allora detto la frase settanta volte sette alla mia graziosa segretaria perché sono ancora un perfezionista, e alla fine, è incredibile ma riesco a scrivere una serie di libri. Finché ci sono ho bisogno di impegnarmi in qualcosa. Non mi basta solo sopravvivere.
Quando penso a Giulio Cesare, uno dei grandi fascinatori, mi sembra di essere stato alle sue campagne. Ho avuto una grande ammirazione per lui anche se ne ha ammazzata di gente! Ho sempre abbracciato il suo motto: “Veni, vidi, vici”. Non ho mai visto nessuno così sintetico ed efficace, ma anch’io ho sempre seguito questo modo di pormi di fronte alle sventure.
Come tanti mi sono domandato come mai Tu Padreterno mi abbia affibbiato tante forme di tortura che in genere le persone di Chiesa dicono essere dei disegni del cielo. Tu non parli, non mi spieghi e allora è dura. Io vorrei che mi parlassi come facevi con Don Camillo. Anche Papa Francesco sembra che parli il linguaggio dei parroci di una volta come Don Camillo, un nuovo Papa che crede nella “tenerezza” che abbraccia e comprende, consapevole che la salvezza è in Gesù Cristo.
Dimmi Gesù, dimmi tu se l’afasia non è una tortura, se questo disturbo del linguaggio non è un tormento, se l’incapacità di combinare quasi sempre in maniera appropriata consonanti e vocali non deve intristirmi?
Pur conservando spesso intatte le proprie facoltà intellettive, infatti l’afasico non riesce a trovare le parole al momento giusto, a comprendere quello che gli viene detto, a leggere un giornale, a scrivere una lettera. La perdita della capacità di comunicare con gli altri ha conseguenze gravissime sull’autonomia del paziente (sia sul piano personale che su quello lavorativo) e spesso anche sull’equilibrio sociale ed emotivo del suo ambiente familiare.
Un paziente in queste condizioni ha bisogno di un supporto complesso da molti punti di vista. Medici, neuropsicologi, logopedisti, fisioterapisti, assistenti sociali hanno il compito di prestargli le cure migliori e più aggiornate. Le persone a lui più vicine (familiari, amici, colleghi), e coloro che a lui si dedicano per spirito di servizio (volontari) debbono garantirgli l’aiuto di cui ha bisogno e devono essere a conoscenza di tutti i più recenti sviluppi scientifici, per poter applicare le metodiche di diagnosi e di trattamento più idonee. Il paziente e i suoi familiari devono essere informati del particolare tipo di disturbo di cui soffre e del modo migliore per aiutarlo a superare le limitazioni comunicative e recuperare la propria autosufficienza. Lui e la sua famiglia devono essere informati dei supporti assistenziali e legislativi disponibili. Allo stato attuale delle cose, questo pur necessario collegamento tra medici, tecnici e familiari non esiste, se non in rare situazioni privilegiate. E dunque la forza di volontà è necessaria e deve essere quintuplicata!
La molla di Codeville è uno straordinario presidio ortopedico che imbraca la gamba e che ha aiutato a camminare migliaia di ammalati più uno, me. All’inizio questa molla la detestavo, perché la collegavo al fatto che accusavo quasi sempre dolore. Allora provai più tipi di molle ortopediche, finché la signora Eliana Cecchetti delle Officine Meccaniche, riuscì a trovare la soluzione. Il dolore però non sparì e capii che la molla non c’entrava per niente: un’accusa infondata contro quel minuscolo oggetto che mi ha consentito di camminare adeguatamente.
Il dolore viene da altrove ed è diventato un compagno inseparabile. Ha l’intensità di un mal di denti tipo quelli che nelle vignette vengono raffigurati da una potente fasciatura della faccia e che quasi tutti abbiamo sperimentato. Immaginalo trasferito in altre parti del corpo: questo dolore me lo porto dietro da anni, non mi lascia mai, eppure devo parlare e fare tutto come se lui non ci fosse. Sono diventato quello che si dice un “vero guru”. È resistente anche alla morfina! Ho fatto vari tentativi per liberarmene, purtroppo riusciti infruttuosi. Lui ha meccanismi diversi, quindi non c’è niente da fare, devo semplicemente far finta che non ci sia e, come puoi immaginare, la cosa non è facile. Per fare un esempio, quando ceno da solo siamo sempre in due e se ho un ospite siamo in tre: il dolore fa sempre il secondo o terzo incomodo, vero “piatto forte” del simposio. Dice Shakespeare: “Date la parola al dolore, il dolore che non parla, sussurra al cuore oppresso e gli comanda: spezzati!”.
La parola gliela offro tutti i giorni, anzi se la prende senza tanti complimenti, ma finora il mio cuore non si è ancora spezzato. La compagnia di personaggi illustri, penso a Socrate, Ulisse, l’Imperatore Adriano, Dante Alighieri, Giuseppe Verdi mi aiuta a dimenticarlo, ad ignorarlo, a fare come se non ci fosse. Eschilo, l’antico drammaturgo greco diceva: “Con il dolore si impara…” e “anche chi non vorrebbe arriva a sapere…” Che sia questo il dono del cielo? Che sia questo il tuo dono, Padreterno?
Io lotto, penso e cerco di raccontarmi sperando che Tu voglia benevolmente ascoltarmi e guardare alla mia vita e farmi sentire che Tu ci sei.
[continua]
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