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In copertina: “Invidia” di Enrica Pellicciari
Prefazione
Nel Canto XII del Purgatorio, Dante e Virgilio incontrano alcune anime, sedute presso la roccia, coperte di manti il cui colore si confonde con la pietra.
Esse sono rivestite di panno grezzo, si appoggiano l’una alla spalla dell’altra, sembrano i ciechi che chiedono l’elemosina davanti alle chiese. Sono gli invidiosi. Ad essi, che in vita ebbero sentimenti ostili e malevoli verso gli altri, la vista è tolta con una forma di contrappasso particolarmente penosa: hanno le palpebre cucite da un fil di ferro; dalle orribili cuciture trapelano le lacrime.
Nella sua ultima fatica letteraria, Ildo Testoni crea un personaggio, il forte e speranzoso Marco, che negli anni della giovinezza, i più belli e ricchi della sua vita, intraprende un cammino di crescita personale e professionale irto di difficoltà e di prove da superare.
Frustrato nel suo desiderio di dedicarsi agli studi letterari, Marco, figlio di famiglia contadina, piega il suo volere alle necessità imposte da una situazione economica difficile e si dedica, con abnegazione e volontà, a un lavoro fatto di fatiche e sacrifici ma anche ricco di soddisfazioni e di occasioni di vera gioia.
Sul suo percorso incontra i rappresentanti di una Umanità varia e multiforme, e nei suoi “compagni di viaggio” riconosce le virtù e i vizi che sono quelli propri della natura umana.
Più di ogni altro affanno, il cuore puro e onesto di Marco, patirà il dispiacere dato dal dovere affrontare, negli altri, un sentimento particolarmente difficile da gestire: l’invidia.
Il malanimo di chi considera ogni avversario un nemico, l’astio di chi non tollera il successo degli altri, la cupidigia di chi non si contenta mai e vede di malo occhio ogni fortuna che non sia la sua, sono “passioni negative” in grado di inquinare e anche di distruggere i rapporti fra le persone, di intralciare l’attività di lavoro, di avvelenare la serenità dei momenti di svago.
La storia del cammino di crescita umana e professionale di Marco, letterato mancato e bravissimo agricoltore, si staglia sullo sfondo di una Società che è in preda a turbinosi cambiamenti, trascinata in una evoluzione verso la “modernità” che la costringe a perdere per strada pezzi importanti di quelli che sono stati da sempre i suoi valori.
Lo spirito di sacrificio, la Volontà ferrea, la sopportazione della fatica e la Speranza che non si lascia soffocare nemmeno dalle situazioni più difficili sembrano perdere il loro significato di Valori irrinunciabili. La tecnologia, le leggi del mercato e tutti i travolgenti cambiamenti imposti dal “nuovo che avanza” segnano, in modo ineluttabile, la fine ormai prossima di quella che è stata una grande civiltà: la Civiltà Contadina della quale Marco, come è descritto dalla penna dell’Autore, sembra destinato ad essere uno degli ultimi rappresentanti.
Marco Bottoni
Marzo 2015
L’invidia
Introduzione
Questo scritto, caro lettore che ti appresti a leggere, non ha nessuna pretesa letteraria, in quanto espressione testimoniale del vissuto di un periodo storico fra i più tumultuosi del secolo scorso. Sarà anche, a tutti gli effetti, un anello della catena degli eventi miseri e turbolenti del secondo conflitto mondiale.
Col passare degli anni il tempo ripropone, sempre più vivi, ricordi belli e brutti di un’esistenza che ormai si avvia al tramonto. Nell’evocare certi fatti e avvenimenti, lo spirito che mi anima è privo di qualsiasi atteggiamento di risentimento o astio verso qualcuno. È soltanto il desiderio di far capire ai giovani di non lasciarsi mai prendere da atteggiamenti d’invidia e rancori. Per questo, ho titolato il mio scritto L’invidia.
In esso, comunque, ogni riferimento a persone o cose realmente esistite o esistenti è del tutto casuale; come in un diario è scritto quanto fragili siano i nostri rapporti con il prossimo.
L’invidia è solo meschinità velenosa per chi la nutre e in nessuna dose e in nessuna circostanza può essere buona. Essa diffama chi ammira, svaluta chi ritiene abbia valore, accusa chi è innocente, ostacola chi sa che merita. I brutti comportamenti sono nocivi della dignità umana e della convivenza civile e sociale; le maldicenze e le calunnie sono uno sfogo rabbioso e un tentativo di danneggiare chi emerge nella società, a volte persino bramoso di distruggerne il suo progresso, cercando persino di minarne psicologicamente la salute.
Vittima di questi cattivi sentimenti è il protagonista del libro, Marco, il quale da persona di buon senso e intelligente ha comunque sempre avuto la forza di mettersi tutto ciò dietro le spalle, consapevole che esistono nella vita, in contrapposizione, cose molto belle a cui pensare e dedicarsi: il lavoro, la carriera, l’amore, la famiglia, l’arte, il divertimento. Il padre gli aveva inculcato, fin da adolescente e quali obiettivi da perseguire, l’ottimismo e l’allegria, anche di fronte alle avversità della vita. “Chi è allegro il ciel lo aiuta”. E l’allegria è il risultato di una speranza mai morta. Essa ci fa capire che nella vita vi è sempre qualcosa da scoprire.
Anche Marco non è stato immune da sofferenze derivategli dall’ignoranza, soprattutto dai tradimenti inaspettati di chi credeva gli fosse amico. La cattiveria degli uomini arriva improvvisa e travolgente. Infatti, l’invidia colpisce Marco come un fulmine a ciel sereno. E anche nel suo caso, a tramare sono amici fraterni ai quali egli aveva anche fatto del bene.
Questa esperienza negativa rese Marco diffidente verso la società al punto da vedere tutto negativo, arrivando addirittura a non credere più in nessuno. Ma, ben presto, dovette ricredersi perché non bisogna mai generalizzare. Marco crebbe all’Oratorio, con i preti, i quali gli insegnarono che l’odio porta alla frustrazione ed è sinonimo di infelicità.
L’educazione cattolica ricevuta, quindi, gli consentì di superare le difficoltà lungo il cammino della vita, ben sapendo che nella società spesse volte eccellono la furbizia, la disonestà e i tradimenti. Egli era solito ripetere, da vero credente: “Dio mi ha dato la forza di lottare e di sopportare e sperare sempre nel bene”.
Marco è la dimostrazione che un uomo senza speranza non ha futuro. A chi gli ricordava i tradimenti ricevuti dagli amici ripeteva una frase di Santa Madre Teresa di Calcutta: “Se realizzi i tuoi obiettivi, troverai falsi amici e veri nemici. Non importa, fa’ il bene!”. Con questi insegnamenti riuscì ad affrontare, nel cammino della sua vita, cose tristi impensabili e a uscirne sempre bene. Marco ha così dimostrato che il ricordo del male ricevuto può solo servire a inasprire e avvelenare l’esistenza. Il Parroco all’Oratorio gli aveva insegnato che l’odio e il rancore uccidono e a salvare l’Umanità saranno il perdono e l’amore.
Nella vita c’è un tempo per la rabbia e uno per il perdono, nel senso cristiano del termine. Tuttavia, non assolve dalle responsabilità chi ti ha tanto umiliato. La cosa importante è che la pacificazione non sia utilizzata come pretesto per dimenticare.
Arrivato all’età che inclina verso la fine, l’entusiasmo del vivere non si rassegna al declino e come in un video s’affacciano alla mente tutti i ricordi del passato: sia quelli fausti che quelli infausti. Marco, nella vecchiaia, ricordando le sue traversie era solito ripetere: “Il segreto della vita umana non consiste nel vivere, ma in ciò per cui si vive”.
CAPITOLO I
Il maggio del 1946 fu, per Marco, il mese che segnò il futuro della sua vita, con la rievocazione di un’epoca che fa da sfondo alla trama delle sue traversie. Era nato e cresciuto, fino a quattordici anni, in una tipica famiglia patriarcale contadina, nella quale il lavoro dei campi implicava una dura fatica quotidiana, resa ancora più greve dalle discordie e dalle discussioni animate tra i componenti la famiglia stessa. Il nucleo famigliare era composto da tre generazioni: il nonno, tre figli con rispettive famiglie e i nipoti, per un totale di quindici componenti. Si conviveva in difficoltà, ma bisognava andare avanti per la necessità di tante braccia per i tanti duri lavori dell’azienda. In quella situazione le persone più umiliate erano le donne che, a causa della società maschilista del tempo, dovevano essere spose e madri esemplari, disposte a tutte le rinunce e aspirazioni e sempre sottoposte al pesante lavoro dei campi.
In quell’ambiente austero, gli anni della fanciullezza e adolescenza di Marco trascorsero nella mestizia e nella rassegnazione. Alle difficoltà di tutti i giorni si aggiunse, in quel maggio, il momento della divisione tra fratelli che creò ulteriori momenti di tensione all’atto della divisione dei beni. Alle porzioni di proprietà che il capofamiglia si era apprestato a predisporre con scrupolose parti uguali, si opposero i suoi figli, ritenendo ciascuno che la parte destinata all’altro fratello fosse migliore della propria e, quindi, inaccettabile.
Il momento della divisione dei beni comportava la difficoltà di distribuire in parti uguali bestiame, attrezzi da lavoro e ambienti di ricovero per il bestiame stesso. Questa situazione portò il padre di Marco a trovarsi senza stalla per la quota di bestiame assegnatagli.
A separazione avvenuta, il nonno decise di restare con la famiglia di Marco. La nuova situazione portò tranquillità a Marco, non dovendo più assistere alle liti e ai rancori di prima. Tuttavia, nella ritrovata serenità, la famiglia di Marco cominciò a sentire il bisogno di una stalla propria. Non avviandosi a soluzione il problema in famiglia, si era ricaduti nella tristezza e nell’apprensione, poiché era in gioco il futuro di Marco. Infatti, a giugno Marco aveva superato brillantemente l’esame di terza Media e gli insegnanti gli avevano consigliato, insieme ad altri sei compagni di classe, di frequentare il Ginnasio. Ritornato a casa euforico per portare la bella notizia della promozione ai genitori, il ragazzo aveva scoperto il perché del loro disagio. Suo padre, con le lacrime agli occhi, si era preparato ad annunciare al figlio una triste notizia; la madre, pure essa in lacrime, era uscita di casa per non assistere alla reazione di Marco. Il padre, quindi, comunicò a Marco che, purtroppo, doveva terminare gli studi per le crescenti difficoltà economiche della famiglia, venutesi a creare anche a causa della mancanza della stalla. Poi, ritrovato un minimo di coraggio, il padre ammise, sempre rivolto a Marco, di ritenere comunque fortunata la propria famiglia perché aveva comunque la possibilità di vivere discretamente, confrontandosi con la povertà cronica che esisteva in paese. E aggiunse: “Aiutandomi tu, Marco, nel lavoro dei campi, col tempo edificheremo la stalla e compreremo gli attrezzi mancanti”.
Marco, all’inaspettato discorso del padre rimase sorpreso e senza parole. Tuttavia, consapevole delle reali difficoltà della famiglia, dentro di sé acconsentì al disegno paterno, rinunciando alle prospettive del Ginnasio e predisponendosi alla nuova realtà. Anche il nonno gli disse: “Marco, te lo dico per l’esperienza della mia lunga vita, il lavoro indipendente che ti appresti a fare con tuo padre, dopo tutto è un grande privilegio. Quando una persona non deve rendere conto a nessuno delle proprie capacità lavorative può ritenersi grandemente fortunata!” Alle parole del nonno, il giovane rispose acconsentendo e, al tempo stesso, portando l’esempio di un bravo lavoratore dipendente che, pur stimato e apprezzato in paese, dovette improvvisamente cambiare sede di lavoro per volontà della proprietà, con conseguenze sulle sue scelte di vita.
Marco fu testimone di quel misero e turbolento dopoguerra, non disdegnando di fare un’accurata riflessione. Era il tempo delle vendette e degli strascichi della guerra civile, si sentiva ancora tremare di raccapriccio e di paura. La realtà sociale di quel tempo sfociava nel degrado che provocava perdita di identità, nella solitudine della grande disoccupazione che avviliva le persone privandole della dignità.
L’incertezza del futuro induceva tutti a rimboccarsi le maniche, ma mancava il lavoro, per cui erano cominciati, dopo un ventennio fascista, i primi scioperi e le agitazioni: un’atmosfera arroventata con il divampare delle tensioni sociali e anche politiche. Tutto il bracciantato era attratto e si lasciava incantare dal ferreo dogmatismo marxista e il risveglio, con l’avvento della libertà, era stato anche una rivalsa dopo tanti anni costretti a subire angherie e sfruttamento.
Quello era anche il tempo nel quale lo scontro politico prevaleva sul dialogo e il rispetto reciproco. A volte, l’odio verso le idee politiche si trasformava in odio verso le persone.
Marco era a conoscenza di tutto ciò perché in quella primavera, nel paese dove studiava, si erano tenute due campagne elettorali e aveva visto tanti scioperi e tante proteste causate dalla miseria in cui viveva gran parte della popolazione. Di fronte allo scenario sociale che gli si presentava sotto gli occhi, Marco si convinceva sempre più che la scelta di lavorare in famiglia, con il padre, non era poi sbagliata.
Tuttavia, a ottobre, con l’inizio del nuovo anno scolastico, Marco, vedendo i suoi compagni di scuola continuare gli studi, provò tanta tristezza pensando ai suoi sogni non realizzati. Purtroppo, quelli erano ancora i tempi di una scuola privilegio dei pochi che potevano permettersela.
Inserito nel nuovo ambiente rurale, Marco non trovò quella disponibilità fraterna che caratterizzava il mondo della scuola, ma, invece, una situazione del tutto diversa. I contadini, dietro il paravento di una idealizzata bonarietà agreste, non vivevano il tanto decantato idillio dei libri: era una categoria dominata dall’individualismo da competizione, che portava a vedere nel collega quasi un rivale. Esisteva una tremenda invidia e nel giro di tre mesi dello stesso anno, accaddero in paese tre fatti di così manifesto odio che destarono discussioni e polemiche a non finire.
Questi tre fatti di cronaca lasciarono in Marco sconcerto e sconforto: mai avrebbe immaginato che la cattiveria umana arrivasse a simili bassezze che, al solo pensarci, costavano tanta sofferenza.
__[continua]_
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