La signora con la valigia
di Maurizia Zanetti
Alla finestra Rachele osservava preoccupata il cielo nero che lasciava presagire un temporale e istintivamente toccò i riccioli scuri con fare protettivo, poiché ben sapeva che la pioggia avrebbe rovinato la sua acconciatura.
Decise quindi di indossare l’impermeabile munito di cappuccio, prese la valigia e s’incamminò verso la fermata dell’autobus.
Era impaziente di raggiungere la stazione di Bologna dove, approfittando di qualche giorno festivo, avrebbe preso il treno per ritornare al suo paese per la prima volta dall’inizio dell’anno scolastico. Si guardò attorno e sorrise alle persone che viaggiavano con lei sull’autobus, il suo stato d’animo era evidente ed era l’ingrediente principale della sua felicità.
Il breve tragitto fu percorso velocemente ed ella scese dall’autobus dirigendosi verso la sala d’attesa della stazione, si accomodò su una poltroncina e lesse una rivista mentre aspettava il treno che l’avrebbe portata al sud. Nel frattempo l’acquazzone irruppe sulla città, sferzando le chiome degli alberi e piegando con violenza gli ombrelli aperti nel vano tentativo di ripararsi da quel diluvio.
Il treno giunse al secondo binario e Rachele prima di salire alzò lo sguardo e vide attraverso il tetto trasparente della pensilina dita liquide abbattersi furiosamente sulla sua testa.
Percorse i vagoni più volte, nel tentativo di trovare un posto a sedere, ma invano, quindi, occupato un angusto spazio nel corridoio, depose la valigia a terra, tolse l’impermeabile e controllò con lo specchietto da borsetta i suoi capelli.
Il viaggio sarebbe stato lungo e scomodo e il tempo avrebbe accresciuto notevolmente il desiderio di raggiungere i suoi. Chiuse gli occhi e pensò al da farsi una volta giunta a casa: per prima cosa un po’ di jogging sulla spiaggia per smaltire un paio di chili che aveva messo su, colpa dei tortellini emiliani che avevano colpito al fianco l’ennesima vittima!
Rachele passò le dita fra i capelli considerando tra sé che sarebbe andata appena possibile dalla sua parrucchiera di fiducia, quindi posò lo sguardo sulla signora corpulenta e claudicante che cercava di passare sgomitando nel corridoio.
Ella si fermò davanti a Rachele chiedendole un’aspirina e mentre lei annuiva tentando di prendere la sua valigia, notò che la donna ne possedeva una tale e quale alla sua.
Riuscì ad afferrarla e ad aprirla asportando la scatola di analgesici che porse alla signora; ella senza ringraziare prese una compressa e la trangugiò accompagnandola con dell’acqua che aveva a portata di mano, poi proseguì il suo cammino nel corridoio urtando le persone che vi si accalcavano.
Rachele considerò fra sé che la donna fosse alquanto maleducata, del resto, viaggiando sui treni, incontrava spesso persone dal comportamento poco urbano e non si stupiva più di nulla…
Quindi il suo pensiero si diresse verso qualcosa di più positivo cioè il marito e i figli che avrebbe abbracciato tra qualche ora; immaginò Alfonso nei campi intento a coltivare con tanto amore i suoi ortaggi che per dimensione e sapore risultavano essere i migliori della zona.
Sorrise al pensiero dell’uomo onesto e riservato che aveva sposato molti anni prima e di cui era ancora innamorata; nonostante i due coniugi vivessero lontani per molto tempo durante l’anno, fra di loro l’accordo non era mai venuto meno e l’amore non si era mai spento.
Due dei suoi figli, Luca e Paolo, gestivano un pub molto conosciuto e frequentato dai giovani di Palizzano, mentre il primogenito Giuseppe lavorava in ufficio.
Rachele pensò alle rinunce fatte, agli anni di insegnamento persi per rimanere al loro fianco e passò un istante di sconforto, dal quale si riprese quasi immediatamente perché si sentiva realizzata pienamente e non le pesava troppo dover viaggiare percorrendo mille chilometri ogni volta. Aveva dato tutta se stessa alla famiglia per molti anni e ora che aveva preso in mano la propria vita si sentiva molto soddisfatta. Ringraziò Dio per averle dato il coraggio di uscire dal guscio in cui era stata rintanata fino a pochi anni prima per correre verso la libertà di una donna che vuole vivere esperienze proprie di una società più evoluta, senza cadere nel libertinaggio e considerando insostituibile la sua famiglia.
Rachele chiuse gli occhi e si appisolò per un istante, poi un forte rumore la fece sobbalzare.
Aprì gli occhi e vide che donna corpulenta si era posizionata vicino a lei facendo maldestramente cadere il suo bastone.
Rachele lo raccolse abbassandosi e la donna colse l’occasione per scambiare la sua valigia con quella di Rachele, la quale non si accorse di nulla e rialzando la testa porse il bastone alla donna; ella senza dire nulla si allontanò e aprì il finestrino mentre una sferzata di aria gelida investì Rachele facendola rabbrividire nella sua giacca di pelle. Poi udì la donna che parlava al telefono:
“Ramona a Ronald, missione compiuta, attendo nuove istruzioni.”
A Rachele parve molto strana quella donna e decise di tenerla d’occhio spiandola di sottecchi. Ramona riprese a passeggiare per il corridoio che fortunatamente si stava svuotando, dato che numerose persone scendevano regolarmente a tutte le fermate.
Rachele vide che Ramona si avvicinava a un uomo con barba e occhiali scuri che avanzava con passo sicuro; Rachele si incuriosì maggiormente e con prudenza li seguì.
Percorse due vagoni e poi li vide, trasalì e si fermò nascondendosi dietro a un cumulo di pacchi, vide che i passeggeri seduti dormivano e tese le orecchie. Ramona si rivolse all’uomo chiamandolo Ronald e gli disse che aveva scambiato la valigia con una uguale di proprietà di una signora con una giacca di pelle nera che stava nella carrozza n° 13 poiché due agenti in borghese stavano effettuando dei controlli sul treno. Ronald annuì col capo e le disse di scendere alla prossima fermata, poi aggiunse che avrebbe recuperato di persona la valigia.
Rachele ebbe paura e si nascose immediatamente nella toilette, aprì la valigia con titubanza mista a curiosità di sapere cosa contenesse e vide che era piena di denaro, suddiviso in mazzette da cinquanta euro.
La richiuse col cuore in gola e capì immediatamente che Ramona aveva scambiato intenzionalmente le due valigie uguali per liberarsi di quel denaro che probabilmente scottava! Allora rivide come un flash, la scena del bastone e suppose che Ramona avesse effettuato lo scambio nell’istante in cui lei si chinava a raccoglierlo.
Pensò di non tornare dove certamente Ronald l’avrebbe cercata, ma di trovare un nuovo posto senza attirare l’attenzione.
Mentre passava guardinga da un vagone all’altro, si augurò di incontrare un agente o perlomeno il controllore per segnalare la presenza di un losco individuo che la seguiva, ma ciò non accadde e dovette attendere la fine del viaggio per consegnare il denaro alla polizia.
L’episodio non le tolse il buon umore e Rachele avvicinandosi a casa, pensò al figlio Giuseppe, l’artista di casa: le aveva promesso di realizzare almeno un quadro prima del suo ritorno.
Rachele sognava per lui una mostra nella più importante galleria d’arte di Bologna ed era alla ricerca delle occasioni propizie per attuare il suo intento.
Avrebbe proposto al figlio di realizzare un catalogo delle sue opere, per poterlo mostrare a galleristi e critici d’arte essa stessa, poiché Giuseppe era restio a farsi conoscere come artista.
Il marito Alfonso avrebbe detto che il ragazzo fosse abbastanza grande per cavarsela da solo, ma Rachele mal digeriva il fatto che Giuseppe non si rendesse conto del suo grande talento e lo sprecasse, quindi era intenzionata ad agire per il bene del figlio.
Finalmente giunse alla stazione di Palizzano, prese la valigia e scese dal treno; Alfonso la stava aspettando, le sorrise e la baciò aprendole lo sportello dell’auto, mentre Rachele disse di accompagnarla alla polizia per denunciare il fatto che gli raccontò durante il tragitto.
Espose l’accaduto al comandante, il quale prese in consegna la valigia incriminata, rammaricandosi del fatto che Rachele avesse perso i suoi effetti personali; poi, constatata la falsità del denaro, disse che i due individui incontrati sul treno facevano parte di una banda sulla quale la polizia stava indagando da due anni.
Rachele seppe in seguito che grazie alla sua segnalazione la polizia era risalita ai malviventi e li aveva arrestati. Riuscì persino a recuperare la sua valigia.
Al locale di Palizzano Luca e Paolo stavano organizzando la festa di Halloween. Rachele li abbracciò constatando che i suoi ragazzi avessero fatto un ottimo lavoro: la saletta sopraelevata del locale aveva un aspetto gradevolmente sinistro con scheletri, ragnatele e streghe collocati ad arte fra i tavoli e i divanetti, inoltre sul bancone non mancavano le zucche intagliate e illuminate che creavano un effetto da brivido; tale scenario avrebbe certamente entusiasmato i giovani che avrebbero animato la festa imminente.
Luca insistette per far assaggiare ai genitori il cocktail creato appositamente per l’occasione e porse loro due piccole zucche contenenti una miscela dal sapore molto gradevole
Quindi Rachele e Alfonso salutarono i due ragazzi lasciandoli ultimare i preparativi e si recarono a casa dove avrebbero trovato Giuseppe intento a terminare la sua tela.
La madre lo abbracciò e si congratulò con lui per la sua opera che considerava bellissima, poi gli accennò l’idea del catalogo e Giuseppe disse che non era d’accordo, poiché possedeva già un sito internet sul quale chiunque avrebbe potuto visionare i suoi lavori.
Rachele non disse nulla, ma considerò mentalmente che avrebbe trovato il modo di realizzare il catalogo a sua insaputa, ormai per lei si trattava di una questione di principio dalla quale non poteva transigere.
Rachele si recò in cucina per preparare gli spaghetti ai frutti di mare di cui Alfonso e Giuseppe andavano ghiotti e mentre era ai fornelli raccontò al figlio l’episodio dei falsari e anche Alfonso che si apprestava ad apparecchiare la tavola, si unì alla conversazione.
Egli aveva saputo da alcuni commercianti che da qualche tempo erano in circolazione nella zona euro falsi e aggiunse che aveva messo in guardia Luca e Paolo stimolandoli a prestare maggiore attenzione ai clienti del bar.
Anche Giuseppe disse che il giornalaio da cui si serviva aveva preso denaro risultato in seguito falso, da un cliente occasionale giunto al suo chiosco in una giornata di pioggia.
Poi, Alfonso e Giuseppe abbracciando Rachele, si congratularono con lei per aver contribuito a sgominare la banda e l’aiutarono a scodellare la pasta ormai pronta da qualche minuto.
Durante la cena Rachele volle conoscere gli ultimi avvenimenti e seppe dal marito che le sue famose lattughe erano state vendute a due commercianti venuti appositamente da paesi limitrofi; ella gli diede un bacio e si dichiarò molto felice per l’acquisizione di nuovi clienti.
Giuseppe disse che non era successo nulla di particolare in ufficio, ma che stava lavorando per ottenere una promozione che l’avrebbe fatto avanzare in carriera, poi si infervorò mentre descriveva la sua ultima opera pittorica che pensava di intitolare “Male di vivere.”
Disse che il viso contorto da una smorfia di dolore che alterava i tratti rendendolo quasi animalesco, dovesse rappresentare tutti i mali del nostro tempo che ci infettano nostro malgrado e verso i quali siamo del tutto impotenti; aggiunse che aveva preso spunto dall’ennesima morte di un giovane per overdose di stupefacenti e dall’investimento di un anziano da parte di un pirata della strada ubriaco e senza patente.
Rachele pensò fra sé che quel figlio fosse troppo sensibile e che soffrisse veramente per tutti i mali del modo e provò una stretta al cuore guardando i suoi occhi pieni di malinconia mentre sfiorava la sua tela.
La mattina seguente Rachele si alzò all’alba e, indossata una tuta pesante e scarpe comode si recò sulla spiaggia a correre per smaltire la ciccia che da qualche tempo appesantiva il suo giro vita; l’aria fresca le pungeva il viso e scompigliava i capelli, lo stridio dei gabbiani era un piacevole suono che l’accompagnava sulla battigia.
A un certo punto inciampò e cadde ridendo sulla sabbia umida, rimase sdraiata per qualche istante osservando il cielo dorato in attesa del sorgere del sole e contemplò lo spettacolo a bocca aperta. Rachele fu pervasa da un caldo benessere e considerò mentalmente quanto le fosse mancato il suo mare nei due mesi di lontananza da casa; si sentiva a suo agio nella scuola in cui insegnava, andava d’accordo con le sue colleghe e non aveva problemi col resto del personale scolastico, i proprietari dell’appartamento in cui abitava nei dintorni di Bologna erano care persone e le coinquiline molto affabili, però spesso l’attanagliava la nostalgia del sud che riusciva a placare solo facendo ritorno a Palizzano.
Terminò la sua corsa e rincasò, vide Alfonso già in piedi e pronto a preparare la colazione, poi dopo una doccia ristoratrice, iniziò a riordinare la casa, raccattò gli indumenti da lavare e mise in funzione la lavatrice, poi ripulì a fondo i pavimenti e le finestre, dato che in sua assenza Alfonso e i ragazzi facevano solo il minimo indispensabile per non essere sopraffatti dalla polvere. Nel pomeriggio riuscì a stirare la biancheria e a recarsi dalla sua parrucchiera di fiducia.
Teresa fu felice di rivederla dopo molto tempo e, dato che Rachele aveva preso un appuntamento telefonico, la servì immediatamente; mentre si occupava dei suoi riccioli, la parrucchiera informò Rachele degli ultimi pettegolezzi circolanti in paese e si infervorò raccontando il fatto più piccante: il Peppino, noto gigolò di Palizzano e dintorni, era stato beccato in flagrante con la moglie del sindaco, il quale non sopportando la vergogna di quello scandalo, si era dimesso e addirittura trasferito in altro paese abbandonando la famiglia.
Rachele che non amava i pettegolezzi triviali, volle cambiare discorso e disse a Teresa, come si vivesse in alta Italia:
“In inverno c’è tanta nebbia da non vedere da qui a lì e tanta neve da raggelare le ossa, mentre in primavera e in autunno piove quasi sempre e il sole si vede raramente. Però ci sono tanti negozi, uffici, servizi, efficienza, benessere, c’è vita al nord, cara Teresa!”
La parrucchiera affermava che le sarebbe piaciuto ampliare la sua attività aprendo un negozio in Lombardia, ma avrebbe aspettato ancora qualche anno, per far sì che i figli frequentassero l’università a Milano.
Mentre Rachele attendeva il tempo di posa necessario alla tinta sfogliò una rivista e fu attratta dall’articolo che parlava della famosa Galleria Modoni, la quale oltre a esporre una permanente di affermati pittori e scultori, proponeva anche un concorso per nuovi talenti.
L’articolo proseguiva con l’elenco delle norme da rispettare e i termini del concorso; Rachele domandò il permesso alla parrucchiera di asportare la pagina di suo interesse e ottenutolo, mise il foglio nella borsa con l’intenzione di servirsene per far partecipare suo figlio al concorso artistico. Quindi tornò a casa, ma non vi era nessuno: Alfonso era in campagna, Luca e Paolo al locale e Giuseppe in ufficio.
Approfittò della loro assenza per entrare nella camera dell’artista dove erano affissi una decina di quadri e, presa la macchina fotografica usa e getta che aveva acquistato per l’occasione, inquadrò uno ad uno e fece clic, poi con soddisfazione chiuse la porta dietro di sé e mise l’apparecchio nella valigia che avrebbe portato a Bologna. Rachele pregustò il momento in cui avrebbe fatto sviluppare le fotografie da spedire al concorso Modoni, e fatto preparare un catalogo di tutte le opere di Giuseppe da sottoporre al giudizio di qualche specialista.
Rientrò per la cena solo il marito e Rachele fu piuttosto delusa, perché aveva cucinato per cinque persone, credendo che Luca e Paolo chiudessero presto il locale e Giuseppe non si fermasse in ufficio per gli straordinari.
Comunque tolse dalla tavola i piatti in eccesso, aggiunse due candele e una bottiglia di buon vino rosso per una cenetta romantica con Alfonso e, portate in tavola le pietanze, si accomodò vicino al marito.
Chiacchierarono a lungo e Alfonso si dichiarò entusiasta degli ortaggi che crescevano sul loro terreno, Rachele disse che le sarebbe piaciuto vederli prima di ripartire per Bologna.
L’indomani i coniugi si alzarono presto e si recarono in campagna dove Alfonso coltivava nelle serre lattughe, pomodori, zucchine, melanzane e Rachele si stupì della grandezza, dell’intensa colorazione delle verdure, insolita per la stagione e si congratulò col marito.
Lungo il perimetro del terreno vi erano alberi carichi di olive e di agrumi, pronti per essere raccolti; la varietà di colori che sfumavano dal verde, al giallo, all’arancione si mescolavano con l’azzurro del cielo e dipingevano una tela iridescente con dita invisibili.
Alfonso le disse che sarebbe giunta in settimana una squadra di cinque persone per la raccolta della frutta da vendere ai grossisti e delle olive da portare al frantoio per ottenere il delizioso olio extravergine lucano.
Rachele propose quindi al marito di prendere le biciclette che stavano nel capanno degli attrezzi e di fare una passeggiata nei dintorni.
Alfonso accettò e i due pedalarono fianco a fianco per un paio d’ore, poi si recarono al locale per sorseggiare un buon caffè.
Luca e Paolo dissero che il gruppo rock ingaggiato per Halloween era tanto entusiasta del pubblico di Palizzano da decidere di fermarsi a suonare una sera in più del previsto, pertanto non era stato possibile chiudere il locale e cenare con mamma e papà.
Paolo comunicò ai genitori l’ottimo incasso delle due serate, Luca disse che avrebbero abbassato la serranda alle 13 e Rachele perdonò i due ragazzi in cambio della promessa di ritrovarsi a tavola insieme prima che ella ritornasse a Bologna.
Alfonso e la moglie ritornarono a casa e prepararono il pranzo per tutta la famiglia, dato che anche Giuseppe avrebbe mangiato a casa.
Il profumo invitante della pasta al forno e dell’arrosto arrivò alle narici di Luca e Paolo e li guidò fino alla sala da pranzo dove Rachele aveva apparecchiato; i commensali si accomodarono per consumare un lauto pranzo mentre la conversazione spaziava dai fatti di cronaca alle rispettive attività.
Rachele ascoltava attentamente quasi a voler imprimere nella sua memoria le voci dei suoi cari e il suo sguardo vagava dal marito ai figli per fotografare idealmente i loro volti da portare con sé nel viaggio che avrebbe intrapreso fra poche ore.
Infatti, dopo aver rigovernato la cucina, ella dovette preparare la sua valigia con gli abiti da portare a Bologna insieme alla macchina fotografica con la quale aveva immortalato le opere del figlio.
Preparò anche un’altra borsa contenente alcuni vasetti di frutta sciroppata, di marmellata di pesche e di verdura in agrodolce confezionati con le sue mani durante il periodo estivo, per le coinquiline che erano ghiotte di quelle prelibatezze.
Il treno arrivò puntuale e Rachele, dopo aver salutato i familiari che l’avevano accompagnata, salì e iniziò il solito giro tra i vagoni alla ricerca di un posto a sedere; riuscì trovarlo e si accomodò dopo aver riposto i suoi bagagli nell’apposito spazio.
Durante il viaggio ascoltò le lamentele dei vicini riguardo la scomodità dei sedili, la sporcizia e la puzza dei bagni, il sovraffollamento dei treni, i ritardi e i prezzi dei biglietti troppo cari per il servizio offerto.
Rachele si limitò ad annuire, anche se in cuor suo pensava che la situazione non fosse così tragica, del resto non viaggiando tutti i giorni, non poteva sperimentare tutti i disagi menzionati dagli altri.
Assistette in seguito a un litigio coniugale piuttosto pesante al termine del quale la moglie piangente scaraventò a terra la fede nuziale e il marito scese dal treno imprecando; Rachele porse un fazzoletto alla giovane donna, la quale ringraziò e si asciugò le lacrime, poi raccontò di essere sposata soltanto da un anno e di aver vissuto il periodo più brutto della sua vita da quando aveva scoperto che il suo consorte aveva un amante di sesso maschile; dopo aver sopportato la situazione per qualche tempo, sperando in un ravvedimento da parte del marito, aveva deciso di troncare definitivamente anche se era innamorata e non poteva vivere senza di lui.
Rachele fece del suo meglio per consolare la giovane e, porgendole l’anello, la convinse a ritornare a casa tentando di salvare il suo matrimonio e aggiunse che, se ciò non fosse stato possibile, avrebbe comunque continuato a vivere per se stessa.
Il treno giunse a Bologna e Rachele scese e vista l’ora chiamò un taxi per farsi portare a casa, dato che avrebbe dovuto attendere l’autobus in una zona frequentata da gente poco affidabile.
Entrò nell’appartamento senza svegliare le compagne, si coricò e riuscì a dormire per qualche ora prima di iniziare il turno pomeridiano a scuola.
Quando tutte furono sveglie, Rachele diede alle colleghe quanto aveva portato da Palizzano suscitando in esse un moto di gratitudine.
La settimana passò senza intoppi, tutto fu tranquillo sia a casa che al lavoro, mentre Rachele attendeva con ansia il momento in cui avrebbe ritirato le fotografie; aveva già preparato la lettera di presentazione contenente i dati anagrafici e una lista delle opere realizzate da Giuseppe.
Quando ebbe le foto delle tele fra le mani, non sapendo quali scegliere per partecipare al concorso, si fece consigliare dal fotografo che le diede il suo parere e le indicò anche un critico abbastanza conosciuto al quale si sarebbe potuta presentare a suo nome.
Rachele ringraziò e uscì dal negozio con l’intenzione di recarsi immediatamente dal critico e gli telefonò per domandargli se fosse disponibile a riceverla; il signor Gervasio rispose che l’avrebbe ricevuta subito.
“È fortunata signora, mi trova disponibile a esaminare le opere di suo figlio, ma solo perché il mio amico fotografo ha detto che ne vale la pena, si accomodi…” esordì il critico e la condusse nel suo studio.
Rachele porse all’uomo la busta con le fotografie, Gervasio le osservò una ad una attentamente ma senza manifestare alcuna emozione, poi disse che pur non essendo le opere originali, lasciavano trasparire il talento dell’artista.
Rachele, che era stata tesissima fino ad allora, si rilassò e chiese accoratamente se tre di quelle opere avrebbero potuto concorrere alla galleria Modoni.
Il signor Gervasio annuì col capo e prese le fotografie che riteneva meritevoli di partecipare a quel concorso, porgendole alla donna.
Rachele gli chiese anche come fare per organizzare una mostra e il critico le rispose:
“Prima di tutto è necessario pensarla in base ai criteri museologici e museografici: funzioni e spazi, accoglienza, scegliere i criteri espositivi e i destinatari, creare un itinerario e un circuito, pensare attentamente alle pareti e alle luci, al colore e ai materiali costruttivi, ai supporti e alle cornici; alle didascalie, pannelli e alla segnaletica dell’ingresso e lungo le sale; pensare al benessere dei visitatori creando un’atmosfera d’agio attraverso i servizi (toilette, bar, bookshop, audioguide, visite guidate, laboratori, biglietteria…). È fondamentale creare un campagna di comunicazione attiva e coinvolgente, che funzioni, partendo dal sito che deve avere tutte il informazioni basilari ed essenziali attraverso una grafica chiara, che non abbia troppi colori o scritte particolari. Scrivere un comunicato stampa tenendo conto delle famose “5W” (who: chi, what: cosa, when: quando, where: dove, why: perché), con una dichiarazione, se possibile, del curatore o degli organizzatori. Creare un catalogo, pensare a possibili promotori, sponsor, sponsor tecnici e, magari, media partner. Non sarà semplice, ma se suo figlio si piazzerà tra i primi al concorso Modoni, ci penserà la galleria stessa a organizzare una mostra, stia tranquilla signora.”
Uscita dalla casa del signor Gervasio, si recò subito all’ufficio postale per spedire la busta al concorso.
Dopo un mese Giuseppe ricevette la comunicazione secondo la quale le sue opere erano state selezionate per la finale del concorso Modoni; il ragazzo stava per rispondere che non aveva partecipato ad alcun concorso, ma pensò che la madre avesse fatto tutto a sua insaputa e si inquietò. Comunque assentì alla richiesta del funzionario di spedire agli esaminatori le opere originali e, terminata quella conversazione, chiamò subito Rachele.
Le domandò bruscamente che cosa avesse fatto, poi si addolcì quando capì che la mamma aveva preso l’iniziativa perché lui non avrebbe mai partecipato a un concorso artistico.
Quando seppe che il critico Gervasio aveva espresso un parere positivo su di lui, si arrese alla sua testardaggine e ringraziò Rachele.
Quando ella ritornò a Palizzano per trascorrere le festività natalizie disse al figlio che il signor Gervasio consigliava la preparazione di un catalogo in previsione della mostra che Modoni avrebbe organizzato per Giuseppe dato che senza dubbio si sarebbe qualificato nei primi tre posti.
A quel punto il ragazzo si attivò riuscendo a realizzare in breve tempo il catalogo completo delle sue opere con illustrazioni e spiegazioni delle stesse.
Passò un altro mese e arrivò l’esito definitivo del concorso: Giuseppe si piazzò al secondo posto con grande soddisfazione di tutta la famiglia, ma soprattutto di Rachele che aveva creduto in lui più di quanto avesse fatto lui stesso.
Giuseppe si trasferì a Bologna per ritirare il premio vinto, cioè la mostra delle sue opere che seguì da vicino per tutto il tempo dell’esposizione, vale a dire due mesi.
Tutto ciò contribuì a rafforzare la sua personalità artistica e a farsi conoscere nell’ambiente.
Il critico Gervasio espresse un commento lusinghiero su di lui, commento riportato in un articolo pubblicato su una rivista del settore e da quel momento Giuseppe si affermò come artista contemporaneo.
[continua]